lunedì 28 ottobre 2019

da un sito in inglese(occorre traduzione) meditazione dei Padri con commento iconografico-prima parte


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"All our predecessors suffered various torments, so that the status of the Church should come down to us intact. For the Lord Jesus Christ Himself Suffered so that He could establish it, and the Apostles preserved it by their suffering. There is nothing (to be gained) by resisting and nothing by struggling: only that we either live with justice or --- what is more glorious --- that we even die with justice." --St. Sixtus II the Martyr, Bishop of Rome [+258]
[Early Martyrdom Account of Sts. Sxitus, Laurence, Hippolytus, as found in "The Roman Martyrs: Introduction, Translations, and Commentary," by Michael Lapidge, pg. 190]

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"He is the last Evangelist chronologically, but he is the first to begin with the Source of the Mystery, for he alone of the Four Rivers begins his course from the Very Highest and Divine Source, thundering forth from a lofty cloud: 'In the beginning was the Word, and the Word was with God, and the Word was God.' He rises higher than Moses, who with mental eye extends the boundaries of knowledge to the origin of the world and the beginnings of visible creatures. He flies higher than the other Evangelists, who begin the Gospel of the Resurrection with the human lineage of the Saviour, or from the prefiguring sacrifice of the Law, or from the prophetic proclamation of Christ's Forerunner, John the Baptist. He reached the very heavens and did not halt even at the Angels, but mounting above Archangels and all created beings--Virtues, Principalities, Dominations, Thrones---he guided his course with lofty mind to the Very Creator."
[St. Paulinus of Nola (+431), Letter 21 to Amandus, sec. 3]

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Feast of the Beheading of St. John the Baptist [August 29 (OS) / September 11 (NS)]
"For the righteous man begins to live the moment he is counted worthy of being killed for Christ. The martyr's life is transformed by this kind of death, it is not taken away by death. Rather, he was free from death, since he died so that he would live forever."---St. Peter Chrysologus [+450], Bishop of Ravenna; Sermon 174, On John the Baptist and Herod

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"We must by our ever-ascending actions erect such a ladder as that which Jacob beheld in his dream, by which the Angels appeared to him descending and ascending. This descent and ascent signifieth nothing else than that we descend by self-exaltation and ascend by humility. And the ladder thus erected is our life in the world, which, if the heart be humbled, is lifted up by the Lord to Heaven." [Rule of St. Benedict, Chapter 7; written by St. Benedict (+547)]

My night hath no darkness, but all things grow bright in the Light."--St. Laurence the Martyr [+258], shortly before his death in Martyrdom
[From an early Roman Martyrdom account; taken from "The Roman Martyrs: Translations and Commentary, edited by Michael Lapidge, page 341]

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"The word of God says, 'Judge none blessed before his death' [Sirach 11:28]; which is as though to say, 'Praise him when life is ended, magnify him when he hath finished his course.' There are two reasons why it is better to praise a man after his departure rather than while he is still living. As you praise the merits of his excellence and sanctity after his death, you will neither be influenced by flattery in praising him, nor will he who is praised be tempted to pride. Then praise him when the danger is over, and his praise is safe. Praise the skill of the sailors when the ship hath reached harbour; praise the courage of the general when he is brought home in triumph."
[Homily 59 of St. Maximus of Turin (+450), Second Sermon on St. Eusebius the Martyr, Bishop of Vercelli (+371)]

domenica 27 ottobre 2019

Il pasto per i poveri presso la Basilica Costantiniana di S. Pietro a Roma secondo la lettera di san Paolino di Nola a san Pammachio

In questa lettera il Vescovo di Nola loda il Senatore-Monaco per la sua carità e misericordia verso i poveri e i bisognosi, per i quali organizzò un ottimo pasto nella Basilica Costantiniana di S. Pietro al Vaticano. 

