Questa icona di San Cromazio d'Aquileia è il dono del Patriarca
Bartolomeo per la Basilica di Aquileia, in ricordo dell'aiuto dato da
Cromazio al predecessore del Patriarca sulla sede di Costantinopoli, San
Giovanni Crisostomo
" 'Tu, quando preghi, entra nella tua camera, e chiusa la porta,
prega il Padre tuo' (Mt 6, 6). Bisogna pregare Dio dopo aver chiuso la
porta: vale a dire che dobbiamo chiudere il nostro cuore, con la chiave
mistica, a ogni sentimento malvagio, e a bocca chiusa dobbiamo parlare a
Dio con mente pura... Il nostro cuore, dunque, sia chiuso con la chiave
della fede contro le insidie dell'avversario e sia aperto solo a Dio;
si sa quello è il nostro tempio, perché colui che abita nei nostri cuori
è il nostro avvocato nelle preghiere."
Cromazio d'Aquileia, "Sermoni Liturgici", Edizioni Paoline, Milano 2013, pp. 287-28
Cromazio d'Aquileia, "Sermoni Liturgici", Edizioni Paoline, Milano 2013, pp. 287-28
"Non
si può parlare di Chiesa se non c'è Maria, madre del Signore, con i
suoi fratelli. Infatti, c'è la Chiesa di Cristo dove si predica che
Cristo si è incarnato dalla Vergine."
Cromazio d'Aquileia, "Sermoni Liturgici", Edizioni Paoline, Milano 2013, p. 234
"Non sapete che coloro che corrono nello stadio, corrono sì tutti, ma solo uno conquista la corona?" (1 Cor 9, 24). Secondo l'esempio terreno, come dice l'apostolo..., nello stadio della vita presente, sono in molti a correre ma uno solo conquista la corona. Corrono i Giudei dietro la Legge, corrono i filosofi dietro una vana sapienza, corrono gli eretici dietro una falsa dottrina, corrono i cattolici dietro la predicazione della vera fede: tra tutti questi però solo uno conquista la corona, appunto il popolo cattolico che lungo la retta via della fede si protende verso Cristo, per raggiungere la palma e la corona dell'immortalità.
Perciò i Giudei, i filosofi e gli eretici corrono invano, perché non percorrono la corsia della retta fede. Che cosa giova ai Giudei correre dietro l'osservanza della Legge, se ignorano Cristo Signore della Legge? Corrono anche i filosofi dietro la vana sapienza del mondo, ma inutile e senza risultato è la loro corsa perché non conoscono la vera sapienza di Cristo. Cristo, infatti, è la vera sapienza di Dio, che non fa sfoggio di parole o di brillanti discorsi, ma viene conosciuta con la fede del cuore. Corrono gli eretici dietro le tossiche affermazioni della loro fede..., ma non raggiungono la corona perché non credono fedelmente in Cristo; la loro fede falsa non merita di ricevere la grazia della vera fede.
Cromazio d'Aquileia, "Sermoni Liturgici", Edizioni Paoline, Milano 2013, p. 234
"Non sapete che coloro che corrono nello stadio, corrono sì tutti, ma solo uno conquista la corona?" (1 Cor 9, 24). Secondo l'esempio terreno, come dice l'apostolo..., nello stadio della vita presente, sono in molti a correre ma uno solo conquista la corona. Corrono i Giudei dietro la Legge, corrono i filosofi dietro una vana sapienza, corrono gli eretici dietro una falsa dottrina, corrono i cattolici dietro la predicazione della vera fede: tra tutti questi però solo uno conquista la corona, appunto il popolo cattolico che lungo la retta via della fede si protende verso Cristo, per raggiungere la palma e la corona dell'immortalità.
Perciò i Giudei, i filosofi e gli eretici corrono invano, perché non percorrono la corsia della retta fede. Che cosa giova ai Giudei correre dietro l'osservanza della Legge, se ignorano Cristo Signore della Legge? Corrono anche i filosofi dietro la vana sapienza del mondo, ma inutile e senza risultato è la loro corsa perché non conoscono la vera sapienza di Cristo. Cristo, infatti, è la vera sapienza di Dio, che non fa sfoggio di parole o di brillanti discorsi, ma viene conosciuta con la fede del cuore. Corrono gli eretici dietro le tossiche affermazioni della loro fede..., ma non raggiungono la corona perché non credono fedelmente in Cristo; la loro fede falsa non merita di ricevere la grazia della vera fede.
Cromazio d'Aquileia, "Sermoni Liturgici", Edizioni Paoline, Milano 2013, pp. 225-226-227
"
'Noi siamo tuo popolo e pecore del tuo gregge' (Sal 94, 7). Da questo
gregge di santi è uscita quella pecora immacolata, cioè santa Maria, che
al di là delle leggi della natura ha generato per noi l'agnello
purpureo, cioè Cristo, re dei re."
