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Mentre era ancora a corte, il padre Arsenio pregò Dio dicendo: «Signore, guidami nella via della salvezza». E giunse a lui una voce che disse: «Arsenio, fuggi gli uomini, e sarai salvo» (88bc).
Ritiratosi a vita solitaria, pregò ancora con le stesse parole [1], e udì una voce che gli disse: «Arsenio, fuggi, taci, pratica la solitudine». È da queste radici che nasce la possibilità di non peccare. [1] Mt 26, 44.
Un giorno i demoni assalirono Arsenio nella sua cella per tormentarlo; giunsero frattanto coloro che lo servivano [1] e, stando fuori dalla cella, lo udirono gridare a Dio: «O Dio, non mi abbandonare; non ho fatto niente di buono ai tuoi occhi, ma nella tua bontà concedimi di cominciare» (PJ XV, 5).
«Si diceva che, come a corte nessuno portava vestiti più belli di lui, così tra i monaci nessuno li portava più vili» (PJ XV, 6)
Un tale disse al beato Arsenio: «Come mai tanta cultura e scienza non ci servono a nulla e questi zoticoni di egiziani possiedono tali virtù?». Il padre Arsenio gli dice: «A noi non serve a nulla la cultura mondana, ma questi zoticoni di egiziani hanno conquistato le virtù con le loro fatiche» (88d-89a; PJ X, 5).
Un giorno il padre Arsenio sottopose i suoi pensieri a un padre egiziano. Uno che lo vide gli disse: «Padre Arsenio, come mai tu che possiedi una tale cultura greco-romana interroghi sui tuoi pensieri questo sempliciotto?». Rispose: «Certo possiedo la cultura greco-romana, ma non ho ancora imparato l’alfabeto di questo semplice contadino!» (PJXV, 7)Il beato arcivescovo Teofilo si recò una volta dal padre Arsenio in compagnia di un magistrato. Chiese all’anziano di udire da lui una parola. Dopo un attimo di silenzio, egli rispose loro: «E se ve la dico, la osserverete?». Promisero di farlo. Disse loro l’anziano: «Dovunque sappiate ci sia Arsenio, non avvicinatevi» (89b; PJ II, 4a).
Un fratello chiese al padre Arsenio di dirgli una parola. L’anziano gli disse: «Lotta con tutte le tue forze perché il lavoro che fai dentro di te sia secondo Dio e così vincerai le passioni di fuori» [1] (89c; PJ XI, 1a).
Un fratello disse al padre Arsenio: «Mi tormentano i miei pensieri dicendomi: – Tu non puoi né digiunare né lavorare: visita almeno i malati, poiché anche questo è amore [di Dio]». Riconoscendo la semente del diavolo, l’anziano gli dice: «Va’, mangia, bevi, dormi, e non lavorare; soltanto, non allontanarti dalla cella». Sapeva infatti che la fatica dello stare in cella porta il monaco ad essere ciò che deve (PJ VII, 27a).
Diceva il padre Arsenio: «Un monaco forestiero in terra non sua non si immischi a niente e resterà in pace» (89d; PJ X, 6).
Un giorno il padre Arsenio giunse in un luogo in cui erano delle canne mosse dal vento[1]. L’anziano chiese ai fratelli: «Cos’è tutto questo fracasso?». «Sono canne», rispondono. Dice allora l’anziano: «In verità, quando uno pratica il raccoglimento, se ode la voce di un uccello, il cuore non ha più lo stesso raccoglimento. Quanto più voi, col fracasso di queste canne!» (PJ II, 5).
Il padre Daniele raccontò che una volta venne dal padre Arsenio un funzionario a portargli il testamento di un senatore suo parente che gli aveva lasciato un’eredità molto cospicua. Preso il testamento, Arsenio stava per strapparlo, quando il funzionario cadde ai suoi piedi dicendo: «Non strapparlo, ti supplico, mi costerebbe la testa!». E il padre Arsenio gli disse: «Io sono morto prima di lui e lui è morto appena ora!». E mandò indietro il testamento senza accettare nulla (97c; PJ VI, 2).
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