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11. [...] tu radunasti nella basilica dell’Apostolo una moltitudine di poveri, i patroni delle nostre anime, che per tutta la città di Roma chiedono l’elemosina per vivere. Ed io, in verità, mi sazio a contemplare lo stupendo spettacolo offerto da questa tua  sì grande opera di carità: mi sembra infatti di vedere tutte queste devote moltitudini di gente misera, gli allievi dell’amore paterno di Dio, affluire a sciami in grandi schiere, fino in fondo all’immensa basilica del glorioso Pietro, attraverso quella veneranda porta regale, il cui frontone da lontano splende con l’azzurra facciata, sicché tutti gli spazi sono gremiti sia all’interno della basilica, sia davanti alle porte dell’atrio, sia davanti ai gradini del sagrato. Vedo i convenuti che si dispongono in ordine, distribuendosi tra le diverse mense e tutti si saziano di cibi abbondanti [...].

13. Questa gioia arrecavi allo stesso Apostolo, allorquando riempivi tutta la sua basilica di molte schiere di poveri, sia là dove la basilica sotto l’alto tetto si estende vasta lungo la volta centrale, e, risplendendo da lontano col sepolcro dell’Apostolo, abbaglia lo sguardo di coloro che entrano e ne rallegra il cuore, sia là, dove sotto il medesimo imponente tetto essa si estende lateralmente con due ordini di colonne dall’una e dall’altra parte; sia là dove l’atrio splendente si fonde con il vestibolo davanti all’ingresso, nel quale una costruzione a cupola, coperta in alto con tetto di bronzo massiccio, adorna e tiene in ombra la pila di una fontana d’acqua zampillante che serve per lavarci le mani e i volti60 con quattro colonne che circondano i getti d’acqua, non senza mistica bellezza. E s’addice invero un siffatto ornamento all’ingresso di una chiesa, di modo che il mistero di salvezza che si compie all’interno sia simboleggiato davanti all’ingresso con una struttura visibile. [...].

15. O Roma, potresti non temere le minacce scagliate contro di te nell’Apocalisse (cf. Ap 17, 1–19, 10), se i tuoi senatori offrissero sempre doni di questo genere. Avresti realmente come vera nobiltà quella che i nostri santi padri Abramo, Isacco e Giacobbe, accoglierebbero nel loro seno paterno [...].

16. Beato te, che non sei intervenuto nel consesso di uomini siffatti e ottieni la lode non sulla cattedra degli empi (cf. Sal 1, 1), bensì nella sede dell’Apostolo e nell’assemblea della Chiesa, cioè nel teatro di Cristo, dove gli spettatori delle gradinate non sono sediziosi, ma benedicenti, e dove Dio stesso è spettatore. Tu dài spettacoli per la Chiesa, non per l’arena dell’anfiteatro, aspirando alla lode eterna, non alla gloria vana. Tu non compri gladiatori né belve, ma ti procuri i mezzi con cui annientare i veri gladiatori, cioè i principi di queste tenebre e i mezzi con cui vincere le vere belve, cioè tutto il potere del diavolo , e schiacciare impunemente sotto i piedi il Leone ed il dragone (cf. Sal 91 [90], 13)



testo riscontrato anche in latino nello studio

Il pasto per i poveri presso la Basilica Costantiniana di S. Pietro a Roma secondo la lettera di san Paolino di Nola a san Pammachio

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Nel testo si riscontrano notizie concrete sulla vita e sul ministero di San Paolino e di San Pammacchio del quale si evidenzia "Pammachio fu il primo senatore Romano divenuto monaco"