Cromazio d'Aquileia, "Sermoni Liturgici", Edizioni Paoline, Milano 2013, p. 192
Cromazio d'Aquileia, "Sermoni Liturgici", Edizioni Paoline, Milano 2013, p. 192
"Ha
preso sonno per noi nel mistero della passione; ma quel sonno del
Signore è diventato la veglia di tutto il mondo, perché la morte di
Cristo ha allontanato da noi il sonno della morte eterna. Quel sonno di
Cristo è diventato soave, perché ci ha richiamati da una morte amara a
una vita soave. [Egli] con questo ha svelato chiaramente il mistero
della sua divinità e della sua carne. Ha dormito nella carne, ha
vegliato nella divinità, perché la divinità non poteva dormire."
Cromazio d'Aquileia, "Sermoni Liturgici", Edizioni Paoline, Milano 2013, pp. 145-146
Il termine ebraico "alleluia", che echeggia continuamente nella Chiesa, ci invita a rendere lode a Dio e a confessare la vera fede. "Alleluia", dall'ebraico, si traduce: "Cantare a colui che è", oppure: "Dio, benedici tutti noi", e ancora: "Lodate il Signore".
Dobbiamo cantare a colui che è, perché un tempo sia noi che i nostri antenati abbiamo cantato a coloro che non erano, cioè agli dèi delle genti e ai simulacri degli idoli.
Dunque a questo Dio così grande che è sempre stato e sempre è, dobbiamo cantare ciò che è degno, ciò che conviene alla lode della sua maestà, perché è eterno, onnipotente, immenso, creatore e Salvatore del mondo...
Cromazio d'Aquileia, "Sermoni Liturgici", Edizioni Paoline, Milano 2013, pp. 145-146
Il termine ebraico "alleluia", che echeggia continuamente nella Chiesa, ci invita a rendere lode a Dio e a confessare la vera fede. "Alleluia", dall'ebraico, si traduce: "Cantare a colui che è", oppure: "Dio, benedici tutti noi", e ancora: "Lodate il Signore".
Dobbiamo cantare a colui che è, perché un tempo sia noi che i nostri antenati abbiamo cantato a coloro che non erano, cioè agli dèi delle genti e ai simulacri degli idoli.
Dunque a questo Dio così grande che è sempre stato e sempre è, dobbiamo cantare ciò che è degno, ciò che conviene alla lode della sua maestà, perché è eterno, onnipotente, immenso, creatore e Salvatore del mondo...
Cromazio d'Aquileia, "Sermoni Liturgici", Edizioni Paoline, Milano 2013,
pp. 254 sgg.
Cromazio d’Aquileia, Discorsi, 30
Dopo che il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo morì, risuscitò e ascese al cielo, la sua Chiesa formata da un centinaio di persone si riunì nel cenacolo al piano superiore, con Maria madre di Gesù e con i suoi fratelli. Non si può parlare di Chiesa dove non c’è Maria madre del Signore coi suoi fratelli. La Chiesa di Cristo infatti è lì, dove viene predicata l’incarnazione di Cristo dalla Vergine. E dove predicano gli apostoli, fratelli del Signore, si ascolta il vangelo.
All’inizio, dopo l’ascensione del Signore al cielo, la Chiesa contava appena centoventi uomini, poi aumentò tanto da riempire tutto il mondo di innumerevoli popoli. Che questo sarebbe avvenuto lo manifesta lo stesso Signore nel vangelo, dicendo agli apostoli: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,23).
E veramente un frutto abbondante ha portato la risurrezione del Signore, dopo la sua passione per l’umana salvezza. Nel grano di frumento il nostro Salvatore vuol indicare il suo corpo. Dopo la sua sepoltura portò un frutto innumerevole, perché con la risurrezione del Signore sono spuntate in tutto il mondo spighe di virtù e messi di popoli credenti. La morte di uno solo è diventata la vita di tutti.
A ragione, in un altro passo del vangelo, fa questo paragone: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami» (Mt 13,31-32). Al granellino di senapa il Signore ha paragonato se stesso che, pur essendo il Signore della gloria, di una maestà eterna, si fece il più piccolo di tutti, degnandosi di nascere piccolo bambino dalla Vergine.
Viene seminato in terra quando il suo corpo è consegnato al sepolcro. Ma dopo che è risorto, per la gloria della risurrezione si è innalzato da terra, per diventare un albero sui cui rami abitano gli uccelli del cielo. In questo albero era rappresentata la Chiesa, che dopo la morte di Cristo è risorta nella gloria. I suoi rami non sono che gli apostoli, poiché come i rami con naturalezza ornano l’albero, così gli apostoli con lo splendore della loro grazia ornano la Chiesa di Cristo.
Nei rami si vedono abitare gli uccelli del cielo. In questi uccelli del cielo siamo allegoricamente raffigurati noi, che entrando nella Chiesa di Cristo riposiamo sulla dottrina degli apostoli come su rami.
