sabato 30 novembre 2019

San Sofronio di Essex DELLA PREGHIERA DETTA CON DOLORE E CON LA QUALE L’UOMO NASCE ALL’ETERNITÀ

Gli approcci della preghiera profonda sono strettamente legati ad un profondo pentimento per i nostri peccati. Quando l’amarezza di questo taglio va oltre ciò che possiamo sopportare, il dolore ed il violento disgusto di sé cessano improvvisamente. In modo completamente inatteso, tutto cambia grazie all’irruzione dell’amore di Dio. E il mondo è dimenticato. Molti chiamano tale fenomeno “estasi”. Non mi piace questo termine, poiché è spesso associato a diverse deformazioni. Ma anche se chiamiamo diversamente questo dono di Dio e lo denominiamo “uscita dell’anima pentita verso Dio”, io dovrei dire che non mi è mai venuta l’idea di “coltivare” tale stato, cioè di cercare mezzi artificiali per giungervi. Questo stato è sempre venuto in modo completamente inatteso ed ogni volta diverso. La sola cosa di cui mi ricordo con sicurezza, è della mia afflizione inconsolabile causata dall’allontanamento da Dio; questa sofferenza era in un certo qual modo strettamente collegata al mio cuore. Mi pentivo amaramente della mia caduta e, se le mie forze fisiche fossero bastate, le mie lamentazioni non sarebbero mai cessate.

Ho scritto queste righe e, non senza tristezza, “mi ricordo dei giorni antichi” (Salmo 142, 5) – piuttosto delle notti – quando il mio spirito ed il mio cuore avevano così radicalmente deviato dalla mia vita passata che, per anni, il ricordo di ciò che avevo lasciato dietro di me non mi sfiorava più. Dimenticavo anche le mie cadute spirituali, ma la visione schiacciante della mia indegnità di fronte alla santità di Dio non cessava di intensificarsi.

Più di una volta, mi sono sentito come crocifisso su una croce invisibile. Al Monte Athos, ciò mi succedeva quando la rabbia contro quelli che mi avevano contrariato si impossessava di me. Questa passione terribile uccideva in me la preghiera e la riempiva d’orrore. A volte, mi sembrava impossibile lottare contro di essa: mi sbranava come una bestia feroce lacera la sua preda. Una volta, per un breve momento d’irritazione, la preghiera mi lasciò. Affinché ritornasse, dovetti lottare per otto mesi. Ma quando il Signore cedé alle mie lacrime, il mio cuore divenne più vigilante e più paziente.

Quest’esperienza della crocifissione si ripeté più tardi (allora ero già ritornato in Francia), ma in un altro modo. Non rifiutavo mai di prendermi cura, come confessore, di quelli che si rivolgevano a me. Il mio cuore provava una compassione particolare per le sofferenze dei malati mentali. Scossi dalle eccessive difficoltà della vita contemporanea, alcuni di loro richiedevano con insistenza un’attenzione prolungata, cosa che andava oltre le mie forze. La mia situazione era diventata senza via d’uscita: dovunque mi giravo, qualcuno gridava di dolore. Ciò mi rivelò la profondità delle sofferenze degli uomini della nostra epoca, triturati dalla crudeltà della nostra famosa civilizzazione.

Gli uomini creano enormi meccanismi governativi che si rivelano essere degli apparati impersonali, per non dire inumani, che schiacciano con indifferenza milioni di vite umane. Incapace di cambiare i crimini – davvero intollerabili, benché legalizzati – della vita sociale dei popoli, sentivo nella mia preghiera, senza alcuna immagine sensibile, la presenza di Cristo crocifisso. Vivevo in spirito la sua sofferenza con una tale acutezza che, anche se avessi visto con i miei stessi occhi colui che è stato “innalzato da terra” (cfr. Giovanni 12, 32), ciò non avrebbe in nessun modo aumentato la mia partecipazione al suo dolore. Per quanto insignificanti siano state le mie esperienze, approfondirono la mia conoscenza di Cristo nella sua manifestazione sulla terra per salvare il mondo.