Trascrivo la conclusione dell'articolo

Nell’articolo abbiamo voluto presentare un piccolo gioiello dell’epistolografia patristica: un frammento della Lettera XIII di san Paolino di Nola indirizzata a san Pammachio. Questo testo descrive il pasto che san Pammachio preparò per i poveri di Roma nel tempo in cui era senatore. La data precisa dell’episodio è a noi sconosciuta. Sappiamo soltanto che ciò avvenne nell’età piuttosto avanzata di Pammachio, quando sua moglie Terasia era ormai defunta ed egli stesso, desideroso di vivere da bravo monaco in povertà, distribuiva i suoi beni ai bisognosi. Paolino dovette essere molto impressionato dal pasto predisposto da Pammachio, dato che lo descrisse abbastanza dettagliatamente e ringraziò il Monaco-Senatore per esso. Per introdurre alla descrizione del pasto e per mostrare tutto il suo contesto, prima di analizzare il brano preso in esame, abbiamo presentato brevemente ambo i Santi: dapprima l’Autore della lettera e poi anche il suo Destinatario. Come possiamo constatare, i due Santi avevano in comune tante caratteristiche peculiari e, anche se Paolino era più giovane rispetto a Pammachio di una ventina di anni, essi nutrivano desideri simili e, come pare, mantenevano uno stretto contatto di amicizia. D’altra parte, entrambi furono uniti dalla santità che si concretizzò, nella loro vita monastica, legata al servizio per i poveri e i bisognosi che essi aiutavano con i loro beni famigliari. Il brano della lettera preso in esame permette di constatare che non si trattò qui di una semplice filantropia in senso laico della parola, ma di un’idea molto più profonda, basata sul Vangelo e sull’osservazione del crudele mondo pagano di allora atto, di regola, a soddisfare desideri egoistici ed edonistici dell’essere umano privo di altruismo e di alti ideali (anche pagani!). Proprio in tale contesto san Paolino vede il pasto preparato da Pammachio come una vera “gara per la Chiesa” e lo oppone agli spettacoli pagani. Anche la Basilica di S. Pietro, nella quale si svolse il pasto, chiama conseguentemente con l’espressione di “teatro di Cristo”, rafforzando anche di più, in tal modo, la stessa contrapposizione. 

sabato 26 ottobre 2019

Per non fuggire all'arrivo del lupo ......




«Il pastore sia accorto nel tacere e tempestivo nel parlare, per non dire ciò ch’è doveroso tacere e non passare sotto silenzio ciò che deve essere svelato. Un discorso imprudente trascina nell’errore, così un silenzio inopportuno lascia in una condizione falsa coloro che potevano evitarla. Spesso i pastori malaccorti, per paura di perdere il favore degli uomini, non osano dire liberamente ciò ch’è giusto e, al dire di Cristo ch’è la verità, non attendono più alla custodia del gregge con amore di pastori, ma come mercenari. Fuggono all’arrivo del lupo, nascondendosi nel silenzio.»


(San Gregorio Magno)

giovedì 24 ottobre 2019

24 Ottobre ...Abbà disse (ringraziando il fratello Antonio Marra)


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“La Chiesa è l’ospedale, non un tribunale!”
S. Giovanni Crisostomo
Non sono importanti i dettagli della confessione, ma la compunzione del cuore. "Il Signore vede il cuore".
* s. Nektario di Optina (monaco ortodosso-russo - 1782/1862)

"No. È solo con il cuore spezzato che possiamo avvicinarci a Dio. Chi teologizza può avere un'eccessiva fiducia nelle proprie capacità cognitive e perdere umiltà mentale. È meglio purificare la nostra anima con lacrime e pentimento piuttosto che essere curiosi; e, facendo questo, ti avvicinerai al Signore prima".
*  p. Macario di Prodromou Skete sul Santo Monte Athos (ierodiacono ortodosso-rumeno - 1927/2014)
Ciascuno di noi può giustificarsi invocando molte scuse. Ma se scruta con attenzione il proprio cuore vedrà con quanta furbizia agisce. L’uomo si giustifica soprattutto perché non vuole riconoscersi – anche in misura minima – colpevole del male che c’è nel mondo. E questa sua giustificazione sorge perché egli non è neppure cosciente d’essere dotato di una libertà a immagine di quella di Dio, ma si crede un fenomeno, un oggetto di questo mondo che non può che essere condizionato da esso. In tale coscienza vi è qualcosa di servile, per cui il volersi giustificare è un gesto da schiavo e non da figlio di Dio.
Silvano del monte Athos. La vita, la dottrina, gli scritti, Gribaudi, Milano 2008, p. 133.

“I santi hanno imparato a lottare contro il Nemico e, conoscendo il modo fraudolento con cui agisce mediante i pensieri, per tutta la loro vita li hanno respinti. Al primo momento il pensiero non sembra malvagio, ma poco a poco riesce a distogliere la mente dalla preghiera e finisce per seminarvi confusione; dunque è indispensabile saper respingere ogni pensiero, anche se essi sembrano buoni, e concentrare la mente pura solo in Dio. Se però sopraggiunge un pensiero non bisogna turbarsene, ma restare in preghiera. Non bisogna agitarsi poiché i nemici traggono piacere dalla nostra confusione. Pregate e il pensiero si allontanerà da solo. Questa è la via che conduce alla santità.”
(Tratto da: Silvano del Monte Athos, di Archimandrita Sofronio)