All’inizio dunque, dopo l’ascensione del Signore, la Chiesa contava solo pochi uomini, ma poi crebbe tanto da riempire tutto il mondo, non solo le città, ma anche le diverse nazioni. Credono i Persi, credono gli Indi, crede tutto il mondo. I popoli sono condotti nella pace all’ossequio di Cristo non dal terrore della spada o dalla paura dell’imperatore, ma dalla sola fede in Cristo. E se la necessità lo richiede, sono pronti a dare la vita per il loro Re piuttosto che perdere la fede. E giustamente, perché questo Re per cui combattiamo premia i suoi soldati anche dopo la morte. Il re del mondo non può dare niente dopo la morte al soldato che si è lasciato uccidere per lui, perché anch’egli è soggetto alla morte; ma Cristo-re premierà con l’immortalità i suoi soldati che si sono lasciati uccidere per lui. Il soldato del mondo, se è ucciso per il re, è vinto. Il soldato di Cristo, invece, vince maggiormente quando merita di essere ucciso per Cristo.
http://patristica.olivasergio.it/2016/05/cromazio-daquileia-la-chiesa-di-cristo.html
ed anche
http://padridellachiesa.blogspot.it/2013/10/san-cromazio-daquileia.html
pp. 254 sgg.
Cromazio d’Aquileia, Discorsi, 30
Dopo che il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo morì, risuscitò e ascese al cielo, la sua Chiesa formata da un centinaio di persone si riunì nel cenacolo al piano superiore, con Maria madre di Gesù e con i suoi fratelli. Non si può parlare di Chiesa dove non c’è Maria madre del Signore coi suoi fratelli. La Chiesa di Cristo infatti è lì, dove viene predicata l’incarnazione di Cristo dalla Vergine. E dove predicano gli apostoli, fratelli del Signore, si ascolta il vangelo.
All’inizio, dopo l’ascensione del Signore al cielo, la Chiesa contava appena centoventi uomini, poi aumentò tanto da riempire tutto il mondo di innumerevoli popoli. Che questo sarebbe avvenuto lo manifesta lo stesso Signore nel vangelo, dicendo agli apostoli: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,23).
E veramente un frutto abbondante ha portato la risurrezione del Signore, dopo la sua passione per l’umana salvezza. Nel grano di frumento il nostro Salvatore vuol indicare il suo corpo. Dopo la sua sepoltura portò un frutto innumerevole, perché con la risurrezione del Signore sono spuntate in tutto il mondo spighe di virtù e messi di popoli credenti. La morte di uno solo è diventata la vita di tutti.
A ragione, in un altro passo del vangelo, fa questo paragone: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami» (Mt 13,31-32). Al granellino di senapa il Signore ha paragonato se stesso che, pur essendo il Signore della gloria, di una maestà eterna, si fece il più piccolo di tutti, degnandosi di nascere piccolo bambino dalla Vergine.
Viene seminato in terra quando il suo corpo è consegnato al sepolcro. Ma dopo che è risorto, per la gloria della risurrezione si è innalzato da terra, per diventare un albero sui cui rami abitano gli uccelli del cielo. In questo albero era rappresentata la Chiesa, che dopo la morte di Cristo è risorta nella gloria. I suoi rami non sono che gli apostoli, poiché come i rami con naturalezza ornano l’albero, così gli apostoli con lo splendore della loro grazia ornano la Chiesa di Cristo.
Nei rami si vedono abitare gli uccelli del cielo. In questi uccelli del cielo siamo allegoricamente raffigurati noi, che entrando nella Chiesa di Cristo riposiamo sulla dottrina degli apostoli come su rami.
All’inizio dunque, dopo l’ascensione del Signore, la Chiesa contava solo pochi uomini, ma poi crebbe tanto da riempire tutto il mondo, non solo le città, ma anche le diverse nazioni. Credono i Persi, credono gli Indi, crede tutto il mondo. I popoli sono condotti nella pace all’ossequio di Cristo non dal terrore della spada o dalla paura dell’imperatore, ma dalla sola fede in Cristo. E se la necessità lo richiede, sono pronti a dare la vita per il loro Re piuttosto che perdere la fede. E giustamente, perché questo Re per cui combattiamo premia i suoi soldati anche dopo la morte. Il re del mondo non può dare niente dopo la morte al soldato che si è lasciato uccidere per lui, perché anch’egli è soggetto alla morte; ma Cristo-re premierà con l’immortalità i suoi soldati che si sono lasciati uccidere per lui. Il soldato del mondo, se è ucciso per il re, è vinto. Il soldato di Cristo, invece, vince maggiormente quando merita di essere ucciso per Cristo.
http://patristica.olivasergio.it/2016/05/cromazio-daquileia-la-chiesa-di-cristo.html
ed anche
http://padridellachiesa.blogspot.it/2013/10/san-cromazio-daquileia.html
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