In lui ci è stata data una rivelazione meravigliosa. Essa attrae il nostro spirito a lui con la grandezza del suo amore. Mentre piangeva, il mio cuore benediceva, e benedice ancora, il nostro Dio e Padre che ha voluto rivelarci, con il Santo Spirito, l’incomparabile e unica verità e santità del suo Figlio nelle piccole prove che ci colpiscono.

La grazia accordata ai principianti per attirarli ed istruirli non è a volte inferiore a quella data ai perfetti; tuttavia, ciò non significa che sia già assimilata da colui che ha ricevuto questa benedizione terribile. L’assimilazione dei doni divini esige delle prove prolungate ed una intensa fatica ascetica. Per risorgere e rivestire “l’uomo nuovo” di cui parla san Paolo (Efesini 4, 22-24), l’uomo decaduto passa attraverso tre tappe. La prima, è l’appello e l’ispirazione a intraprendere lo sforzo ascetico e spirituale che si presenta a noi. La seconda, è la perdita della grazia “percettibile” e la prova dell’abbandono di Dio; il suo senso è di offrire all’asceta la possibilità di manifestare la sua fedeltà a Dio con una scelta libera. La terza, infine, è l’acquisizione per la seconda volta della grazia percettibile, e la sua custodia legata ormai ad una conoscenza spirituale di Dio.

“Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto. E chi è ingiusto nel poco, è ingiusto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà quelle vere? E se non siete stati fedeli in ciò che è altrui, chi vi darà il vostro?” (Luca 16, 10-12). Colui che, nel corso della prima tappa, è stato istruito direttamente dall’azione della grazia nella preghiera ed in qualsiasi altra opera buona, e che, durante un abbandono prolungato di Dio, vive come se la grazia rimanesse immutabilmente con lui, riceverà – dopo una lunga messa alla prova della sua fedeltà – la “vera” ricchezza in possesso eterno, ormai inalienabile. In altre parole, la grazia e la natura creata si collegano, ed i due diventano uno. Questo dono ultimo è la deificazione dell’uomo, la sua partecipazione al modo di essere divino, santo e senza inizio. È la trasfigurazione di tutto l’intero uomo, con la quale diventa simile al Cristo, perfetto.
Quanto a quelli che non rimangono fedeli “in ciò che appartiene ad altri”, secondo l’espressione del Signore, perdono ciò che hanno ricevuto all’inizio. Qui, osserviamo un certo parallelismo con la parabola dei talenti (cfr. Matteo 25, 14-29). […] Questa parabola, come pure quella dell’amministratore infedele, non è applicabile alle relazioni umane abituali, ma soltanto a Dio. Il padrone non tolse nulla al servo che aveva fatto fruttificare i talenti e li aveva raddoppiati, ma gli rimise in possesso la totalità – i talenti che gli erano stati affidati e quelli che aveva acquisito con la sua fatica – come ad un comproprietario: “Entra nella gioia (del possesso del Regno) del tuo Signore”. Quanto al talento del servo pigro, il padrone lo rimise “a colui che ne aveva dieci”, “poiché sarà dato”, a tutti coloro che fanno fruttificare i doni di Dio “e saranno nell’abbondanza” (Matteo 25, 29).


San Giovanni il Climaco dice da qualche parte che ci si può familiarizzare con qualsiasi scienza, qualsiasi arte, qualsiasi professione al punto da finire per esercitarla senza sforzo particolare. Ma pregare senza pena, ciò non è stato mai dato a nessuno, soprattutto la preghiera senza distrazione, compiuta dall’intelletto nel cuore. L’uomo che prova una forte attrazione per questa preghiera può sentire un desiderio difficilmente realizzabile: fuggire da ovunque, nascondersi da tutti, nascondersi nelle profondità della terra in cui, anche in pieno giorno, la luce del sole non penetra, o non giungono gli echi né delle pene degli uomini né delle loro gioie, dove si abbandona ogni preoccupazione di ciò che è passeggero. È comprensibile, poiché è naturale dissimulare la sua vita intima dagli sguardi esterni; ma, questa preghiera mette a nudo il nucleo stesso del cuore, che non sopporta di essere toccato, se non per mano del nostro Creatore.