“I santi hanno imparato a lottare contro il Questo mondo può ricevere solo l'Anticristo, ora o in qualsiasi altro momento. (...) Non c'è da stupirsi, quindi, che sia difficile essere cristiani - non è difficile, è impossibile. Nessuno può accettare consapevolmente un modo di vivere che più autentico è, più conduce all'autodistruzione. E per questo motivo ci ribelliamo sempre, cercando di semplificarci la vita, cercando di essere mezzo cristiani, cercando di ottenere il meglio da entrambi i mondi. Alla fine, dobbiamo scegliere: la nostra felicità sta in uno dei due mondi, non in entrambi. (...) Dio ci dà la forza di seguire il cammino della crocifissione; non c'era altro modo di essere cristiani ".
* s. Seraphim Rose di Platina (ieromonaco della Chiesa Ortodossa Russa – 1934/1982)
Non biasimar l'altro per i suoi errori e non ricordarglieli... In quel momento c'è c'e' già la sua coscienza che lo giudica. Solo questo corregge il male. Altrimenti, quando lo critichi, si difende, si giustifica, getta le sue responsabilità su di te e sugli altri, diventa duro e il male piuttosto che corretto, peggiora." *
 San Porfirio, Kafsokalyvia - 1906/1991)

“Per una corretta educazione Cristiana sono necessarie tre cose: prima di tutto poche parole, in secondo luogo molti esempi e la terza condizione è la preghiera”.
* s. Paisios l’aghiorita (mn. aghiorita e professore del deserto - 1924/1994)

“Non esiste un uomo più spietato del goloso creatore del denaro, che si riunisce sempre e vive sempre nel bisogno e alla fine acquista il suo inferno con i risparmi che ha raccolto.”
* s. Paisios l’aghiorita (mn. aghiorita e professore del deserto - 1924/1994)

Non dimorerai con l'uomo orgoglioso, perché la grazia dello Spirito Santo non perda la tua anima e diventi così dimora di astute passioni. Meglio vivere con gli infermi e gli insignificanti che con gli orgogliosi.
* p. Iustin Pârvu (mn. ortodosso-rumeno – 1919/2013)


Con tutte le sue luci, ma senza Dio, l'uomo non è altro che una lucertola nell'infinita oscurità dell'universo: la sua scienza e la sua filosofia, la sua educazione e la sua cultura, la sua arte e la sua civiltà sono solo piccole candele con cui si illumina l'oscurità degli eventi terreni e mondani".
(San Justin Popovich, "Fede ortodossa e vita in Cristo, educazione umanistica e teantropica")


lunedì 21 ottobre 2019

LA MORTE DEI PADRI NELL’ANTICHITÀ MONASTICA JEAN GRIBOMONT, O.S.B.


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La Bibbia è sobria di immagini sull’escatologia individuale. Prima della manifestazione di Cristo, presenta con semplicità gli ultimi momenti sereni dei patriarchi o le ultime raccomandazioni di David, non esenti da un tantino di vendetta. Il vangelo concentra il suo messaggio su Gesù al Golgota, e gli Atti non evocano che la morte di Stefano. Degli apostoli non sappiamo nulla; non si è giudicato utile registrare per noi l’intimità del loro incontro personale con il Signore celeste. Tuttavia, poco a poco l’antichità cristiana ritenne di conservarci questi ricordi. Certo, non che il decesso sia un momento facile per far della retorica. Ma i figli delle beatitudini, che lasciano agire Dio nella povertà di spirito, nella purità di cuore, nell’attesa assetata di giustizia, possono edificare quelli che lasciano, senza preoccuparsi di impressioni pie.

LA MORTE DEI PADRI NELL’ANTICHITÀ MONASTICA
 JEAN GRIBOMONT, O.S.B.


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giovedì 10 ottobre 2019

Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia... Prima parte (Gv 16, 20-23).

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“siate sempre lieti nel Signore” (Fil 4, 4)

Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo" (At 2, 46-47).

"Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv 15,11)

“Non sia turbato il vostro cuore” (Gv 14,1)

"Possa tu avere molta gioia!" è il saluto rivolto dall’angelo a Tobia (Tb 5,11). E il Siracide aggiunge: "Non abbandonarti alla tristezza, non tormentarti con i tuoi pensieri. La gioia del cuore è la vita per l’uomo, l’allegria di un uomo è lunga vita! (Sir 30,22-23). "Dio ama chi dona con gioia" (Sir 35,11; 2Cor 9,7).

Gesù insiste molto sulla gioia: "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv 15,11). Prega per i suoi discepoli "perché abbiano in se stessi la pienezza della sua gioia" (Gv 17,13). Si premura di assicurarli che la loro tristezza per la sua passione e morte si cambierà in gioia quando lo vedranno risuscitato e glorioso: "Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia... Voi ora siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia" (Gv 16,20-23). Li esorta a pregare il Padre per provare la gioia di essere esauditi: "Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena" (Gv 16,24). San Paolo esorta i cristiani a conservare sempre e ovunque la gioia: "Fratelli miei, state lieti nel Signore" (Fil 3,1); "Rallegratevi nel Signore; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini" (Fil 4,4-5); "Il regno di Dio... è giustizia, pace, e gioia nello Spirito Santo" (Rm 14,17), E l’apostolo giustifica questa sua insistenza sulla gioia del cristiano appellandosi proprio alla volontà di Dio: "State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie: questa è infatti la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi" (1Ts 5,18)

"Il frutto dello Spirito è amore, gioia..." (Gal 5,22).

"Dio è amore" (1Gv 4,8).

Gli Atti degli apostoli descrivono così i primi cristiani: "Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo" (At 2,46-47).

Tra i primi testi cristiani, il Pastore di Erma ci regala questa stupenda pagina: "Caccia da te la tristezza perché è sorella del dubbio e dell’ira. Tu sei un uomo senza discernimento se non giungi a capire che la tristezza è la più malvagia di tutte le passioni e dannosissima ai servi di Dio: essa rovina l’uomo e caccia da lui lo Spirito Santo... Armati di gioia, che è sempre grata ed accetta a Dio, e deliziati in essa. L’uomo allegro fa il bene, pensa il bene ed evita più che può la tristezza. L’uomo triste, invece, opera sempre il male, prima di tutto perché contrista lo Spirito Santo, fonte all’uomo non di mestizia ma di gioia: in secondo luogo perché tralasciando di pregare e di lodare il Signore, commette una colpa... Purificati, dunque da questa nefanda tristezza e vivrai in Dio. E vivranno in Dio quanti allontanano la tristezza e si rivestono di ogni gioia" (Pastore di Erma. Decimo precetto).

San’Ignazio di Antiochia in viaggio verso Roma dove morì martire nel 107 d. C. scrive ai Romani: "È bello tramontare al mondo per il Signore e risorgere in Lui... Scrivo a tutte le Chiese e annunzio a tutti che io muoio volentieri per Dio... Potessi gioire delle bestie per me preparate e mi auguro che mi si avventino subito".

Il vescovo san Policarpo (+155) nell’affrontare il martirio "era pieno di coraggio e allegrezza e il suo volto splendeva di gioia" (Martirio di Policarpo. XII, 1).

I Padri del deserto e i dottori della Chiesa d’Oriente ponevano come ottavo vizio capitale la tristezza peccaminosa che è l’opposto della gioia cristiana. San Nilo l’Antico scriveva: "La dolcezza dello spirito nasce dalla gioia mentre la tristezza è come la bocca del leone che divora l’uomo malinconico" (Detti dei padri del deserto).

"La gioia piena non è carnale, ma spirituale" (s. Agostino)

La gioia di Dio nell’Antico Testamento L’AT è un preludio alla gioia cristiana. "Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio" (Is 61,10).

"Tu sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio; il Signore tuo Dio ti ha scelto per essere il suo popolo privilegiato fra tutti i popoli che sono sulla terra. Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri" (Dt 7,6-8).

"Stabilirò la mia dimora in mezzo a voi, e non vi respingerò. Camminerò in mezzo a voi, sarò vostro Dio e voi sarete il mio popolo. Io sono il Signore vostro Dio, che vi ho fatto uscire dal paese d’Egitto; ho spezzato il vostro giogo e vi ho fatto camminare a testa alta" (Lv 26,11-13).

