S. Barsanufio e Giovanni: Lettere ascetiche
1. Sii pronto a ringraziare Dio per ogni cosa, tenendo presente la
parola dell'Apostolo: "ringrazia per ogni cosa" (I Tess. 5, 18). Se sei
assalito da tribolazioni, o patisci penuria e persecuzione, o se devi
sopportare pene fisiche o infermità, ringrazia Dio per tutto ciò che ti
accade poichè "noi dobbiamo entrare nel Regno di Dio attraverso molto
patire" (Atti. 14, 22). Non permettere che la tua anima venga assalita
dal dubbio, nè che il tuo cuore diventi pavido; ricorda le parole
dell'Apostolo: "Quantunque l'uomo esteriore perisca, l'uomo interiore si
rinnova di giorno in giorno" (2 Cor. 4, 16). Se non sopporti
sofferenze, non sarai in grado di salire sulla croce e coglierne i
frutti di salvezza.
2. La nave, in mare, è preda del rischio e del vento. Se però
raggiunge un calmo e pacifico porto, non teme più calamità, ma è sicura.
Anche tu, mentre resti tra gli uomini, aspettati tribolazioni, rischi e
urti alla sensibilità. Ma se raggiungi il porto del silenzio, per te
preparato, non avrai più paura.
5. Soprattutto guardati dallo scoramento, padre di tutti i mali e
della varietà delle tentazioni. Perchè permetti al tuo cuore di essere
triste e fiacco a causa della sofferenza provocata dalla turba che segue
Cristo ? Presta un attento orecchio alle mie parole. Il lungo patire è
padre di grandi benedizioni. Imita Mosè che preferì piuttosto soffrir
pena col popolo di Dio, che gioire dei piaceri del peccato per un breve
tempo (Eb. 11, 25).
8. Ti definisci peccatore; ma in realtà riveli di non aver raggiunto
la coscienza della tua unità. Chi si riconosce peccatore e causa di
molti mali, dissente con nessuno, discute con nessuno, non è in collera
con nessuno, ma considera ogni uomo migliore e più saggio di se stesso.
Se sei un peccatore, perchè biasimi il tuo prossimo e lo accusi di
recarti offesa? Stando così le cose, tu ed io siamo lontani dal
ritenerci dei peccatori. Osserva, fratello, quanto siamo meschini:
parliamo soltanto con le labbra e le nostre azioni mostrano che siamo
differenti da ciò che diciamo. Perchè quando ci opponiamo a dei
pensieri, non riceviamo la forza di respingerli ? Perchè precedentemente
ci siamo arresi col biasimare il nostro prossimo e questo ha fiaccato
la nostra forza spirituale. Così accusiamo il nostro fratello,
nonostante noi si sia i veri colpevoli. Poni tutti i tuoi pensieri nel
Signore, dicendo: Dio conosce ciò che è meglio, e sarai in pace, e, a
poco a poco, ti sarà data la forza di resistere.
9. Se uno non può sopportare gli oltraggi, non vedrà la gloria. Se
non è esente da bile, non assaggerà la dolcezza. Tu devi andare in mezzo
agli altri, tra le loro varie vicende, per essere temperato e provato:
l'oro è provato solo dal fuoco. Non oberarti di troppi incarichi, ti
assoggetteresti a pene e sofferenze; ma col timore di Dio cimentati a
ciò che conviene ad ogni particolare momento, e non far nulla d'impulso.
Evita la collera quanto puoi, non giudicare nessuno e specialmente
quelli che ti mettono alla prova. Pensandoci bene, capirai che sono loro
che ti conducono alla maturità.
11. Agita il latte e ne ricaverai del burro; ma se ti giri il naso,
ne caverai sangue (Prov. 30, 33). Se un uomo vuol piegare un ramo o una
vite in un cerchio per botte, li curva gradatamente, per paura di
romperli, poichè se lo fa troppo repentinamente il ramo si spezza,
(questo va riferito alle rigorose regole e all'eccessivo ascetismo dei
monaci).
12. Perchè essere soverchiati dalle tribolazioni come uomini carnali ?
Non hai sentito quali tribolazioni ti attendono ? Non sai che "molte
sono le ambizioni del giusto" (Ps. 34, 19), e che gli uomini sono
provati da queste come l'oro in un crogiolo ? Se siamo giusti,
lasciamoci sottoporre di buon animo, alla prova; ma se siamo peccatori,
soffriamola come cosa dovuta. Ricordiamoci dei santi, rammentando quanto
essi, fin dall'inizio del mondo, abbiano perseverato nel bene agire,
preferendo il bene, e costantemente rimanendo saldi nella verità
! Furono odiati e perseguitati fino all'estremo, ma in accordo con le
parole del Signore, pregarono per i persecutori e carnefici (Mat. 5 44).
