Il Concilio di Nicea II
Procedendo sulla via regia, seguendo la dottrina
divinamente ispirata dei nostri santi padri e la tradizione della Chiesa
cattolica - riconosciamo, infatti, che lo Spirito Santo abita in essa - noi
definiamo con ogni rigore e cura che, come la raffigurazione della croce
preziosa e vivificante, così le venerate e sante immagini, sia dipinte che in
mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle
sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sulle vesti sacre, sulle pareti
e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l'immagine del Signore Dio e
Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della purissima nostra signora, la santa
Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e i giusti. Infatti, quanto più
frequentemente queste immagini sono contemplate, tanto più quelli che le
contemplano sono innalzati al ricordo e al desiderio dei modelli originari e a
tributare loro, baciandole, rispetto e venerazione. Non si tratta certo di
un'adorazione, che la nostra fede tributa solo alla natura divina, ma di un
culto simile a quello che si rende all'immagine della croce preziosa e
vivificante, ai santi evangeli e agli altri oggetti sacri, onorandoli con
l'offerta di incenso e di lumi secondo il pio uso degli antichi. L'onore reso
all'immagine, in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato e chi venera
l'immagine, venera la realtà di chi in essa è raffigurato” (Concilio di Nicea II,
Definizione)
al solito senza problemi sta in
http://www.vatican.va/news_services/liturgy/2005/documents/ns_lit_doc_20050120_marini_it.html
http://www.e-theca.net/emiliopanella/hospes2/marino41.htm
Ho trovato la raccolta in italiano dei testi del Santo Concilio in
http://www.cristiani.altervista.org/concili/nicea2.htm
Interessante poi una laica riflessione
con la seguente presentazione
Nella collana del Centro internazionale studi
di estetica appaiono, a cura del suo presidente, Luigi Russo, i testi
delle risoluzioni anti-iconoclaste, decisivi per la teoria e la storia
dell'estetica occidentale, approvati nel 787 dal II Concilio di Nicea.
L'eccellente traduzione di Claudio Gerbino, l'illuminante apparato
critico, costituito dalle tre appendici (storica, di Mario Re;
storico-artistica, di Maria Andeloro; teologica, di Crispino Valenziano)
consentono un accesso immediato alle sorgenti della coscienza
d'immagine che ha ispirato la nostra tradizione. Si potrebbe riassumere
il senso di tale coscienza nell'affermazione secondo cui "l'idolo e
l'icona sono due cose opposte l'una all'altra".
È qui fissata tutta la complessità della questione dell'immagine nella cultura occidentale. Da un lato, infatti, è immediatamente evidente che i termini concettuali impiegati sono quelli propri della tradizione ellenica. La dottrina cristiana dell'immagine si pone, infatti, innanzitutto, come un approfondimento del contributo ellenico così come esso aveva trovato forma nella traduzione del libro del "Genesi", a opera dei Settanta, verso il III o il IV secolo a.C. I Settanta, per l'appunto, adoperano "eidolon" allorché nel Decalogo si tratta del divieto di farsi immagini di Dio. Tuttavia, cioè che appare con altrettanta evidenza dalla lettura di questi testi decisivi è che l'iconoclastia combattuta dai padri riuniti nel Concilio non è quella che discende dal divieto veterotestamentario, bens" quella annidata nella tradizione ellenica.In quest'ultima l'immagine, anche quando è legittima, anche quando si pone come "eikon*, resta pur sempre in qualche modo una realtà diminuita, un riflesso.
Al contrario, i testi del II Concilio di Nicea sottolineano che l'immagine, sebbene sia interdetta in quanto "eidolon* in rapporto alla rivelazione della natura di Dio, si dispiega invece potentemente, con una sua autonoma validità, sul piano della storia degli uomini, nel loro legame con Dio. È questo l'aspetto peculiarmente "biblico" della legittimazione delle immagini messo in luce, contro le tendenze iconoclaste, dalla teologia dell'immagine cristiana, sancita dal Concilio. Già specifico dell'identità ebraica, dove all'invisibilità teorica di Dio si accompagna la sua visibilità pratica nell'incontro vivo con gli uomini, in quella successione di eventi che costituisce la storia sacra, il legame di immagine e storia si rafforza, in seno al cristianesimo, nella vera e propria difesa delle immagini sacre. L'immagine è legittima come icona, che è quanto dire, al tempo stesso, come "memoria" e come "profezia" dell'incontro fra l'umano e il divino. Cos", mentre la terminologia greca resta invariata, il senso dell'"eikon* muta radicalmente, una volta posta l'affermazione cristiana dell'"incarnazione" di Dio. Elemento decisivo è qui la dissoluzione di quella differenza di natura fra l'immagine e l'archetipo che caratterizzava la teoria greca. Con sanPaolo non si indica più, quanto al rapporto fra l'immagine e il modello, un legame di partecipazione o di affinità, bens" una vera e propria "identità".
È qui fissata tutta la complessità della questione dell'immagine nella cultura occidentale. Da un lato, infatti, è immediatamente evidente che i termini concettuali impiegati sono quelli propri della tradizione ellenica. La dottrina cristiana dell'immagine si pone, infatti, innanzitutto, come un approfondimento del contributo ellenico così come esso aveva trovato forma nella traduzione del libro del "Genesi", a opera dei Settanta, verso il III o il IV secolo a.C. I Settanta, per l'appunto, adoperano "eidolon" allorché nel Decalogo si tratta del divieto di farsi immagini di Dio. Tuttavia, cioè che appare con altrettanta evidenza dalla lettura di questi testi decisivi è che l'iconoclastia combattuta dai padri riuniti nel Concilio non è quella che discende dal divieto veterotestamentario, bens" quella annidata nella tradizione ellenica.In quest'ultima l'immagine, anche quando è legittima, anche quando si pone come "eikon*, resta pur sempre in qualche modo una realtà diminuita, un riflesso.
Al contrario, i testi del II Concilio di Nicea sottolineano che l'immagine, sebbene sia interdetta in quanto "eidolon* in rapporto alla rivelazione della natura di Dio, si dispiega invece potentemente, con una sua autonoma validità, sul piano della storia degli uomini, nel loro legame con Dio. È questo l'aspetto peculiarmente "biblico" della legittimazione delle immagini messo in luce, contro le tendenze iconoclaste, dalla teologia dell'immagine cristiana, sancita dal Concilio. Già specifico dell'identità ebraica, dove all'invisibilità teorica di Dio si accompagna la sua visibilità pratica nell'incontro vivo con gli uomini, in quella successione di eventi che costituisce la storia sacra, il legame di immagine e storia si rafforza, in seno al cristianesimo, nella vera e propria difesa delle immagini sacre. L'immagine è legittima come icona, che è quanto dire, al tempo stesso, come "memoria" e come "profezia" dell'incontro fra l'umano e il divino. Cos", mentre la terminologia greca resta invariata, il senso dell'"eikon* muta radicalmente, una volta posta l'affermazione cristiana dell'"incarnazione" di Dio. Elemento decisivo è qui la dissoluzione di quella differenza di natura fra l'immagine e l'archetipo che caratterizzava la teoria greca. Con sanPaolo non si indica più, quanto al rapporto fra l'immagine e il modello, un legame di partecipazione o di affinità, bens" una vera e propria "identità".
Rappresentazione del secondo concilio di Nicea.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.