 Dio ama il suo popolo "di un amore eterno" (Ger 31,3) di un amore "forte come la morte" (Ct 8,6), di un amore tenerissimo come quello di una madre per il suo bambino (Is 49,15) e come quello di un padre verso il proprio figlio primogenito (Es 4,22). Da questa alleanza e da questo rapporto d’amore scaturisce la gioia. "Esultino e gioiscano in te quanti ti cercano" (Sal 40,17). "Acclamate al Signore, voi tutti della terra, servite il Signore nella gioia, presentatevi a lui con esultanza... Varcate le sue porte con inni di grazie, e i suoi atri con canti di lode, lodatelo, benedite il suo nome; poiché buono è il Signore, eterna la sua misericordia, la sua fedeltà per ogni generazione" (Sal 100).

Dio stesso chiede al suo popolo di essere gioioso: "Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza" (Ne 8,10). Il pio Israelita sente di conseguenza l’enorme gioia che gli viene dal suo Signore e prova un’estatica allegrezza, frutto della gioia di sentirsi amato.

2 - Un secondo motivo della gioia d’Israele è la potenza del suo Dio: "Tu sei il Signore, il Dio d’ogni potere e d’ogni forza e non c’è altri fuori di te, che possa proteggere la stirpe d’Israele" (Gdt 9,14). Questa potenza si manifesta in tutta la storia del popolo eletto ed esso vi si abbandona, liberato da ogni paura e sicuro dell’aiuto divino. Perciò ne gioisce (Es 15; Sal 126).
La potenza di Dio creatore fa esultare di gioia le sue creature: "Mi rallegri, Signore, con le tue meraviglie, esulto per l’opera delle tue mani. Come sono grandi le tue opere, Signore, quanto profondi i tuoi pensieri!" (Sal 92,5-6).  "Gioiscano i cieli, esulti la terra, frema il mare e quanto racchiude; esultino i campi e quanto contengono, si rallegrino gli alberi della foresta davanti al Signore che viene" (Sal 96,11-13).  "Egli lo trovò in terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo circondò, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio. Come aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le sue ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali. Il Signore lo guidò da solo, non c’era con lui alcun dio straniero. Lo fece montare sulle alture della terra e lo nutrì con i prodotti della campagna; gli fece succhiare miele dalla rupe e olio dai ciottoli della roccia; crema di mucca e latte di pecora insieme al grasso di agnelli, arieti di Basan e capri, fior di farina di frumento e sangue di uva, che bevvero spumeggiante" (Dt 32,10-14). Per questo motivo Israele deve avere la gioia che Dio esige come segno dell’amore corrisposto; altrimenti Dio metterà il suo popolo alla prova: "Poiché non avrai servito il Signore tuo Dio con gioia e di buon cuore in mezzo all’abbondanza di ogni cosa, servirai i tuoi nemici che il Signore manderà contro di te, in mezzo alla fame, alla sete, alla nudità e alla mancanza di ogni cosa" (Dt 28,47-48). La potenza di Dio è anche una potenza che salva dalla schiavitù d’Egitto e in tutti i momenti della storia successiva. L’amore salvante diviene un nuovo incitamento a gioire: "Io gioirò nel Signore, esulterò in Dio mio salvatore" (Ab 3,18). Una salvezza che non solo afferra la storia, ma il cuore dell’uomo. Dio trasforma il loro cuore di pietra in un cuore di carne (Ez 36,26) e così una nuova gioia nascerà in loro: "Hai messo più gioia nel mio cuore di quando abbondano vino e frumento" (Sal 4,8). Infine la potenza di Dio è una potenza che perdona con innamorata longanimità: "Egli perdona tutte le tue colpe... Non ci tratta secondo i nostri peccati... Come dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe. Come un padre ha pietà dei suoi figli, così il Signore ha pietà di chi lo teme. Perché egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere" (Sal 103,3-14). E la commozione di questa misericordia che perdona è nuovo motivo di gioia per Israele: "Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato... Purificami con issopo e sarò mondo; lavami e sarò più bianco della neve. Fammi sentire gioia e letizia, esulteranno le ossa che hai spezzato... Rendimi la gioia di essere salvato" (Sal 51,1-14).