Fosti tu venduto come il casto Giuseppe ? Hai tu, come Mosè, sopportato
inimicizia dall'infanzia alla vecchiaia ? Fosti perseguitato come
Davide da Saul ? O come Giona fosti gettato in mare ? Perchè allora non
apri gli occhi ? Così non aver paura e non essere incerto come uno privo
di coraggio, altrimenti non potrai godere delle promesse di Dio. Non
essere angosciato come chi non ha fede; ma introduci la fiducia nei tuoi
pensieri deboli. Ama il tormento delle cose, affinchè tu possa
diventare un degno figlio dei santi.
16. Finchè abbiamo tempo, poniamo attenzione a noi stessi, e
impariamo il silenzio. Se desideri non essere turbato da alcuna cosa,
sii morto di fronte ad ognuno, troverai la pace. Alludo con questo ai
pensieri concernenti ogni genere di rapporto con uomini e cure.
17. Mi hai scritto chiedendo che pregassi per i tuoi peccati. Ti dirò
la stessa cosa: Prega per i miei. E' scritto "fa' agli altri ciò che
vuoi sia fatto a te" (Luca 6, 31). Benchè io sia il più reietto e basso
di tutti gli uomini, continuo a fare quanto posso, in accordo al
comandamento: "pregate l'uno per l'altro", così che tu possa riavere la
salute.
18. Se non puoi parlare della fede, non tentare neanche di farlo. Chi
è saldo nella fede, non sarà mai turbato da discussioni e dibattiti con
eretici e miscredenti. Avendo in sè Gesù, il Signore della pace e della
quiete, dopo una calma discussione può amorosamente portare molti
eretici e miscredenti alla conoscenza di Gesù Cristo, nostro Salvatore.
Fai così: finchè la discussione su qualche cosa è superiore alle tue
forze, prendi la strada maestra della fede dei 318 santi padri (e per
noi ora, quella della fede stabilita da sette concili ecumenici), nella
quale tu sei battezzato. Essa contiene ogni cosa formulata esattamente
per la perfetta comprensione. Ma sopra ogni cosa poni attenzione a te
stesso, meditando sui tuoi peccati e sul come sarai giudicato da Dio.
21. Quando sei intento alla preghiera, chiedi la liberazione dal
vecchio Adamo, o recita la preghiera del Signore, o ambedue insieme, poi
riprendi il tuo lavoro manuale.
Sulla lunghezza del tempo della preghiera, ti dirò: se tu "preghi
incessantemente" (Tess. 5, 17), come dice l'Apostolo, la quantità del
tempo non ha importanza.
22. Riguardo al sonno notturno, prega per due ore alla sera,
cominciando a contarle dal calar del sole, e quando hai finita la
dossologia, dormi per sei ore. Indi alzati per la veglia e rimani desto
per le rimanenti quattro ore. Fai lo stesso anche d'estate, ma riduci la
dossologia e leggi meno salmi in accordo alla brevità della notte.
25. Riguardo all'astinenza del cibo e delle bevande, i padri dicono
che l'uno e le altre siano di una misura inferiore alla reale necessità
di ciascuno; cioè non riempire lo stomaco del tutto. Ciascuno stabilisca
una misura per se stesso per quanto riguarda il cibo e per il vino.
D'altronde la misura dell'astinenza non è limitata al cibo e al bere,
ma riguarda anche la conversazione, il sonno, il vestire e tutti i
sensi. Ciascuna di queste cose deve avere la sua consona misura di
astinenza.
34. Voglio controllare il ventre e ridurre la quantità del cibo e non
posso. Invece se qualche volta ci riesco, torno quasi subito alla prima
misura. Lo stesso mi accade col bere. Perchè avviene questo ? Nessuno è
esente da ciò, eccetto l'uomo che è giunto alla statura di colui che
disse: "Ho dimenticato di mangiare il mio pane, a cagione del grido del
mio dolore; le ossa mi forano la pelle" (Sal. 102, 45). Un siffatto uomo
presto riesce a ridurre il suo cibo ed il bere; poichè le lacrime gli
sono di cibo, può raggiungere uno stato nel quale è nutrito dallo
Spirito Santo. Credimi, fratello, conosco un uomo di tale statura, una o
due volte nel corso di una settimana e qualche volta più spesso è
attratto dal cibo spirituale, la cui dolcezza gli fa dimenticare il cibo
materiale. Quando si accinge a consumare il cibo è come uno
permanentemente sazio, non ne ha desiderio; se mangia, rimprovera se
stesso dicendo: perchè non sono sempre in quello stato ? E' lo desidera
così intensamente da ottenere il più grande successo.
39. Quando leggo i salmi, devo dire la preghiera del Signore dopo
ogni salmo ? Dire la preghiera del Signore una volta, è sufficiente.
43. L'infermità è una lezione di Dio e serve ad aiutarci a
ringraziare sempre più Dio. Non era forse Giobbe un vero amico di Dio ?
