lunedì 25 maggio 2020

Il nostro Padre tra i Santi beda il venerabile omelie e meditazioni



La Quaresima della Natività del Teantropo 

Dal «Commento su san Luca» di san Beda il Venerabile, sacerdote 

1, 46-55; CCL 120, 37-39 

«Maria disse: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito 
esulta in Dio, mio Salvatore» (Lc 1, 46). Dice: il Signore mi ha 
innalzato con un dono così grande e così inaudito che non è possibile 
esprimerlo con nessun linguaggio: a stento lo può comprendere il 
cuore nel profondo. Levo quindi un inno di ringraziamento con tutte 
le forze della mia anima e mi do, con tutto quello che vivo e sento e 
comprendo, alla contemplazione della grandezza senza fine di Dio, 
poiché il mio spirito si allieta della eterna divinità di quel 
medesimo Gesù, cioè del Salvatore, di cui il mio seno è reso fecondo 
con una concezione temporale.
«Perché ha fatto in me cose grandi l'Onnipotente, e santo è il suo 
nome» (cfr. Lc 1, 49). Si ripensi all'inizio del cantico dove è 
detto: «L'anima mia magnifica il Signore». Davvero solo quell'anima a 
cui il Signore si è degnato di fare grandi cose può magnificarlo con 
lode degna ed esortare quanti sono partecipi della medesima promessa 
e del medesimo disegno di salvezza: Magnificate con me il Signore, 
esaltiamo insieme il suo nome (cfr. Sal 33, 4). Chi trascurerà di 
magnificare, per quanto sta in lui, il Signore che ha conosciuto e di 
santificare il nome, «sarà considerato il minimo nel regno dei cieli» 
(Mt 5, 19).
Il suo nome poi è detto santo perché con il fastigio della sua 
singolare potenza trascende ogni creatura ed è di gran lunga al di là 
di tutto quello che ha fatto.
«Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia» 
(Lc 1, 54). Assai bene dice Israele servo del Signore, cioè 
ubbidiente e umile, perché da lui fu accolto per essere salvato, 
secondo quanto dice Osea: Israele è mio servo e io l'ho amato (cfr. 
Os 11, 1). Colui infatti che disdegna di umiliarsi non può certo 
essere salvato né dire con il profeta: «Ecco, Dio è il mio aiuto, il 
Signore mi sostiene» (Sal 53, 6) e: Chiunque diventerà piccolo come 
un bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli (cfr. Mt 18, 4).
«Come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua 
discendenza, per sempre» (Lc 1, 55). Si intende la discendenza 
spirituale, non carnale, di Abramo; sono compresi, cioè, non solo i 
generati secondo la carne, ma anche coloro che hanno seguito le orme 
della sua fede, sia nella circoncisione sia nell'incirconcisione. 
Anche lui credette quando non era circonciso, e gli fu ascritto a 
giustizia. La venuta del Salvatore fu promessa ad Abramo e alla sua 
discendenza, cioè ai figli della promessa, ai quali è detto: «Se 
appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi 
secondo la promessa» (Gal 3, 29). 
E' da rivelare poi che le madri, quella del Signore e quella di 
Giovanni, prevengono profetando la nascita dei figli: e questo è bene 
perché come il peccato ebbe inizio da una donna, così da donne 
comincino anche i benefici, e come il mondo ebbe la morte per 
l'inganno di una donna, così da due donne, che a gara profetizzano, 

In aurora Nativitatis Domini

Affrettiamoci anche noi, fratelli miei, non coi passi dei piedi ma con l'avanzare nel bene; contempleremo la sua umanità glorificata insieme con i suoi ministri ricompensati con giusta mercede del loro servizio. Affrettiamoci a vedere il Signore, che risplende nella divina maestà, sua e del Padre. Affrettiamoci, dico: non dobbiamo cercare tanta beatitudine nella pigrizia e nel torpore, ma dobbiamo seguire le orme di Cristo con alacrità. Dalle Omelie di Beda il Venerabile Homilia VI, In aurora Nativitatis Domini, in PL 94,35-36.


Dalle omelie di San Beda il Venerabile
Omelia n 21  CCL 122, 149-151)



 Gesù lo  guardò con sentimento di pietà e lo scelse. Gesù vide un uomo, chiamato Matteo,  seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi” (Mt 9, 9).