3 - Un terzo motivo di gioia per Israele è la presenza di Dio nel tempio e la sua legge. Dio stesso dice a Isaia: "Si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme una gioia, e del suo popolo un gaudio" (Is 65,18). Gerusalemme infatti "è la gioia di tutta la terra" (Sal 48,3), è la città dell’arca dell’alleanza e del tempio, casa dell’Eterno, santa dimora di Dio che fa trasalire di gioia quanti la amano: "Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa quanti la amate. Sfavillate di gioia con essa voi tutti che avete partecipato al suo lutto. Così succhierete al suo petto e vi sazierete delle sue consolazioni; succhierete, deliziandovi, all’abbondanza del suo seno. Poiché così dice il Signore: "Ecco io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la prosperità; come un torrente in piena la ricchezza dei popoli; i suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati. Come una madre consola un figlio così io vi consolerò; in Gerusalemme sarete consolati. Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come erba fresca" (Is 66,10-14). Per gli ebrei non ci sarà più gioia senza Gerusalemme. E la tristezza della lontananza da essa è espressa meravigliosamente nel salmo 137. Insieme con la gioia della città santa di Dio, scaturisce la gioia delle feste che in essa si celebrano (Sal 100). La festività religiosa che mette il popolo eletto in comunicazione particolare col suo Dio, sarà sempre tripudio di gioia: "Gioirai davanti al Signore tuo Dio tu, tuo figlio, tua figlia, il levita che sarà nelle tue città e l’orfano e la vedova che saranno in mezzo a te" (Dt 16,11). Israele canta la sua gioia per la legge del Signore: "Beato l’uomo... che si compiace della legge del Signore e la sua legge medita giorno e notte" (Sal 1,2). Il salmo 119 è un grandioso elogio della legge divina: "Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia più che in ogni altro bene" (v. 14); "Mia eredità per sempre i tuoi comandamenti, sono essi la gioia del mio cuore" (v. 111); "Io gioisco per la tua promessa, come uno che trova un grande tesoro" (v. 162); "Desidero la tua salvezza, Signore, e la tua legge è tutta la mia gioia" (v. 174). Abbiamo accennati alcuni temi della gioia di Dio nell’AT. Giustamente il salmista parla del "Dio della mia gioia e del mio giubilo" (Sal 43,4) e canta: "Con voci di gioia ti loderà la mia bocca... Esulto di gioia all’ombra delle tue ali" (Sal 63,6-8). Veramente davanti al volto di questo Dio il nostro gaudio deve risuonare costantemente: "Beato il popolo che ti sa acclamare e cammina, o Signore, alla luce del tuo volto: esulta tutto il giorno nel tuo nome, nella tua giustizia trova la sua gloria" (Sal 89,16-17). È il Signore che ci indica la via della gioia piena e della dolcezza senza fine: "Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra" (Sal 16,11). Il timorato amante di Dio esorta tutti a lanciare grida di gioia all’Eterno: "Acclami al Signore tutta la terra, gridate, esultate con canti di gioia. Cantate inni al Signore con l’arpa, con l’arpa e con suono del corno acclamate davanti al re, il Signore. Frema il mare e quanto racchiude, il mondo e i suoi abitanti. I fiumi battano le mani, esultino insieme le montagne davanti al Signore che viene" (Sal 98,4-9).

il testo base 
“La vostra tristezza si cambierà in gioia” A cura di Jessica Bagalà*

http://fuci.net/phocadownload/la_vostra_tristezza_si_cambier_in_gioia.pdf


domenica 6 ottobre 2019

6 Ottobre 2019..... E Abbà disse

L'immagine può contenere: cielo, spazio all'aperto e natura

Un padre del deserto di Scete, benché fosse uomo di grande preghiera, temeva molto la morte. Un giorno chiese consiglio ad un anziano, il quale gli disse:
— C'è molta differenza fra la tomba e la latrina?
No. Quando bisogna andarci, bisogna andarci.


Disse ancora l'Abate Iperichio:
è bene mangiare carne e bere vino piuttosto che divorare le carni dei propri fratelli denigrandoli.