Cosa non ha sopportato, benedicendo e glorificando Dio ? Alla fine la
sua stessa pazienza lo portò ad una incomparabile gloria. Così anche tu
sappi sopportare e "vedrai la gloria di Dio" (Giov. 11, 40). Non
rattristarti se per infermità non puoi praticare il digiuno; Dio non
esige mai fatiche superiori alle possibilità di ciascuno. Dopo tutto,
cos'è il digiuno se non il freno per moderare un corpo sano e renderlo
docile, liberarlo dalle passioni, in accordo con le parole
dell'Apostolo: "Quando sono affranto, è allora che sono forte" (2 Cor.
12, 10) ? Ma l'infermità è più che un freno, così sostituisce il
digiunare ed è considerata di maggior merito. Chi sopporta con pazienza,
ringraziando Dio, come premio alla sua pazienza, riceve il frutto della
salvezza. Un corpo malato è indebolito dall'infermità, non vi è bisogno
di togliergli le forze col digiuno. Ringrazia Dio di essere dispensato
dal travaglio del digiuno. Non preoccuparti anche se mangi dieci volte
in un giorno; non sarai giudicato per questo, purchè tu non lo faccia
per il tuo piacere.
49. Sono stremato dalle tentazioni ! - Non darti per vinto, fratello.
Dio non ti ha abbandonato e non ti abbandonerà. Conosci il giudizio di
Dio contro il nostro comune padre Adamo: "Mangerai il pane col sudore
della tua fronte" (Gen. 3, 19); ed è immutabile. Come l'oro è scaldato
nella fornace e diventa puro e malleabile, così l'uomo attraverso il
fuoco della sofferenza diviene cittadino del Regno dei Cieli, se
sopporta con gratitudine. Reputa che tutto ciò che ti avviene è per il
tuo bene, per renderti accetto a Dio.
50. Ad un debole e scoraggiato:
Benedici le sofferenze del Salvatore, come se, insieme a Lui, tu
stessi patendo soprusi, ferite, degradazioni, l'offesa degli sputi,
l'umiliazione del manto rosso, la vergogna della corona di spine,
l'aceto col fiele, la pena dei chiodi, la ferita con la lancia, il
fluire d'acqua e di sangue, e da ciò riceverai conforto nella tua
afflizione.
Il Signore non permetterà che i tuoi sforzi non vengano ricompensati.
Ti lascia soffrire un po', affinchè non sia un estraneo nella schiera
dei Santi, quando tu, al momento debito, ne farai parte, arricchito dal
frutto della pazienza e reso glorioso. Così non affliggerti; Dio non ti
ha dimenticato, ma si preoccupa di te, come per un figlio vero di Colui
che non tradisce.
52. Possa il Signore, che disse "domanda e riceverai" (Giov. 16, 24),
esaudire ogni tua domanda. Soltanto prepara la tua casa, e spazzala
perfettamente perchè sia degna di ricevere i doni del Signore. Essi sono
custoditi sicuramente in una casa tenuta in ordine, ed emanano il loro
dolce profumo soltanto se non vi è impurità alcuna. Chi gusta ciò,
diventa estraneo al vecchio Adamo, crocifisso al mondo come il mondo a
lui, e vive sempre nel Signore. Non importa quando le onde dei nemici lo
colpiscono; esse non spezzano la sua navicella. D'allora in avanti
comincia a gettare sgomento sui nemici, poichè essi vedono in lui il
sacro sigillo, e quanto più diventa il loro avversario, tanto più egli
diviene un sincero e grato amico del Gran Re.
55. Vigila su te stesso; i demoni cercano di adescarti verso cose di
poco valore, come dormire in una posizione quasi seduta, o senza
guanciale, che è lo stesso che "menta e anice e cumino", e ti incitano a
trascurare "i più gravi impegni della Legge" (Matt. 23, 23), che sono,
il domare la collera, il reprimere la irritabilità e l'obbedire in tutte
le cose. I demoni gettarono in te il loro seme, per indebolire il tuo
corpo, per questo cadi nella debolezza e involontariamente ricerchi il
molle letto e la varietà del cibo. E' meglio che tu ti trovi bene con un
solo cuscino e riposi su di esso con timore di Dio. Metti nella tua
pentola condimenti immateriali come, umiltà, obbedienza, fede, speranza,
amore, poichè chi li possiede imbandisce un banchetto innanzi a Cristo,
il Divino Re.
62. Non tutti quelli che vivono nei monasteri sono monaci; monaco è
colui che compie il lavoro del monaco. Il Signore dice: "Non chiunque mi
dice, Signore, Signore, entrerà nel Regno dei Cieli; ma chi compirà il
volere del Padre mio, che sta nei Cieli" (Matt. 7, 21). Fratello, perchè
permetti che il nemico si beffi di te e ti esponga ai rischi della
caduta ? Tu chiedi un consiglio ma non tenti di fare ciò che ti viene
detto. Tu ridomandi, e vanagloriosamente lo ripeti agli altri, per
guadagnarti il favore degli uomini, e così ti precludi di progredire
rapidamente. Il tempo ci è concesso per imparare il dominio delle
passioni, e curarle, con gemiti e dolore. Se, quando sei nella tua
cella, i tuoi pensieri sono dispersi, vergognati e svela la tua mancanza
a Dio.