Vide non tanto  con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore.  Vide un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli  disse: “Seguimi”. Gli disse “Seguimi”, cioè imitami.
Seguimi, disse, non tanto  col movimento dei piedi quanto con la pratica della vita. Infatti “chi dice di  dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato” (1 Gv 2, 6). ”  Ed egli si alzò, prosegue, e lo seguì ” (Mt 9, 9). Non c’è da meravigliarsi che  un pubblicano alla prima parola del Signore, che lo invitava, abbia abbandonato  i guadagni della terra che gli stavano a cuore e, lasciate le ricchezze, abbia  accettato di seguire colui che vedeva non avere ricchezza alcuna. Infatti lo stesso Signore che lo chiamò esternamente con la parola, lo istruì all’interno con un’invisibile spinta a seguirlo. Infuse nella sua mente la luce della grazia spirituale con cui potesse comprendere come colui che sulla terra lo strappava alle cose temporali, era capace di dargli in cielo tesori incorruttibili.
“Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli” (Mt 9, 10). Ecco dunque che la conversione di un solo pubblicano servì di stimolo a quella di molti pubblicani e peccatori, e la remissione dei suoi peccati fu modello a quella di tutti costoro. Fu un autentico e magnifico segno premonitore di realtà future. Colui che sarebbe stato apostolo e maestro della fede, attirò a sé una folla di peccatori già fin dal primo momento della sua conversione. Egli cominciò, subito all’inizio, appena apprese le prime nozioni della fede, quella evangelizzazione che avrebbe portato avanti di pari passo col progredire della sua santità.
Se desideriamo penetrare più a fondo nel significato di ciò che è accaduto, capiremo che egli non si limitò a offrire al Signore un banchetto per il suo corpo nella propria abitazione materiale ma, con la fede e l’amore, gli preparò un convito molto più gradito nell’intimo del suo cuore. Lo afferma colui che dice: ” Ecco sto alla porta e busso; se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me ” (Ap 3, 20).Gli apriamo la porta per accoglierlo, quando udita la sua voce, diamo volentieri il nostro assenso ai suoi segreti o palesi inviti e ci applichiamo con impegno nel compito da lui affidatoci. Entra quindi per cenare con noi e noi con lui, perché con la grazia del suo amore viene ad abitare nei cuori degli eletti, per ristorarli con la luce della sua presenza. Essi così sono in grado di avanzare sempre più nei desideri del cielo. A sua volta, riceve anche lui ristoro mediante il loro amore per le cose celesti, come se gli offrissero vivande gustosissime.

Il martirio del Precursore Giovanni Battista Dalle «Omelie» di san Beda, il Venerabile, sacerdote

Dalle «Omelie» di san Beda, il Venerabile, sacerdote
(Om. 23; CCL 122, 354. 356. 357)
Il beato precursore della nascita del Signore, della sua predicazione e della sua morte, dimostrò una forza degna degli sguardi celesti nel suo combattimento. Anche se agli occhi degli uomini ebbe a subire tormenti, la sua speranza è piena di immortalità, come dice la Scrittura (cfr. Sap 3, 4). E' ben giusto che noi ricordiamo con solenne celebrazione il suo giorno natalizio. Egli lo rese memorabile con la sua passione e lo imporporò del suo sangue. E' cosa santa venerarne la memoria e celebrarla in gioia di spirito. Egli confermò con il martirio la testimonianza che aveva dato per il Signore.
San Giovanni subì il carcere e le catene a testimonianza per il nostro Redentore, perché doveva prepararne la strada. Per lui diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, ma solo di tacere la verità. Tuttavia morì per Cristo.
Cristo ha detto: «Io sono la verità» (Gv 14, 6), perciò proprio per Cristo versò il sangue, perché lo versò per la verità. E siccome col nascere, col predicare, col battezzare doveva dare testimonianza a colui che sarebbe nato, avrebbe predicato e battezzato, così soffrendo segnalò anche che il Cristo avrebbe sofferto.
Un uomo di tale e tanta grandezza pose termine alla vita presente con lo spargimento del sangue dopo la lunga sofferenza della catene. Egli annunziava la libertà della pace superna e fu gettato in prigione dagli empi. Fu rinchiuso nell'oscurità del carcere colui che venne a rendere testimonianza alla luce e che dalla stessa luce, che è Cristo, meritò di essere chiamato lampada che arde e illumina. Fu battezzato nel proprio sangue colui al quale era stato concesso di battezzare il Redentore del mondo, di udire la voce del Padre su di lui e di vedere la grazia dello Spirito Santo scendere sopra di lui.
Ma a persone come lui non doveva riuscire gravoso, anzi facile e bello sopportare per la verità tormenti transitori ripagabili con le gioie eterne. Per uno come lui la morte non riusciva un evento ineluttabile o una dura necessità. Era piuttosto un premio, una palma di vita eterna per la confessione del nome di Cristo.
Perciò ben dice l'Apostolo: «A voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui» (Fil 1, 29). Chiama grazia di Cristo che gli eletti soffrano per lui: «Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà esser rivelata in noi» (Rm 8, 18).