A quali dolorose tensioni un tale uomo non si espone nei suoi tentativi per trovare un luogo conveniente a questa preghiera! Come un soffio venuto da un altro mondo, genera diversi conflitti, tanto interni che esterni. Uno di essi è la lotta con il proprio corpo, che non tarda a scoprire la sua incapacità a seguire gli slanci dello spirito; molto spesso, le necessità corporali diventano così lancinanti che costringono lo spirito a scendere dalle altezze della preghiera per prendere cura del corpo, altrimenti quest’ultimo rischia di morire.

Un altro conflitto interno emerge, particolarmente all’inizio: come possiamo dimenticare coloro che ci è stato comandato di amare come noi stessi? Teologicamente il ritiro dal mondo si presenta all’intelligenza come un passo opposto ai sensi di questo comandamento; eticamente, come un intollerabile “egoismo”; misticamente, come un’immersione nelle tenebre della spoliazione, in cui non c’è nessun appoggio per lo spirito, dove possiamo perdere coscienza della realtà di questo mondo. Infine, abbiamo timore, poiché non sappiamo se la nostra impresa soddisfi il Signore.

La spoliazione ascetica di tutto ciò che è creato, quando è soltanto il risultato dello sforzo della nostra volontà umana, è troppo negativa. Come tale, è chiaro che un atto puramente negativo non può condurre al possesso positivo, concreto, di ciò che si cerca. Non è possibile esporre tutte le vibrazioni e tutti gli interrogativi che assalgono lo spirito in simili momenti. Eccone tuttavia uno: “Ho rinunciato a tutto ciò che è passeggero, ma Dio non è con me. Non è questo «le tenebre esterne», l’essenza dell’inferno?”. Il ricercatore della preghiera pura passa per molti altri stati, a volte terribili per l’anima. Può darsi che tutto ciò sia inevitabile su questa via. L’esperienza mostra che è caratteristico per la preghiera penetrare nei vasti settori dell’essere cosmico.

Per la loro natura, i comandamenti di Cristo trascendono tutti i limiti; l’anima si tiene sopra il baratro dove il nostro spirito inesperto non discerne alcun cammino. Cosa farò? Non posso contenere l’abisso spalancato che si trova dinanzi a me; vedo la mia piccolezza, la mia debolezza; a volte, inciampo e cado da qualche parte. La mia anima, consegnata “nelle mani del Dio vivente”, si rivolge molto naturalmente a lui. Allora, mi raggiunge senza difficoltà, dovunque mi trovi.

All’inizio, l’anima è nel timore. Ma, dopo essere stata più di una volta salvata dalla preghiera, si rinforza gradualmente nella speranza, diventa più coraggiosa dove prima il coraggio sembrava completamente inappropriato.

Provo a scrivere sul combattimento invisibile del nostro spirito. Le esperienze che ho vissuto non mi hanno dato ragioni sufficienti per ritenere di avere già trovato l’eternità. Secondo me, finché siamo in questo corpo materiale, ricorriamo necessariamente ad analogie prese in prestito al mondo visibile.

Estratto da: Archimandrite Sophrony, La prière, expérience de l’éternité, Cerf/Le sel de la terre, 1998.



Padre di bontà, o Figlio unico, o Santo Spirito, Trinità fonte di Luce e Creatrice di Vita,

Che, per la tua sapienza insondabile, hai chiamato tutta la creazione visibile ed invisibile dal non essere all’essere, e che, con la tua potenza ineffabile mantieni tutte le cose,

Che, per i tuoi altri benefici riguardo agli uomini, ci hai affidato questo ministero celeste:

Rendici degni con la tua grazia di credere in questo Mistero, di cogliere la maestà e di compiere con un cuore puro ed uno spirito illuminato questo sacramento in un modo degno,

Noi ti preghiamo, esaudisci ed abbi pietà.
Archimandrita Sofronio
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il 28 Novembre 2019 il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli della Chiesa Ortodossa: padre Sofronio di Essex (1896-1993).