67. (Il frate infermiere domanda se può leggere i libri di medicina).
Leggili pure, ma nel leggerli o nell'interrogare qualcuno sulle
medicine, non dimenticare che, nessuno può essere curato, senza Dio. Chi
s'impegna nell'arte del guarire deve sottomettersi al nome di Dio e Dio
invierà a lui il suo aiuto. L'arte del guarire non è un ostacolo alla
pietà; ma devi praticarla come pratichi un lavoro manuale, per il bene
della comunità. Fai quel che devi fare nel timore di Dio e i santi ti
proteggeranno colle loro preghiere.
84. Se esiste la possibilità di una buona azione, ma un pensiero
opposto le resiste, questo dimostra che l'azione è veramente buona.
Applicati alla preghiera e veglia; se durante la preghiera il tuo cuore è
saldo nel bene e il bene aumenta invece di diminuire, allora, sia che
l'opposto pensiero che ti travaglia, rimanga, oppure no, sappi che tale
azione è buona. Poichè tutto il bene, necessariamente patisce una penosa
opposizione causata dall'invidia del diavolo; il bene però la supera
mediante la preghiera. Se un bene apparente è suggerito dal diavolo, e
pure l'opposizione deriva da lui, allora nella preghiera il bene
apparente declina, insieme con l'apparente opposizione. In questo caso è
evidente che il nemico oppone un pensiero che egli stesso ha insinuato
col solo proposito di farci erroneamente prendere per il bene ciò che è
male.
93. Il silenzio delle labbra è migliore e più prodigioso di una
edificante conversazione. I nostri padri lo praticarono con reverenza, e
attraverso di esso, perseguirono la gloria. Ma sinchè, nella nostra
debolezza, noi non potendo seguire il sentiero della perfezione,
parliamo di ciò che edifica, parliamone riferendoci alle parole dei
padri senza accingerci ad interpretare le Scritture. Quest'ultima cosa è
assai pericolosa per l'ignorante. Le Scritture sono scritte nel
linguaggio dello spirito, e gli uomini carnali, non possono capire le
cose spirituali. E' meglio usare, nelle nostre conversazioni, le parole
dei padri, allora così troveremo il beneficio in esse contenuto.
Moderiamoci persino nell'uso di queste parole, ricordandoci colui che
disse "Nella moltitudine di parole, non manca mai il peccato" (Prov. 10,
19). Per tema di cadere in alti e vanagloriosi pensieri, imprimiamoci
nella mente che se non pratichiamo ciò di cui parliamo, pronunciamo la
nostra stessa condanna.
96. Quando ti proponi di fare qualche cosa e vedi che il tuo pensiero
è turbato, e se, dopo aver invocato Dio, rimani turbato, fosse pure da
una minima perplessità, sappi che la azione che vuoi intraprendere,
viene dal demonio perciò non iniziarla.
Ma se uno resiste al turbamento (se ha in sè un pensiero che oppone
resistenza a tale turbamento) allora egli può anche non considerare,
l'azione proposta, come dannosa, ma può accingersi ad esaminare per
vedere se è nociva o no; e se è cattiva può abbandonarla, ma se è buona,
la compia disperdendo ciò che lo turba.
105. (Ad un ammalato, obbligato a nutrirsi in modo non consono ai
regolamenti). Se uno si nutre, non per suo piacere, ma a causa della sua
malattia, Dio non lo condanna. Il nutrimento ci viene proibito per
tutelarci dalla sazietà e dagli stimoli del corpo. L'infermità impedisce
la loro attività, poichè dove è infermità, ivi è pure invocazione a
Dio.
115. Quando desideri fare elemosina, e il pensiero ti mette il dubbio
se non sia meglio il non farla, esamina il tuo pensiero e se ti accorgi
che il dubbio nasce dall'avarizia, dà un po' di più di quanto avevi
intenzione di dare.
124. Io ricevo ingiustizia da parte di un tale: che debbo fare ? Fagli del bene.
137. E' giusto l'impegno di compiere bene un lavoro ? Ad esempio,
costruire una casa, o far qualcos'altro ? Osserva se la cosa che fai è
ordinata e bella e non disdicevole, se è fatta per il bene di ciò a cui
serve, senza morboso attaccamento. Poichè il Signore gioisce di ogni
perfetta abilità. Ma se noti in te una sorta di morboso attaccamento a
qualcosa, ricorda il fine per il quale devi compiere ciò, e che tutto è
soggetto a deperimento e corruzione, e così troverai pace. Poichè non
una sola cosa rimane costantemente nello stesso stato, ma tutto è
sottoposto a mutare ed a corrompersi.