La vigilanza cristiana Beda il Venerabile, In Evang. Marc., 4, 13, 33-37


State attenti! Vegliate e pregate, perché non sapete quando verrà il momento" (Mc 13,33-34).

       «È come un uomo che, partito per un lungo viaggio, ha lasciato la sua casa e ha conferito ai suoi servi l’autorità di compiere le diverse mansioni, e ordini al guardiano di vigilare. Chiaramente rivela il perché delle parole: «Riguardo poi a quel giorno o a quell’ora nessuno sa nulla, né gli angeli che sono in cielo, né il Figlio, ma solo il Padre". Non giova agli apostoli saperlo affinché, stando nell’incertezza, credano con assidua attesa che stia sempre per venire quel giorno di cui ignorano il momento dell’arrivo. Inoltre non ha detto "noi non sappiamo" in quale ora verrà il Signore, ma "voi non sapete" (Mt 24,42). Coll’esempio del padrone di casa spiega con maggiore chiarezza perché taccia sul giorno della fine. Questo è quanto dice:

       "Vigilate dunque; non sapete infatti quando viene il padrone di casa, se di sera, se a mezzanotte, se al canto del gallo, se di mattina; questo affinché, venendo all’improvviso, non vi trovi a dormire (Mc 13,35-36).

       «L’uomo - che è partito per un viaggio e ha lasciato la sua casa, - non v’è dubbio che sia Cristo, il quale, ascendendo vittorioso al Padre dopo la risurrezione, ha abbandonato col suo corpo la Chiesa, che tuttavia mai è abbandonata dalla sua divina presenza poiché egli rimane in lei per tutti i giorni fino alla fine dei secoli. Il luogo proprio della carne è infatti la terra, ed essa viene guidata come in un paese straniero quando è condotta e alloggiata in cielo dal nostro Redentore» (Mt 28,20).

       Egli ha dato ai suoi servi l’autorità per ogni mansione, in quanto ha donato ai suoi fedeli, con la grazia concessa dello Spirito Santo, la facoltà di compiere opere buone. Ha ordinato poi al guardiano di vegliare, in quanto ha stabilito che incombe alla categoria dei pastori e delle guide spirituali di prendersi cura con abile impegno della Chiesa loro affidata.

       "Ciò che dico a voi, lo dico a tutti: Vigilate!" (Mc 13,37).

       Non solo agli apostoli e ai loro successori, che sono le guide della Chiesa, ma anche a tutti noi ha ordinato di vigilare. Ha ordinato a tutti noi con insistenza di custodire le porte dei nostri cuori, per evitare che in essi irrompa l’antico nemico con le sue malvagie suggestioni. Ed affinché il Signore, venendo, non ci trovi addormentati, dobbiamo tutti stare assiduamente in guardia. Ciascuno infatti renderà a Dio ragione di se stesso.

       «Ma veglia chi tiene aperti gli occhi dello spirito per guardare la vera luce; veglia chi conserva bene operando ciò in cui crede; veglia chi respinge da sé le tenebre del torpore e della negligenza. Per questo Paolo dice: Vegliate giusti e non peccate; e aggiunge È ormai il momento di destarci dal sonno» (1Co 15,34 Rm 13,11).

       Beda il Venerabile, In Evang. Marc., 4, 13, 33-37




Riferisce Beda il Venerabile sul re di Northumbria Edwin

Riferisce Beda il Venerabile, monaco e storico, che il re di Northumbria Edwin, intorno al 625, incerto circa l’opportunità di convertirsi al cristianesimo, chiese consiglio ai suoi dignitari. Uno di essi rispose così:

O re, la vita degli uomini sulla terra, a confronto di tutto il tempo che ci è sconosciuto, mi sembra come quando tu stai a cena coi tuoi dignitari d’inverno, col fuoco acceso e le sale riscaldate, mentre fuori infuria una tempesta di pioggia e di neve, e un passero entra in casa e passa a volo velocissimo. Mentre entra da una porta e subito esce dall’altra, per questo poco tempo che è dentro non è toccato dalla tempesta ma trascorre un brevissimo momento di serenità; ma subito dopo dalla tempesta di nuovo rientra nella tempesta e scompare ai tuoi occhi. Così la vita degli uomini resta in vista per un momento, e noi ignoriamo del tutto che cosa sarà dopo, che cosa è stato prima. Perciò, se questa nuova dottrina ci fa conoscere qualcosa di più certo, senz’altro merita di essere seguita.
Venerabile Beda, Storia ecclesiastica degli Angli, II, 13; a cura di G. Simonetti Abbolito, Città Nuova 1987, p. 143.