Santo padre nostro Sofronio intercedi per noi!

martedì 26 novembre 2019

26 Novembre 2019 Ed Abbà disse... Con il Grazie ad Antonio Marra




L'altare della Chiesa Ortodossa "Protezione della Madre di Dio" di Ravenna con i nuovi Vangeli: al centro in slavo ecclesiastico, in alto a destra (per chi guarda) in romeno e in alto a sinistra in italiano.(Padre Serafino Valeriani Ropa) 

Un giorno alcuni ladri andarono al monastero da un anziano e gli dissero: Siamo venuti a prendere tutto ciò che sta nella tua cella. Ed egli rispose: Prendete ciò che vi pare, o figlioli. Allora presero tutto quel che trovarono nella cella e se ne andarono. Tuttavia dimenticarono un piccolo altare, che era nascosto nella cella. Il vecchio, prendendolo, rincorse i ladri gridando e dicendo: Figlioli, prendete ciò che avete dimenticato. Ed essi, ammirando la tolleranza del vecchio, riportarono tutto nella sua cella e si pentirono, dicendosi l'un l'altro: Costui è veramente un uomo di Dio.


“CONOSCI TE STESSO” *
“Ho studiato tantissimo la massima “conosci te stesso”. Cosa sei? Nulla, neanche un vermiciattolo. Niente. La grazia è venuta, ti ha esaudito, sei divenuto un angelo; la grazia è partita e tu sei tornato al tuo io”.
* Sant’ Efrem di Katounakia (ieromonaco aghiorita – 1912/1998)

Dio non si nasconde all'uomo. Un uomo peccatore si nasconde da Dio, nascondendosi fino a quando non Lo perde completamente di vista.
Il pentimento non è questione di un'ora o un giorno. Dovrebbe essere il nostro interesse interiore dell’anima per il resto della nostra vita.
S. Nikolaj di Zica e Ochrid

"L'opera principale del cristiano è quello di custodire (vigilando) e coltivare (pregando) la propria anima e il proprio cuore." *
p. Andrej (mn. ortodosso-russo)

domenica 24 novembre 2019

E Abbà disse.. " Disma il buon ladrone"- Commemorazione del santo ladrone, che, avendo professato la fede in Cristo sulla croce, meritò di udire da lui: «Oggi con me sarai nel paradiso» Notte del 24 novembre 2019

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versetti 39-44 del capitolo 23 di S. Luca, unico dei sinottici a riportare il dialogo fra i tre crocifissi:

“ Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: - Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi.- Ma l’altro lo rimproverava: - Neanche tu hai timore di Dio e sei condannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, Egli invece non ha fatto nulla di male.- E aggiunse: - Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno.-Gli rispose:- In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso.-

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Cinei Tale celei de taină, Fiul lui Dumnezeu, astăzi, părtaş mă primeşte, că nu voi spune vrăjmaşilor Tăi, Tăina Ta, nici sărutare Îţi voi da ca Iuda, ci ca tîlharul mărturisindu-mă, strig Ţie: Pomeneşte-mă, Doamne, întru împărăţia Ta.

Della tua mistica cena oggi, Figlio di Dio, accoglimi partecipe, poiché non parlerò del mistero ai tuoi nemici, né ti darò un bacio come Giuda, ma come il ladrone ti confesso: ricordati di me, Signore, nel tuo regno.

( preghiera di preparazione alla Partecipazione ai Santi Misteri di Cristo Dio )




INNO PER LA LITURGIA AMBROSIANA PER IL GIORNO DI PASQUA

Questo è il vero giorno di Dio,
radioso di santa luce,
nel qua.le il sacro sangue di Cristo
ha deterso i vergognosi crimini del mondo.

E’ il giorno che donò la fede agli smarriti
e illuminò con la vista i ciechi.
Il perdono concesso al ladrone
Sciolse tutti dal peso del timore.

Il ladrone, mutando la croce in premio,
con un rapido atto di fede
guadagnò lo stesso Signore Gesù
e, reso giusto, con passo più veloce,
per primo giunse nel regno di Dio.