Dalle lettere di Barsanufio e Giovanni
di Gaza
Lettera 339. A un fratello
La carità
verso il prossimo si manifesta in molti modi, e non soltanto nel dare. Ascolta
come. Può capitarti che te ne vai da qualche parte con il prossimo e ti rendi
conto che vorresti ricevere più onore di lui, invece di rallegrarti che egli
riscuota la medesima stima che te.
Così facendo,
non lo consideri come te stesso. Ha detto infatti l’Apostolo: Gareggiate nello stimarvi a vicenda.
Se hai
qualcosa da mangiare e noti in te la voglia di gustartela da solo, per
ingordigia e non per bisogno, di nuovo non consideri il prossimo come te
stesso.
Vedi il
fratello lodato e non ti congratuli con lui, perché non ricevi le medesime
lodi; invece, dovresti dire: “L’elogio al fratello si estende a me, perché è un
mio membro”. Anche in tale occasione tu non hai amato il prossimo tuo come te
stesso. Ciò vale per tutti i casi analoghi.
Ecco ancora un
altro modo di considerare il prossimo come se stesso. Se apprendi dai padri la
via di Dio e il tuo fratello ti interroga, non essere avaro nel mostrarti
sollecito di lui e nell’aiutarlo. Ma poiché sai che è tuo fratello, digli
quanto hai appreso, con timore di Dio e senza atteggiarti a maestro, cosa che
non ti giova.
La libertà è
la verità espressa chiaramente. Buona perciò è la libertà, ma deve essere
gestita nel timore di Dio.
Se quando hai
bisogno di qualcosa, non lo dici aspettando che il tale o il tal’altro te lo
dia da sé, ecco quello che accade: potrà darsi ch’egli ignori la tua necessità,
oppure, saputala, se ne dimentichi; o anche, volendoti mettere alla prova,
faccia così per vedere se hai pazienza. Ora avviene che tu ti sdegni contro di
lui e così cadi in peccato. Se invece gli parli con franchezza, non succederà
nulla di tutto questo.
Tu però
disponi bene il tuo pensiero fin da prima, perché, se dopo aver chiesto ciò che
cerchi non lo ottieni, tu non rimanga afflitto o indignato e cominci a
mormorare. Dì piuttosto al tuo pensiero: “Probabilmente non potrà fornirmi
quanto gli ho chiesto; oppure io non ne sono degno e perciò Dio non gli ha
permesso di darmelo”.
E bada di non
incupirti per quel rifiuto, perdendo la libertà nei suoi riguardi, così da non
osare chiedergli mai più nulla, quando la necessita lo richieda. Cerca di
custodire sempre te stesso senza turbamento rispetto a quel rifiuto.
D’altra parte,
se uno ti chiede di che cosa hai bisogno, anche in questo caso dì la verità. E
se, preso alla sprovvista, tu dicessi: “Non ho bisogno”, smentisciti e soggiungi:
“Scusami, ho parlato a vanvera, perché ho bisogno di tenere quella cosa”.
Dalle Lettere di Barsanufio e Giovanni
di Gaza
Lettera 92. Ad Andrea.
Barsanuphe et Jean de Gaza,Correspondance.
Solesme,1972,85‑86.
Fratello
desideratissimo, tu mi scrivi riguardo a una faccenda superiore alle tue forze
e mi chiedi di comandarti una cosa che tu non puoi portare.
Mi dici,
infatti, di prescriverti una regola come a un novizio che non ha ancora preso l’abito.
E la regola del novizio è questa: vivere in molta umiltà, senza far conto di sé
stesso in nulla, senza dire: Che cosa è questo? oppure: Perché questo? ma
restando in molta obbedienza e sottomissione, senza far confronti fra sé e
altri, senza dire: Il tale è onorato, perché io non lo sono? Egli è agevolato
in tutto e perché io no? Disprezzato in tutto, egli non si adira.
Queste sono le
opere del novizio vero che vuole veramente essere salvo. E queste cose è
difficile per te sopportarle, sia per la malattia del corpo, sia perché sei
ormai giunto alla vecchiaia. Tu hai chiesto di portare qualcosa di pesante, e
io invece ti imporrò, non per costrizione, ma per consiglio, qualcosa di più
leggero.
Infatti,
attraverso la pazienza nelle tribolazioni noi acquistiamo le nostre anime. E
non si diventa compartecipi delle sofferenze di Cristo se non per mezzo della
sopportazione nelle tribolazioni. Tienti saldo, rendendo grazie in tutto,
poiché questo intercede per la nostra impotenza davanti a Dio.
La tua regola è
quella di startene seduto nella tua cella, attento ai tuoi pensieri, con timore
di Dio, domandandoti: Come andrò incontro a Dio? Come ho trascorso il tempo che
è passato? Mi convertirò almeno ora che è vicino il mio esodo, e sopporterò il
prossimo e le afflizioni che mi vengono da lui e le prove, finché il Signore
faccia con me misericordia. Allora egli mi porterà ad una pacatezza stabile, e
caccerà da me l’invidia, questo frutto del diavolo.