SERMON SUR LA PENTECOTE PAR BEDE
Hillsdale College Department of Philosophy and Religion
FROM A SERMON ON PENTECOST BY BEDE
Transcribed by James Kiefer

Remarquez comme la fête juive de la Loi [Torah] est une préfiguration de notre fête de ce jour. Quand les enfants d'Israël eurent été libérés de l'esclavage d'Égypte après l'offrande de l'agneau pascal, ils voyagèrent à travers le désert, en route vers la Terre Promise, et ils atteignirent le Mont Sinaï. Le 50ème jour après la Pâque, le Seigneur descendit sur la montagne dans le feu, le son des trompettes, le tonerre et les éclairs. Il leur donna alors les 10 Commandements de la Loi. Comme mémorial du don de la Loi, Il décrêta une fête annuelle en ce jour, avec offrande des prémices, sous la forme de 2 miches de pain, réalisées avec les premiers grains de la nouvelle moisson, qu'ils devaient amener à l'autel. Nous savons déjà que l'Agneau Pascal et la délivrance d'Égypte préfiguraient la mort du Christ et notre délivrance du péché, comme il est écrit : "Christ notre Agneau Pascal est sacrifié pour nous" (1 Co 5,7). Il est le véritable Agneau Qui a enlevé le péché du monde (Jean 1,29), Qui nous a racheté de l'esclavage du péché au prix de Son sang, et qui par l'exemple de Sa résurrection nous a montré l'espoir de la vie et de la liberté éternelle. La Loi fut donnée au 50ième jour après le sacrifice de l'agneau, quand le Seigneur descendit sur la montagne dans le feu; de la même manière au 50ième jour après la résurrection de notre Rédempteur, c'est à dire aujourd'hui, la grâce du Saint Esprit, descendant sous l'apparence extérieure du feu, fut donnée aux disciples alors qu'ils étaient assemblés dans la chambre haute.
La hauteur de la montagne, et l'élévation de la chambre haute, indiquent toutes deux la subliminité du commandement et du don. Lorsque fut scellée la première Alliance, le peuple demeura au pied de la montagne, un groupe d'ancien grimpant en partie, et seul Moïse allant jusqu'au sommet. Lorsque fut scellée la seconde Alliance, toute la communauté du peuple de Dieu était assemblée au sommet, dans la chambre haute. De même que l'observance de la Loi fut donnée à une seule nation - "Il n'a pas agit ainsi avec aucune autre nation, pas plus que les païens n'ont connaissance de Sa Loi" (Psaume 147,20) -- mais les dons de l'Esprit à l'Église sont pour la proclamation de l'Évangile à toute personne vivant sur la face de la terre -- "Le Nom du Seigneur est loué du lever du soleil jusqu'à son coucher" (Malachie 1,11).
Lors de la fête juive de la Pentecôte, il fallait offrir au Seigneur chaque année et pour toujours 2 miches de pain, les prémices de la nouvelle moisson. Ainsi à la descente du Saint Esprit, l'Évangile fut prêché avec puissance, et ce jour-là, nombreux entendirent et crurent et furent baptisés, et des hommes de toutes les nations sous le ciel, près de 3.000 âmes furent ajoutées à l'Église, prémices de la Nouvelle Alliance. Ainsi chaque année à la fête de la Pentecôte, l'Église baptise, et ainsi apporte au Seigneur une offrande des prémices des rachetés de la face de la terre, une offrande tant de Juifs que de païens, de la même façon que les 2 miches de pain.
Observez comment la Loi fut donnée au peuple d'Israël au 50ième jour de leur voyage vers le Pays du Repos qui leur fut promis en Canaan. De la même manière, la grâce de l'Esprit fut donné au peuple de la Nouvelle Alliance au 50ième jour, afin que nous puissions percevoir que notre voyage est dirigé vers le Pays Céleste qui est notre Éternel Repos, notre lieu de profonde et durable satisfaction. Dans la loi, la 50ième année fut ordonnée de s'appeler l'Année Jubilaire. Durant cette année-là, toutes les dettes devaient être annulées, tous les esclaves être affranchis, les bêtes de somme être allégées de leur joug, et l'année consacrée à célébrer les divines louanges. Par conséquent, par ce nombre est indiquée précisément la tranquilité de cette plus grande paix à venir, quand au son de la trompette, les morts se relèveront impérissables, et nous serons tous changés en gloire. Alors, quand nous sommes libérés de tous les jougs du péché, et de nos dettes, c'est-à-dire de nos fautes - qui ont toutes été pardonnées et annulées, - tout le peuple de Dieu s'adonnera à la contemplation de la Céleste vision, et le commandement du Seigneur sera accompli : "Soyez en paix, et apprennez que Je suis Dieu".


