giovedì 10 settembre 2015

E Abba disse...... 10/09/2015




Esistono Monaci Cristiani perchè tutti i cristiani sono monaci 

"Una volta ammesso dunque che Paolo comanda, e non solo ai monaci, di imitare i discepoli e perfino lo stesso Cristo, e in più che egli propone un supremo castigo per coloro che rifiutano quell’imitazione, con quale pretesto intendi tu affermare che il traguardo imposto ai monaci è ben più elevato? È necessario invece che tutti gli uomini tendano alla stessa meta. Quello che sovverte il mondo intero è proprio questo, il fatto che noi siamo persuasi che soltanto i monaci debbano occuparsi di quell’impegno, e che gli altri uomini possano vivere del tutto liberamente. Non è dunque così, non lo è affatto; ma a tutti, e così egli infatti afferma, è richiesto di raggiungere quella saggezza, ed io perciò intendo dichiarare con fermezza questo principio; in realtà, non io, ma proprio Colui che ci dovrà giudicare."
Giovanni Crisostomo, Contro i detrattori della vita monastica, III, 14, a cura di L. Dattrino, Città Nuova 1996, p. 188.

Dice Giovanni Cassiano del monaco superbo, intorno al 420:
A tal punto s’accresce nel suo animo il fastidio per ogni parola di sapore spirituale che, ogni qualvolta viene tenuta una conferenza di tal genere, il suo occhio non riesce a fermarsi in un punto solo e il suo sguardo s’aggira incerto qua e là, a destra e a sinistra, più di quanto avvenga di solito. Invece di sospiri salutari, egli si mette a schiarirsi la gola, pur avendola secca; finge emissioni catarrose senza alcuna provocazione reale; le sue dita si mettono a giocherellare e le muove alla maniera di chi sta scrivendo o dipingendo; tutte le sue membra si agitano da una parte e dall’altra in maniera tale da far pensare che, finché dura la conferenza spirituale, egli sia seduto sopra uno strato brulicante di vermi o sopra un cumulo di chiodi acutissimi.
Giovanni Cassiano, Istituzioni cenobitiche, XII, 27, 2-3, a cura di L. Dattrino, Edizioni Scritti Monastici, Abbazia di Praglia 1989, p. 307.

Dice Isaia di Scete, intorno al 400:
Se uno pronuncia parole che non giovano, tu non ascoltarle per non trascurare l’anima tua. Non avere riguardo davanti a lui di rattristarlo e di respingere quanto è stato detto da lui dicendo: «In cuor mio non lo accetto, non dire questo». Tu infatti non sei di più del primo essere plasmato che Dio fece con le sue mani e a cui non giovò quel discorso cattivo. Fuggi dunque e non prestare ascolto. Ma, fuggendo fisicamente, bada di non voler sapere le parole che sono state pronunciate. Infatti se senti la puntura del discorso i demoni non si fermano alle parole che hai ascoltato ma uccidono la tua anima. Quando fuggi, fuggi completamente.
Isaia di Scete, Sentenze, 8, 15, in Sentenze spirituali, a cura di L. Coco, Città Nuova 2011, p. 79.

Dice Palladio (419-420):
In questa città di Antinoe vi sono dodici monasteri femminili. In uno di essi ho incontrato anche Talide, che era chiamata ammàs: una vecchia che aveva trascorso ottant’anni nell’ascesi, come mi disse e come mi raccontavano le sue vicine. Con lei abitavano sessanta giovani donne, le quali l’amavano a tal punto che alla porta esterna del monastero non era neppure applicata una serratura, come si usa in altri: erano governate dall’amore che portavano a Talide. La vecchia donna aveva raggiunto un tale grado di distacco dalle comuni passioni che, quando fui entrato e seduto, venne e si sedette accanto a me, e mi pose le mani sulle spalle, in uno straordinario impulso di franchezza.
Palladio, La storia lausiaca, 59, 1, trad. di M. Barchiesi, Mondadori/Valla 1974, p. 261.

Dice* Doroteo di Gaza (sec. VI):
Vi faccio un esempio perché possiate capire. Chi accende il fuoco ha soltanto un piccolo pezzo di carbone infuocato: questo carboncino è la parola del fratello che ci ha offeso; non è che un carboncino; che altro può essere la parola di un tuo fratello? Se la sopporti, spegnerai il carbone. Ma se cominci a pensare: «Perché mi ha detto queste cose? So io come rispondergli!», e: «Se non avesse voluto offendermi, non l’avrebbe detto. Sappi che anch’io so come fargli del male!», allora metti sul fuoco della legna sottile, come chi accende il fuoco, e fai del fumo: il turbamento. Il turbamento consiste nel rimuginare i nostri pensieri fino a eccitare il nostro cuore, e questa eccitazione diventa audacia temeraria.
Insegnamenti, 14, 154, citato in AA.VV., Il deserto di Gaza. Barsanufio, Giovanni e Doroteo, Edizioni Qiqajon, Bose, 2004, p. 297.

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