Trascorri
dunque i tuoi pochi giorni, esaminando i tuoi pensieri e contraddicendo a
quelli che ti portano turbamento. E la pace di Dio sarà con te.
http://bergamo-ortodossa.blogspot.it/2013/02/dalle-lettere-di-barsanufio-e-giovanni_25.html
Domandò uno dei padri al grande anziano: «Ti prego, padre, dimmi come si acquista l'umiltà».
Rispose
Barsanufio: «Come acquistare l'umiltà perfetta, lo ha insegnato il
Signore dicendo: "Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e
troverete riposo per le vostre anime"; se vuoi dunque acquistare il
perfetto riposo, impara cosa egli ha sopportato e sopporta, recidi in
tutto la tua volontà, poiché egli ha detto: "Sono disceso dal cielo a
fare non la mia volontà, ma la volontà del Padre mio che è nei cieli".
Questa è l'umiltà perfetta: il portare ingiurie e insulti e tutto quello
che patì il nostro maestro Gesù».
Barsanufio e Giovanni, Epistolario 150
Saints
BARSANUPHE le Grand et JEAN le Prophète, qui brillèrent par leur ascèse
et leur enseignement au monastère de l'abbé Séridos, à Gaza (VIème
siècle). San Barsanufio (o Barsanofio), anacoreta di origine egiziana,
detto il Grande Anziano del Deserto, collocato nel contesto geografico e
spirituale del deserto della
Palestina, ove egli visse in perfetta solitudine, facendo della propria
esistenza terrena uno spazio abitato dal silenzio nella preghiera e
nella lotta spirituale per la ricerca della pura contemplazione divina.
La solitudine di Barsanufio, però era gravida di un profondo desiderio
di comunione. Egli non soltanto rispondeva ai suoi interlocutori, ma li
prendeva sotto la sua paternità spirituale. Dettò all'Abate del cenobio
Serido circa 800 lettere delle quali molte sono destinate al suo più
illustre figlio spirituale, un altro Anziano del Deserto di Gaza
Giovanni, detto "il profeta". La sua morte avvenuta in tarda età è
normalmente collocata al 540. Fra gli storici antichi, Evagrio lo
Scolastico dedicò a Lui un capitolo della sua "Storia Ecclesiastica"
scritta attorno al 593
In queste Lettere Barsanufio è
indicato come il Grande Anziano e Giovanni come l'altro Anziano.
Cogliere nelle risposte dei due monaci una differenza sostanziale che ne
metta in risalto la diversa personalità è assai difficile comunque
esula da questa presentazione. Più evidente e significativa però, è la
perfetta concordia di visione spirituale nelle loro risposte che
potrebbero, alla fine, essere dettate indifferentemente da Barsanufio o
da Giovanni; lo prova il fatto che per alcune di esse non è accertato
chi fra i due ne sia l'autore.
L'esistenza
terrena di san Barsanufio di Gaza, monaco di origine egiziana, si
colloca nel contesto geografico e spirituale del deserto della
Palestina, ove egli visse in perfetta solitudine, facendo della propria
esistenza terrena uno spazio abitato dal silenzio, nella lotta
spirituale e nella preghiera, per la ricerca della pura contemplazione
di Dio. "Fu nella sua cella - come scrisse di lui il santo monaco
athonita Nicodemo Agiorita
(1749-1809) - che raccolse e gustò il dolcissimo miele dell'esichia.
S'impose una penitenza così rigorosa da trovare consolazione soltanto
nelle lacrime... Poteva dimenticarsi di mangiare, di bere, di vestirsi
poiché il suo nutrimento, la sua bevanda, la sua veste erano il Santo
Spirito... Dopo avere purificato il cuore da tutte le passioni, fu
ritenuto degno di divenire il tempio e l'abitazione del Santo Spirito...
Oltre all'umiltà, gli fu concessa la più grande tra le virtù, il
discernimento. .. Al discernimento si aggiunse il dono di vedere e
scrutare le ragioni misteriose e spirituali degli esseri sensibili ed
intellegibili. Poi ricevette il dono di conoscere le cose lontane come
se fossero presenti, il dono di profezia, il dono di leggere nei cuori,
di conoscere i pensieri..." .
Barsanufio, in effetti, non si sottrasse a quanti domandavano il suo consiglio. Egli fu certamente uomo di silenzio e di solitudine, al punto da indurre qualcuno persino a dubitare della sua esistenza: un dubbio che egli fugò in una forma evangelicamente simbolica, ossia lavando i piedi dei monaci (Cf. Lettera 125). La solitudine di Barsanufio, però, era gravida di un profondo desiderio di comunione. Egli non soltanto rispondeva ai suoi interlocutori, ma prendeva a cuore ogni loro problema, ansia, desiderio, fatica, impegno... Proprio da questa sua intensa opera di paternità e di direzione spirituale ebbero origine le sue Lettere, pubblicate per un totale di 850 insieme con quelle del suo compagno e discepolo Giovanni di Gaza, detto "il Profeta".