San Beda il Venerabile (+735), monaco e sacerdote anglosassone, commentatore della Sacra Scrittura, ci ha lasciato una bella omelia per la festa della Trasfigurazione (6/19 agosto)

Apparvero Mosè ed Elia nella loro maestà e parlavano della sua dipartita che si sarebbe realizzata a Gerusalemme. Perciò Mosè ed Elia che sul monte parlarono col Signore della sua passione e risurrezione significano le predizioni della Legge e dei profeti che si sono realizzate nel Signore, come ora è evidente a ogni persona dotta e ancora più evidente risulterà in futuro a tutti gli eletti. E giustamente Luca dice che quelli apparvero nella loro maestà, poiché allora si vedrà più apertamente con quanto decoro di verità siano stati proferiti i discorsi divini, non solo quanto al senso ma anche quanto alla forma. In Mosé ed Elia si possono anche comprendere tutti quelli che regneranno col Signore ... Concorda anche il fatto che essi parlavano della dipartita di Gesù, che si sarebbe realizzata a Gerusalemme, perché unica materia di lode per i fedeli diventa la passione del Redentore, e quanto più essi tengono a mente che non si possono salvare senza la sua grazia, tanto più forte conservano sempre in petto la memoria di questa grazia e l’attestano con devota confessione.
Ma quanto più ciascuno di noi gusta la dolcezza della vita celeste, tanto più prova disgusto di tutto ciò che di terreno ci dilettava: perciò giustamente Pietro, vista la maestà del Signore e dei suoi santi, dimentica subito tutto ciò che di terreno aveva appreso, e gode di aderire per sempre alla sola realtà che vede, dicendo: Signore è bene che noi stiamo qui; se vuoi innalziamo qui tre tende, una per te, una per Mosè, e una per Elia

Certo Pietro non sapeva quello che diceva quando nel mezzo della conversazione celeste pensò di fare delle tende. Infatti non sarà necessaria alcuna casa nella gloria della vita celeste, dove nella completa pace, nella luce della contemplazione celeste non resterà da temere alcuna avversità, come testimonia l’apostolo Giovanni che descrivendo lo splendore di questa città superna, dice tra l’altro: Non ho visto tempio in essa perché sono tempio il Signore onnipotente e l’Agnello (Ap 21, 22). 
Ma Pietro ben sapeva che cosa diceva quando disse: Signore, è bene che noi stiamo qui, perché in realtà per l’uomo il solo bene è entrare nel gaudio del Signore e stargli vicino contemplandolo in eterno. Perciò a ragione riteniamo che non abbia goduto mai di un vero bene chi, a causa della sua colpa, non ha mai potuto contemplare il volto del suo Creatore. Che se Pietro, contemplata l’umanità glorificata di Cristo, è preso da tanta gioia da non voler più essere distolto da tale visione, quale beatitudine pensiamo, fratelli carissimi, che abbiano raggiunto coloro che hanno meritato di contemplare l’eccellenza della sua divinità? E se quello considerò sommo bene contemplarne l’aspetto trasfigurato sul monte insieme soltanto con Mosè ed Elia, quale parola può spiegare, quale concetto comprendere quale sarà la gioia dei giusti quando si avvicineranno al monte Sion, alla città del Dio vivente, Gerusalemme, e alla moltitudine degli angeli (cfr. Eb 12, 22), e quando contempleranno Dio, creatore di questa città non attraverso uno specchio, per enigma, ma a faccia a faccia (1 Cor 13, 12)? Di questa visione proprio Pietro parla ai fedeli a proposito del Signore: Nel quale ora credete pur non vedendolo; e quando lo vedrete esulterete di letizia inenarrabile e glorificata (1 Pt 1, 8)



Dalle Omelie di san Beda il Venerabile.
In Natale sancti lacobi apostoli,Lib.II,hom.18. PL94,228-233.



Poiché desiderava sanare le ferite della superbia umana, il nostro Creatore e Redentore, il Signore Gesù Cristo, pur essendo di natura divina, divenne simile agli uomini umilio sé stesso facendosi obbediente fino alla morte.1.( Fil 2,6.8)

Con l'esempio Gesù ci ha avvisati che se vogliamo arrivare al culmine della vera altezza, dobbiamo intraprendere il cammino dell'umiltà. Se bramiamo vedere la vera vita, il Maestro ci esorta a soffrire con pazienza le avversità del mondo presente e perfino la morte.