Persino gli angeli stupiscono di questo fatto straordinario,
vedendo il reo punito nel corpo crocifisso,
ottenere la vita beata
stringendosi al Cristo.

Mistero mirabile!
La carne di Cristo lava la corruzione del mondo
e cancella i peccati di tutti
purificando i vizi della carne.

Non c’è nulla di più sublime di questo mistero:
la colpa cerca il perdono,
l’amore scioglie la paura,
la morte di Cristo ridona una vita nuova.

La morte azzanni pure il proprio amo,
e si impigli nei suoi stessi lacci:
se Cristo, Vita di tutti, muore,
di tutti risorge la vita.

Anche se la morte si diffonde tra tutti gli uomini,
tutti i morti risorgeranno:
la morte, trafitta dal suo stesso pungolo,
riconosca, gemendo, di essere lei sola perita.”



San Giovanni Crisostomo, Hom. de cruce et latrone, 2 s.)

«Vedi che gran cosa è questa proclamazione del ladro?
Acquistò tanta fiducia, che da un podio di ladro osò chiedere un regno.
Chiedi un regno?
Ma che cosa vedi che te lo faccia pensare? In faccia hai una croce e dei chiodi!
Ma la croce, egli dice, è simbolo di regno. Invoco il Re, perché vedo il Crocifisso; è proprio del re morire per i suoi sudditi. Poiché dunque diede la sua vita, lo chiamo Re: "Signore, ricordati di me, quando sarai nel tuo regno"»




Questi fa le veci del giudice, pur essendo condannato e comincia in verità a denunciare quei delitti che aveva confessato davanti a Pilato, dopo molte torture, poiché una cosa è l’uomo censore a cui le cose intime sfuggono e una cosa è Dio che penetra le menti ; lì certamente dopo la confessione segue la pena, qui invece  la confessione  porta alla salvezza.
Ma dichiara innocente anche Cristo quando aggiunge:- Questi in realtà non fece nulla di male-, quasi a dire:- Osserva una nuova ingiustizia: che l’onestà è condannata insieme al delitto. Noi  abbiamo ucciso i viventi, Costui ha risuscitato i morti; noi ci siamo appropriati dei beni altrui, questi comanda di offrire anche le cose proprie.-
Pertanto il ladrone beato insegnava ai presenti dicendo tali cose con le quali biasimava l’altro.
Ma quando vede che l’ascolto dei presenti è finito, torna conseguentemente a Colui che conosce i segreti dei cuori; prosegue infatti: “E diceva a Gesù:- Signore, ricordati di me, quando sarai giunto nel tuo regno”-
Guardi il Crocifisso, ma lo proclami Dio: vedi la figura di un condannato e dichiari che ha la dignità di un re: impregnato di mille mali, chiedi che la fonte della giustizia si ricordi della tua malvagità.  Tuttavia dici:- Vedo un obbrobrio apparente, ma intuisco la regalità nascosta; e tu allontani i miei delitti pubblici e accetti la fede dell’intenzione nascosta.- La malvagità si è impossessata del discepolo della Verità e la Verità non trasformerà il discepolo della malvagità?”-
Catechesi che  mi obbliga al silenzio, senza pregare, né pensare: solo contemplare la realizzazione della profezia di Isaia: “Ecco, faccio una cosa nuova: proprio adesso germoglia, non ve ne accorgete?”
Disma si scioglie e denuncia i suoi delitti, smette di difendersi.  E’ figura del  convertito, che ha la gioia di  una visione  ribaltata della vita, la  sorpresa di vivere  una sorta di rivoluzione copernicana del suo esistere: dall’io al Tu. Come Gesù, compie lo Schemà: ama Dio con tutto il cuore, affidandosi totalmente; con tutte le forze, annunciando negli ultimi attimi di vita, il perdono di Dio; con tutta la mente, lasciandosi trasportare dall’esempio del Cristo innocente torturato da una morte che spettava agli ultimi della terra. “



“Vedere dunque il Salvatore in mezzo ai ladroni era come vedere la bilancia della giustizia che pesava la fedeltà e l’infedeltà. Il diavolo fece cacciare Adamo dal paradiso, Cristo ci spinse il ladrone prima di tutto il mondo e prima degli Apostoli. Poni mente alla celerità dalla Croce verso i cieli, dalla condanna verso il paradiso, affinché tu riconosca che Cristo ha fatto tutto non secondo la devozione di lui, ma secondo la clemenza di Dio. Con la sola parola, con la sola fede, entrò nel Paradiso, affinché non disperasse dell’ingresso dopo i peccati ….”