L'Abate Anastasio aveva un libro scritto su pergamena finissima, che valeva diciotto soldi,e in esso aveva sia il Vecchio che il Nuovo Testamento in versione integrale.
Una volta un fratello venne a trovarlo e vedendo il libro se ne andò con esso. Così il giorno in cui l'Abate Anastasio andò per leggere il proprio libro e trovò che non c'era più, capì che il fratello l'aveva preso. Ma non gli mandò dietro nessuno, per chiederne notizia, per timore che il fratello potesse aggiungere una bugia al furto. Poi il fratello scese nella città più vicina per vendere il libro. E il prezzo che chiese fu di sedici soldi. Il compratore disse: Dammi il libro, affinché possa scoprire se vale tanto. Con ciò, il compratore portò il libro da vedere a sant'Anastasio e disse: Padre, dà un'occhiata a questo libro, per favore, e dimmi se pensi che dovrei comprarlo per sedici soldi. Vale dunque così tanto? L'Abate Anastasio disse: Si, è un bel libro, vale tutto quel prezzo. Così il compratore ritornò dal fratello e disse: Ecco il tuo denaro. Ho mostrato il libro all'Abate Anastasio che ha detto che è bello e che vale almeno sedici soldi. Ma il fratello disse: E’ tutto ciò che ha detto? Ha fatto altre osservazioni? No, disse il compratore, non ha detto altro. Beh! disse il fratello, ho cambiato idea, e dopo tutto non voglio vendere questo libro. Allora andò di corsa dall'Abate Anastasio e lo supplicò in lacrime di riprendersi il libro. Ma l'Abate non volle accettarlo, dicendo: Va' in pace, fratello, te ne faccio dono. Ma il fratello disse: Se non lo riprenderai, non avrò mai più pace. Dopo quell'episodio il fratello abitò con l'Abate Anastasio per il resto della sua vita.

L'Abate Ammone disse di aver passato quattordici anni a Sceta pregando Dio giorno e notte di dargli la forza di vincere la collera.


Il male non e' nella natura umana ....perche' Dio non ha fatto nulla di cattivo....se qualcuno lo e', questo e' cio' che la sua volonta', ha voluto che fosse. (Diadoco di Fotica)


Quando Dio vedrà che ti affidi a Lui più che a te stesso, allora una forza a te sconosciuta verrà ad abitare in te.
(Isacco di Ninive)



Un giorno un giovane monaco disse ad un padre del deserto:
"Abba, dimmi qual è l'opera più difficile del monaco"
L'Abba rispose: "Dimmi tu quale pensi che sia";
Il giovane monaco disse: "Forse é la vita comune", ma l'Abba rispose: "No, no figliolo, prima o poi gli uomini, per cattivi che siano, a forza di stare insieme si vogliono bene".
L'altro riprese: "Ma allora qual è? La castità?",
" No figliolo, tu senti la castità come un problema grosso perché hai vent'anni, ma aspetta ancora qualche anno e tutto declinerà, tutto si acquieterà".
"Ma allora che cos'è padre l'opera più difficile del monaco?
Forse la teologia, studiare di Dio, parlare di Dio?".
L'Abba gli disse: "No figliolo, guardati intorno: quanti ecclesiastici parlano di Dio dalla mattina alla sera! Sei mai stato nelle chiese? Tutti discutono su Dio! No, no –continuò l'anziano–, è tanto facile parlare su Dio: molta gente di chiesa se non avesse quello da fare non saprebbe come passare la giornata".
"A questo punto dimmelo tu, Abba, qual è l'opera più difficile del monaco".
"E' pregare. Pregare dando del tu a Dio".
E aggiunse:
"ricordati che un uomo, tre giorni dopo morto, di fronte alla presenza di Dio prova ancora difficoltà a guardarlo in faccia, a dirgli Padre e a dargli del tu.
Questa è l'opera più difficile".

Abba Nilo disse:《 Non desiderare che ti avvenga come a te sembra bene, ma come a Dio piace, e sarai libero da turbamento e colmo di gratitudine nella tua preghiera》.
Nel deserto di Scete capitò che piovve per tre giorni, cosa inaudita. Un giovane fratello, preoccupato, chiese a un anziano:
— Abba, e se fosse un nuovo diluvio?
— Impossibile — rispose l'anziano — poiché l'inutilità del primo diluvio impedisce a Dio di mandarne un altro.

Non dire mai che Dio è giusto.
Se fosse giusto, saresti all'inferno.
Affidati solo alla sua ingiustizia che è misericordia, amore e perdono.
Sant'Isacco il siriano