Gesù ci ha promesso i doni della gloria, ma ci ha preannunziato i rischi della battaglia. Ecco la sua promessa.



Amate i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare nulla a, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo. 2.( Lc 6,35 ) Dunque, Gesù promette ai suoi la dorata, ricompensa della vita eterna; però segnala che prima è,
necessario passare per una porta stretta e uno scomodo sentiero.


2



Per giungere sulla cima d’un monte, bisogna affrontare, rudi fatiche; quanto sforzo sarà allora necessario per avere, la vita in cielo e riposare sul monte di Dio, di cui parla, il salmista? 3( Sal 14,1 ) Quando i figli di Zebedeo sollecitano da Gesù di sedere

accanto a lui nel suo Regno, il Signore ribatte offrendo loro il suo calice da bere. Li invita cioè a imitare l'agonia della sua passione, perché ricordino che i beni del cielo si acquistano in terra al duro prezzo dell'abiezione e della prova.


Si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli e si prostro per chiedergli qualcosa.4.( Mt 20,20 )


Possiamo immaginare che una tale richiesta fosse provocata da eccessivo affetto materno o da desideri ancora egoistici da parte dei discepoli, forti di una parola del Maestro: Quando il Figlio dell'uomo sarà seduto sul trono della sua gloria siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele.5.( Mt19,28 )


D'altronde Giacomo e Giovanni si sapevano amati in modo speciale dal Signore. L'evangelista ricorda che Gesù talvolta li prendeva in disparte con Pietro, per renderli partecipi di misteri che agli altri rimanevano nascosti.


3



L'amore di predilezione che Gesù testimonia a Pietro, Giacomo e Giovanni si manifesta nei nomi nuovi che loro dà. Simone merita di essere chiamato Pietro per la fortezza e la stabilità della sua fede inespugnabile. Giacomo e Giovanni si vedono soprannominati da Gesù "i figli dei tuono perché insieme con Pietro udirono la voce del Padre quando Gesù si trasfigurò sul monte.

Ai figli di Zebedeo certo era stato rivelato molto di più sui misteri divini che non agli altri discepoli, ma a loro importava soprattutto aderire con cuore indiviso al Signore e sentirsi avvolti dal suo amore.

Per tali motivi, Giacomo e Giovanni supponevano che fosse possibile aspirare di sedere più da vicino al Signore nel Regno, specie perché Giovanni, per la sua verginità e la grande purezza di cuore, era tanto caro a Gesù da poggiare il capo sul petto di lui durante la cena.

Ma ascoltiamo ora che risposta dà a tale richiesta colui che conosce i meriti e distribuisce le dignità.


4



La semplicità tinta d'affetto e di fiducia, con cui i figli di Zebedeo chiedono di sedere accanto al Signore nel suo Regno, è certo degna di lode. Tuttavia sarebbe stato meglio che, coscienti della loro fragilità, essi avessero avuto la saggia umiltà di dire: Per me stare sulla soglia della casa del mio Dio è meglio che abitare nelle tende degli empi.6.( Sal 83, 11 )


Non sanno quello che chiedono nel reclamare dal Signore l'eccellenza del premio prima di aver fornito la perfezione delle opere. Ma il divino Maestro insinua loro ciò che va cercato in priorità, rammentando che la strada della fatica è l'unico percorso che sfocia nel relativo compenso.

Egli dice loro: Potete bere il calice che io sto per bere ?7.( Mt 20,22 ) Il calice simboleggia le amarezze della passione. I giusti d'ogni tempo possono condividere le sofferenze del Signore, perché queste continuamente riaffiorano nella crudeltà dei miscredenti. Ogni uomo che le accetti con umiltà, con pazienza, persino con gioia a causa di Cristo, regnerà in alto con lui.

Ai figli di Zebedeo, bramosi dei primi posti, Gesù espone la necessità di seguire anzitutto l'esempio della sua passione per raggiungere finalmente il culmine della gloria desiderata.

L'apostolo Paolo offre il medesimo insegnamento di vita, quando scrive: Se siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione.8.( Rm 6, 5 )



5



Gesù dice ai figli di Zebedeo: Non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra ma e per coloro per i quali e stato preparato dal Padre mio.9.( Mt 20,23 ) Se quello che fa il Padre, anche il Figlio lo fa, 10( Gv 5, 19 ) Gesù come può dire che non sta a lui concederlo se non perché egli è insieme Dio e uomo?

