venerdì 5 marzo 2021

Antonio Gramsci Odio gli Indifferenti



Nel 1917 Antonio Gramsci pubblicava una rivista cui diede un titolo
evocativo, civile e poetico: “La città futura”. In quella rivista era
contenuto, fra gli altri, uno scritto che giunge fino a noi con i toni
laicamente epici di un grande manifesto politico e morale:
“Contro gli indifferenti.”



Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire

essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei

alla città.


Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. 

Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. 


Perciò odio gli indifferenti.


L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il

novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più

splendenti, E’ la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio

delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché

inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e

qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica.


L’indifferenza opera potentemente nella storia. 

Opera passivamente, ma opera.

E’ la fatalità; e ciò su cui non si può contare; e ciò che sconvolge i

programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si

ribella all’intelligenza» e la strozza. Ciò che succede, il male che si

abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale)

può generare, non e tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, 

quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non 

avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la 

massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i 

nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi 

solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo 

un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la 

storia non e altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, 

di  questo assenteismo.

Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun 

controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non 

se ne preoccupa. I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle 

visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di

piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne

preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela

tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a

travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno

naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi 

ha  voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e

chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle

conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non é

responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente,

ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se

avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe

successo ciò che e successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro

indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro

attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male,

combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano. I più di costoro,

invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di

programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano

cosi la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro

nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime

soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia

preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni

rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva

non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale,

non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi

nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.


Odio gli indifferenti anche per ciò che mi da noia il loro piagnisteo di

eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito

che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e

specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di

non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie

lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte

già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E

in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non

è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non

c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si

sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in

agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e

sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è

riuscito nel suo intento.


Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli

indifferenti.”


http://www.spartaco.eu/2016/12/odio-gli-indifferenti-il-testo-integrale-di-antonio-gramsci/




Gustave Courbet, Lo spaccapietre