“Sulla croce i chiodi fissarono le mani e i piedi di Lui e niente in Lui rimase libero dai tormenti eccetto il cuore e la parola. Su ispirazione di Dio , offrì a Lui tutto ciò che trovò libero in sé.
Affinché secondo quanto è stato scritto (Rom 10, 10,) con il cuore credesse per ottenere la giustizia
e con la bocca professasse la fede per avere la salvezza”.
Riempito improvvisamente dalla grazia, il ladrone ricevette e conservò sulla croce le tre virtù che l’apostolo ricorda.

E infatti ricevette la fede colui che vide pazientemente morire con lui sulla croce; ebbe speranza colui che chiese l’ingresso nel Suo regno; ebbe la carità colui che sul punto di morte con ardore ammoniva il fratello ladrone che a causa della sua malvagità , insieme a lui, moriva per un simile delitto.”(San GREGORIO NAZIANZENO  Moralium 18,25 )






Alcuni vangeli apocrifi (ripresi da diversi autori cristiani) tracciano una vaga biografia di Disma il pagano (l’egiziano), che in alcuni testi è chiamato Tito. Secondo queste biografie, egli nacque in Egitto da un famigerato ladro e fu addestrato in questa professione e nel suo esercizio. Fu a capo di malfattori che derubavano viandanti, privandoli a volte anche della vita.
I testi narrano anche che la santa Vergine, mentre fuggiva in Egitto con Gesù e Giuseppe, si imbatté in Disma e nei suoi complici decisi a derubare la Sacra Famiglia. Ma l’uomo, intenerito dalla bellezza e dall’umiltà di Maria, sopraffatto dallo stupore, li ospitò addirittura nella propria casa e se ne prese cura. Uno di questi vangeli narra ancora che Disma aveva un figlioletto lebbroso; egli chiese alla Madonna di poter immergere il suo bambino nella stessa acqua dove poco prima Ella aveva lavato Gesù. Fu una speranza ispirata da Dio perché le carni piagate del figlio del ladro risanarono. Mentre la Sacra Famiglia si allontanava, Gesù avrebbe fissato i suoi occhi in quelli del buon ladrone, uno sguardo che sarebbe tornato più là, in tutt’altre circostanze, una promessa di Paradiso. Sono racconti leggendari e insieme poetici, che sono stati cari a tanta tradizione cristiana, tanto da trovarne eco negli scritti di alcuni santi. Secondo questi testi, abituato al vizio, Disma non abbandonò la sua scellerata professione; fu catturato e rinchiuso nelle prigioni di Pilato, crocefisso alla destra di Gesù, anche lui, come il Nazareno, con una iscrizione che ne indicava il motivo della condanna: Hic est Disma latronum dux (Questo è Disma, comandante dei ladri – o assassini -). Teofilo, uno degli autori che riprende gli apocrifi, racconta che, agonizzante, Disma fu prima bestemmiatore, ma che in un attimo, volgendo lo sguardo al Nazareno si fece predicatore dell’innocenza di Cristo e per questo conquistò il Paradiso.