Nel vangelo Gesù talvolta parla con la voce della maestà divina, per cui è uguale al Padre, talvolta parla con la voce dell'umanità assunta, per la quale si è fatto uguale a noi.

Poiché nel testo odierno egli vuol dare agli uomini un esempio di umiltà, parla essenzialmente con la voce della sua natura umana.

Abbiamo visto che la madre viene con i figli a presentargli una richiesta. La donna lo interroga in quanto uomo che ignori quello che è occulto e non conosca il futuro, lui che nell'eternità della potenza divina sa tutto quello che deve accadere.

Questa donna si rivolge all'umanità di Gesù più che alla sua divinità, perché chiede che i figli possano sedere alla sua destra e alla sua sinistra. In quanto ha assunto un corpo, il Figlio ha infatti una destra e una sinistra; ma in quanto Dio, ciò non ha senso.

Poiché Gesù è interrogato in quanto uomo, risponde facendo astrazione della sua divinità impassibile e parla della passione che dovrà subire come uomo. Egli propone ai discepoli di imitare il suo itinerario doloroso e conferma la loro protesta di coinvolgimento attestando: R mio calice lo berrete. 11.( Mt 20,23 )


6



Nel commento di questo testo non va tralasciato che Gesù non fa distinzioni tra i due discepoli quando afferma che berranno il suo calice. Ora sappiamo che Giacomo terminò la vita con l'effusione del sangue, mentre Giovanni morì in un periodo di pace per la Chiesa.

Luca attesta chiaramente il martirio di Giacomo quando

scrive: In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare


alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo


fratello di Giovanni.12.( At 12,1-2 )


Da parte sua, Eusebio, nella "Storia Ecclesiastica riferisce alcuni particolari di quella passione: "Colui che aveva consegnato Giacomo al giudice. rimase sconvolto. Confessò di essere anch'egli cristiano, e ambedue furono condotti insieme al supplizio. Per via, quell'uomo chiese a Giacomo di perdonarlo. Dopo un istante di riflessione, Giacomo gli disse: 'La pace sia con te, e gli dette il bacio santo. Cosi ambedue furono decapitati". 13


7



Sappiamo che Giovanni era pronto per bere il calice di morte per il Signore. Negli Atti leggiamo di lui che insieme con gli apostoli fu lieto di aver subito gli oltraggi, il carcere e le percosse per amore del nome di Gesù. 14( At 5,41 ) Sappiamo pure che Gìovanni, a motivo della parola di Dio, fu relegato in esilio nell'isola di Patmos.

Quanto al supplizio ch'egli avrebbe sofferto sotto Domiziano, la tradizione vuole che sia stato gettato in una caldaia di olio bollente. Ma Giovanni ne usci sano e salvo,così com era integro di mente e di vita. 15

Sempre Domiziano mandò Giovanni in esilio; eppure quanto più l'Apostolo pareva privo di ogni soccorso terreno, tanto più i cittadini del cielo venivano a consolarlo.

Giovanni bevve realmente al calice del Signore tanto quanto suo fratello decapitato, giacché per le tante prove sostenute in difesa della verità, dimostrò che avrebbe prontamente affrontato la morte se si fosse presentata l'occasione.


8



Anche noi, cari fratelli, possiamo ricevere il calice di salvezza e ottenere la palma del martirio, pur senza soffrire catene, supplizi, carcere e persecuzione per la giustizia. Basterà trattare duramente il nostro corpo e tenerlo sottomesso, pregare Dio con cuore umile e pentito; basterà sopportare serenamente le offese del prossimo, amare chi non ci vuol bene, mostrarsi buoni con chi ci tratta male, impegnandoci a pregare per la loro vita e la loro salvezza. In una parola, rivestiamoci di pazienza e orniamoci del frutto di buone opere.

Seguiamo il consigio dell'Apostolo che ci esorta a offrire i nostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito aDio. 16( Rm 12.1 )

Se vivremo cosi, Dio ci ricompenserà, elargendoci la gloria riservata a coloro che per Cristo consegnarono le proprie membra al martirio.