Analogamente alla tradizione degli apoftegmi, anche queste lettere ci sono state trasmesse raggruppate a seconda dei destinatari. Quanto ad ampiezza, esse spaziano da testi alquanto brevi, ad altri più elaborati in risposta a diverse domande, a vere e proprie ampie lettere didattiche. Di queste ultime è autore specialmente Barsanufio. Egli, in ogni caso, non scriveva direttamente, bensì dettava le sue risposte e i suoi insegnamenti all'abate Seridos, il quale trascriveva con esattezza tutto ciò che ascoltava.
Da tutte le Lettere traspare, insieme con un'intensa spiritualità e una perfetta assimilazione della Scrittura, una sapiente pedagogia per la crescita dell'uomo interiore. Ciò che, però, risalta immediatamente agli occhi del lettore è la costante presenza dei testi biblici. Si potrebbe dire che le parole della Sacra Scrittura sono i fili d'oro con i quali Barsanufio intesse la sua tela. È stato detto al riguardo che Barsanufio quasi passeggia nel paradiso delle Scritture e raccoglie ogni volta i fiori e le erbe curative che possono confortare e guarire i suoi figli spirituali nelle diverse loro situazioni corporali e spirituali. Più a fondo della materiale quantità dei testi biblici, però, e ultima giustificazione della loro diffusa presenza c'è il primato assoluto della Parola di Dio nella vita di Barsanufio. C'è qui un punto determinante del suo magistero spirituale.
Dalle stesse Lettere è possibile desumere alcuni, benché scarni, elementi biografici. Fra questi, c'è l'origine egiziana di Barsanufio, avendo il copto come lingua madre (Cf. Lettera 55), e 1'avere un fratello, il quale viveva nel mondo ed era anziano egli stesso (Cf. Lettera 348). L'epistolario ci permette di conoscere pure alcuni aspetti molto personali della sua ascesi e della sua faticosa maturazione spirituale. Scrive, ad esempio: "Credetemi, fratelli, la vanagloria mi ha dominato... Durante la mia giovinezza sono stato violentemente tentato dal demone della lussuria e faticavo molto nella mia lotta contro tali pensieri. Io però, gli resistevo e non acconsentivo ad essi..." (Lettera 74.258). In qualche altra lettera egli rammenta pure di essere stato più volte ammalato, senza per questo, però, tralasciare il lavoro manuale. Tra i padri del deserto Barsanufio è indicato come il "grande Anziano". La sua morte, avvenuta in tarda età, è normalmente collocata al 540.
Fra gli storici antichi, Evagrio lo Scolastico dedicò a Barsanufio un capitolo della sua "Storia Ecclesiastica" , scritta attorno al 593, ossia pochi decenni dopo la morte del santo asceta. La sua popolarità fu grande. L'immagine di san Barsanufio, come attestano Teodoro Studita e l'anonima prefazione del XV secolo alle opere spirituali dell'abate Doroteo, era riprodotta sulle nappe d'altare della "Grande Chiesa", ossia di Santa Sofia in Costantinopoli, insieme con quella dei santi Antonio, Efrem e altri. La venerazione di san Barsanufio in Costantinopoli dopo il X secolo è peraltro attestata dalla presenza del suo nome in alcuni manoscritti liturgici, che indicano il 6 febbraio (19 febbraio, secondo il nostro calendario "gregoriano" ) quale giorno per la sua festa.
Il "Martirologio Romano", invece, assegna la commemorazione di san Barsanufio all'11 aprile e nell'ultima edizione tipica del 2001 gli riserba le seguenti espressioni: Apud Gazam in Palaestina, sancti Barsanuphii, anachoretae, qui, aegyptius genere, singulari contemplationis virtute praeditus fuit et integritate vitae eximius.
Nella medesima data dell'11 aprile anche la Chiesa di Oria ha sempre celebrato, sino ad epoca recente, la festività del Patrono della Città e dell'intera Diocesi.
Essa, difatti, si vanta, unica fra tutte, di conservare le reliquie di san Barsanufio. Vi furono trasportate nella metà del IX secolo, quand'era vescovo Teodosio, personalità di grande prestigio - che godette la stima dei papi Adriano III e Stefano V - e uomo notevole per dottrina, capacità di governo e santità della vita. Egli, secondo la tradizione oritana, le accolse e le collocò in una chiesa, edificata presso una delle antiche porte della Città, quae Hebraica nuncupatur.