Sant’Ambrogio, in un commento al passo del Vangelo di Luca: «Disma chiese a Gesù solo che si ricordasse di lui. Nella sua umiltà si credette indegno di chiedere di più. Ma Gesù sorpassò la preghiera e gli concesse molto di più della domanda, perché Nostro Signore concede sempre più di quanto gli si chiede



Dalle Omelie di SANT’ASTERIO di AMASEA, vescovo


…”a coloro che ascoltarono la sua parola, concesse un pronto perdono dei peccati, li santificò, lo Spirito li rese saldi, l’uomo vecchio venne sepolto nell’acqua e fu generato l’uomo nuovo che fiorì nella grazia.
Dopo cosa seguì? Colui che era stato nemico diventò amico, l’estraneo diventò figlio, l’empio diventò santo e pio….
Imitiamo l’esempio che ci ha dato il signore, il Buon Pastore…
Non è giusto considerare gli uomini come dannati e senza speranza, non dobbiamo trascurare coloro che si trovano nei pericoli, né essere pigri nel portare loro il nostro aiuto, ma che è nostro dovere ricondurre sulla retta via coloro che da essa si sono allontanati e si sono smarriti”



DALL’ OMELIA DI GIOVANNI CRISOSTOMO sulla croce e il buon ladrone

“Il paradiso era chiuso da migliaia d’anni: oggi la croce ce lo ha aperto. In questo giorno, infatti e in quest’ora, Dio vi ha fatto entrare il ladrone, compiendo così due cose meravigliose: ha aperto il paradiso e vi ha introdotto un ladro. Oggi Dio ci ha restituito la nostra patria d’origine, oggi ci ha ricondotto alla città del padre e ha offerto in dono a tutta l’umanità la sua stessa dimora. Dice infatti: Oggi tu sarai con me in Paradiso (Lc.23,43). Ma che dici Signore? Sei lì appeso in croce, confitto con chiodi e prometti il paradiso? Sì- mi rispondi perché tu conosca qual è la mia potenza perfino sulla croce.
Lo spettacolo era molto triste. E perché non ti arrestassi allo spettacolo esteriore della croce, ma giungessi invece a conoscere la potenza del Crocifisso, Gesù compie  sulla croce questo miracolo, che più di ogni altro mette in evidenza tutta la sua forza.
Si dimostra infatti capace di cambiare l’animo malvagio del ladrone, non già resuscitando i morti o rimproverando il mare e i venti, non mettendo in fuga i demoni, ma proprio stando lì crocifisso, inchiodato, oltraggiato, sputacchiato, fatto oggetto di scherno e di riso, perché tu potessi vedere i due aspetti della sua potenza. Ha sconvolto infatti tutta la creazione, ha squarciato le rocce e attratto a sé l’anima del ladrone, più insensibile delle rocce stesse.
Facendogli dono della sua stima gli ha detto:”Oggi sarai con me in paradiso!.
“E’ vero ci sono dei cherubini a difesa del paradiso, ma egli è padrone anche dei cherubini. E se là è posta a difesa una spada infuocata e roteante, egli ha potere sul fuoco  e sulla geenna, sulla vita e sulla morte.
Nessun re potrebbe tollerare che un ladro o qualcuno dei suoi servi facesse con lui il suo ingresso in città, seduto al suo fianco. Ma Cristo  lo ha fatto: entrando nella sua patria santa,  ha introdotto   il ladrone. Facendo così, non ha disonorato il paradiso con la presenza di un ladro, né lo ha profanato : piuttosto gli ha reso onore , perché è una gloria per il paradiso avere un Signore che è capace di rendere degno della beatitudine del cielo perfino un ladro.
Così pure quando Cristo introduce meretrici nel regno dei cieli non lo fa per disonorare questo luogo, ma per la sua gloria…

Che cosa ha fatto di così eccezionale il ladrone da meritare il paradiso dopo la croce?  Proprio mentre Pietro negava, egli sulla croce professava la sua fede. Non dico questo per accusare Pietro – lungi da me! Ma voglio dimostrare la grandezza d’animo del ladrone. Il discepolo non  sopportò le minacce di una serva ; il ladrone invece, pur vedendo un intero popolo adunato lì attorno gridare e lanciare bestemmie e insulti,  non pensò alla presente spregevolezza del crocifisso, ma passando sopra a tutte queste cose con gli occhi della fede, non considerò un impedimento quelle circostanze  e riconobbe il Re dei cieli; anzi, prostrandosi davanti a lui con il cuore diceva: “Ricordati di me , Signore, quando sarai nel tuo regno.”