Allora la nostra vita sarà preziosa agli occhi del Signore quanto la morte dei martiri. E quando i legami della carne si scioglieranno, meriteremo di entrare nelle dimore della Gerusalemme celeste. La, insieme con i cori dei beati, renderemo grazie al nostro Redentore che vive e regna con il Padre, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

venerdì 15 maggio 2020

Santa ed Apocalittica Notte del 15 Maggio con i Padri




Jérusalem céleste

Monastère Orthodoxe Saint-Michel du Var


Con tremore esultate nel Signore
Come è eterno il re dell'universo, il cui Regno non ha né inizio né fine, così succede che sia ricompensato lo sforzo di coloro che scelgono di patire per lui e per le virtù. Poiché gli onori della vita presente, per quanto siano splendidi, scompaiono totalmente in questa vita. Al contrario gli onori che Dio dà a coloro che ne sono degni, onori incorruttibili, restano per sempre. (...) 
      E' scritto: "Vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo" (Lc 2,10), non per una sola parte del popolo. E "tutta la terra ti adori e ti canti" (Sal 66,4 LXX). Non una sola parte della terra. Quindi non bisogna limitare. Cantare non è di coloro che chiedono aiuto, ma è di coloro che sono nella gioia. Se è così, non disperiamo mai, ma viviamo felici la vita presente, pensando alla gioia e allegria che ci porta. Tuttavia aggiungiamo alla gioia il timor di Dio, come è scritto: "Con tremore esultate" (Sal 2,11). E' così, piene di timore e grande gioia che le donne intorno a Maria corsero al sepolcro (cf Mt 28,8). Anche noi, un giorno, se aggiungiamo il timore alla gioia, ci slanceremo verso la tomba intelligibile. Mi stupisco che si possa ignorare il timore. Poiché nessuno è senza peccato, fosse pure Mosè o l'apostolo Pietro. In loro, tuttavia, l'amore divino è stato più forte, ha scacciato il timore (cf 1Gv 4,18) all'ora dell'esodo. (...)
      Chi non vuol essere detto saggio, prudente e amico di Dio, per presentare la sua anima al Signore come l'ha da lui ricevuta, pura, intatta, completamente irreprensibile? Chi non lo desidera per essere così  incoronato nei cieli e detto beato dagli angeli? 


Giovanni Carpazio (VII sec.)
monaco e vescovo
Capitoli di esortazione n. 1, 14, 89

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Giovanni Crisostomo
Omelie sul vangelo di Matteo XXIII, 2ss.

Come si può constatare, Gesù non vieta in senso assoluto di giudicare: ci ordina però di togliere prima la trave dal nostro occhio, poi di correggere gli sbagli del nostro fratello. È evidente, infatti, che ognuno di noi conosce meglio le sue condizioni che quelle degli altri: è certo, inoltre, che ognuno di noi vede meglio le cose più grandi che quelle più piccole e ama più se stesso che il prossimo. Se per sollecitudine tu fai questo, abbi cura di te stesso, là dove è più visibile e più grande il peccato. Se invece tu trascuri te stesso, è evidente che tu giudichi tuo fratello non tanto perché egli ti stia a cuore, ma perché hai avversione per lui e vuoi disonorarlo.
Non solo non togli la trave che è nel tuo occhio, ma neppure riesci a vederla; mentre non solo vedi la pagliuzza nell'occhio del fratello, ma l'esamini e pretendi di togliergliela.
II Signore ordina insomma, con questo precetto, che chi è carico di colpe non deve ergersi a giudice severo degli altri, soprattutto quando le colpe di costoro sono trascurabili. Non è che vieti genericamente di giudicare e di correggere, ma ci proibisce di trascurare le nostre colpe e di balzar su ad accusare con rigore gli altri. Agire così non può che aumentare la nostra malvagità, rendendoci doppiamente colpevoli. Chi per abitudine trascura le proprie colpe, benché siano grandi, e si preoccupa, invece, di ricercare e di sindacare con asprezza quelle degli altri, anche se sono piccole e lievi, si danneggia in due modi: prima perché trascura e minimizza i propri peccati, poi perché attira inimicizia e odio su tutti con i suoi giudizi insolenti, e ogni giorno diventa sempre più disumano e crudele.

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Detti dei Padri del Deserto

Un giorno il Padre Isacco si recò a visitare
una comunità monastica e, visto un monaco che si comportava male, lo condannò. Sulla via del ritorno, nel deserto, un angelo del Signore venne da lui ponendosi davanti alla porta del suo eremo e dicendo: "Non ti farò entrare". Abba Isacco domandò: "Ma perché?" e l'angelo rispose: "Dio mi ha mandato a chiederti dove deve gettare il peccatore che tu hai giudicato". Egli subito si pentì e disse: "Ho sbagliato, perdonami". L'angelo rispose: "Alzati, Dio ti ha perdonato. Per il futuro bada di non giudicare prima di Lui".


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"Un anziano disse:" Un uomo pensa di essere silenzioso, ma il suo cuore giudica gli altri; un tale uomo parla sempre. Un altro uomo parla dalla mattina alla sera e tuttavia mantiene il silenzio; cioè, non dice nulla di non vantaggioso".
(Dall'Everghetinos di san Nicodemo l'Alghiorita)