Barsanufio, in effetti, non si sottrasse a quanti domandavano il suo consiglio. Egli fu certamente uomo di silenzio e di solitudine, al punto da indurre qualcuno persino a dubitare della sua esistenza: un dubbio che egli fugò in una forma evangelicamente simbolica, ossia lavando i piedi dei monaci (Cf. Lettera 125). La solitudine di Barsanufio, però, era gravida di un profondo desiderio di comunione. Egli non soltanto rispondeva ai suoi interlocutori, ma prendeva a cuore ogni loro problema, ansia, desiderio, fatica, impegno... Proprio da questa sua intensa opera di paternità e di direzione spirituale ebbero origine le sue Lettere, pubblicate per un totale di 850 insieme con quelle del suo compagno e discepolo Giovanni di Gaza, detto "il Profeta".
Analogamente alla tradizione degli apoftegmi, anche queste lettere ci sono state trasmesse raggruppate a seconda dei destinatari. Quanto ad ampiezza, esse spaziano da testi alquanto brevi, ad altri più elaborati in risposta a diverse domande, a vere e proprie ampie lettere didattiche. Di queste ultime è autore specialmente Barsanufio. Egli, in ogni caso, non scriveva direttamente, bensì dettava le sue risposte e i suoi insegnamenti all'abate Seridos, il quale trascriveva con esattezza tutto ciò che ascoltava.
Da tutte le Lettere traspare, insieme con un'intensa spiritualità e una perfetta assimilazione della Scrittura, una sapiente pedagogia per la crescita dell'uomo interiore. Ciò che, però, risalta immediatamente agli occhi del lettore è la costante presenza dei testi biblici. Si potrebbe dire che le parole della Sacra Scrittura sono i fili d'oro con i quali Barsanufio intesse la sua tela. È stato detto al riguardo che Barsanufio quasi passeggia nel paradiso delle Scritture e raccoglie ogni volta i fiori e le erbe curative che possono confortare e guarire i suoi figli spirituali nelle diverse loro situazioni corporali e spirituali. Più a fondo della materiale quantità dei testi biblici, però, e ultima giustificazione della loro diffusa presenza c'è il primato assoluto della Parola di Dio nella vita di Barsanufio. C'è qui un punto determinante del suo magistero spirituale.
Dalle stesse Lettere è possibile desumere alcuni, benché scarni, elementi biografici. Fra questi, c'è l'origine egiziana di Barsanufio, avendo il copto come lingua madre (Cf. Lettera 55), e 1'avere un fratello, il quale viveva nel mondo ed era anziano egli stesso (Cf. Lettera 348). L'epistolario ci permette di conoscere pure alcuni aspetti molto personali della sua ascesi e della sua faticosa maturazione spirituale. Scrive, ad esempio: "Credetemi, fratelli, la vanagloria mi ha dominato... Durante la mia giovinezza sono stato violentemente tentato dal demone della lussuria e faticavo molto nella mia lotta contro tali pensieri. Io però, gli resistevo e non acconsentivo ad essi..." (Lettera 74.258). In qualche altra lettera egli rammenta pure di essere stato più volte ammalato, senza per questo, però, tralasciare il lavoro manuale. Tra i padri del deserto Barsanufio è indicato come il "grande Anziano". La sua morte, avvenuta in tarda età, è normalmente collocata al 540.
Fra gli storici antichi, Evagrio lo Scolastico dedicò a Barsanufio un capitolo della sua "Storia Ecclesiastica" , scritta attorno al 593, ossia pochi decenni dopo la morte del santo asceta. La sua popolarità fu grande. L'immagine di san Barsanufio, come attestano Teodoro Studita e l'anonima prefazione del XV secolo alle opere spirituali dell'abate Doroteo, era riprodotta sulle nappe d'altare della "Grande Chiesa", ossia di Santa Sofia in Costantinopoli, insieme con quella dei santi Antonio, Efrem e altri. La venerazione di san Barsanufio in Costantinopoli dopo il X secolo è peraltro attestata dalla presenza del suo nome in alcuni manoscritti liturgici, che indicano il 6 febbraio (19 febbraio, secondo il nostro calendario "gregoriano" ) quale giorno per la sua festa.
Il "Martirologio Romano", invece, assegna la commemorazione di san Barsanufio all'11 aprile e nell'ultima edizione tipica del 2001 gli riserba le seguenti espressioni: Apud Gazam in Palaestina, sancti Barsanuphii, anachoretae, qui, aegyptius genere, singulari contemplationis virtute praeditus fuit et integritate vitae eximius.
Nella medesima data dell'11 aprile anche la Chiesa di Oria ha sempre celebrato, sino ad epoca recente, la festività del Patrono della Città e dell'intera Diocesi.
Essa, difatti, si vanta, unica fra tutte, di conservare le reliquie di san Barsanufio. Vi furono trasportate nella metà del IX secolo, quand'era vescovo Teodosio, personalità di grande prestigio - che godette la stima dei papi Adriano III e Stefano V - e uomo notevole per dottrina, capacità di governo e santità della vita. Egli, secondo la tradizione oritana, le accolse e le collocò in una chiesa, edificata presso una delle antiche porte della Città, quae Hebraica nuncupatur.
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