martedì 6 dicembre 2016

Dal «Discorso sui pastori» di sant'Agostino, vescovo

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Dal «Discorso sui pastori» di sant'Agostino, vescovo
(Disc. 46, 1-2; CCL 41, 529-530)

Pastori siamo, ma prima cristiani
Ogni nostra speranza è posta in Cristo. È lui tutta la nostra salvezza e la vera gloria. È una verità, questa, ovvia e familiare a voi che vi trovate nel gregge di colui che porge ascolto alla voce di Israele e lo pasce. Ma poiché vi sono dei pastori che bramano sentirsi chiamare pastori, ma non vogliono compiere i doveri dei pastori, esaminiamo che cosa venga detto loro dal profeta. Voi ascoltatelo con attenzione, noi lo sentiremo con timore.
«Mi fu rivolta questa parola del Signore: Figlio dell'uomo, profetizza contro i pastori di Israele, predici e riferisci ai pastori d'Israele» (Ez 34,1-2) Abbiamo ascoltato or ora la lettura di questo brano, quindi abbiamo deciso di discorrerne un poco con voi. Dio stesso ci aiuterà a dire cose vere, anche se non diciamo cose nostre. Se dicessimo infatti cose nostre saremmo pastori che pascono se stessi, non il gregge; se invece diciamo cose che vengono da lui, egli stesso vi pascerà, servendosi di chiunque.
«Questo dice il Signore Dio: Guai ai pastori di Israele che pascono se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge?» (Ez 34,2), cioè i pastori non devono pascere se stessi, ma il gregge. Questo è il primo capo di accusa contro tali pastori: essi pascono se stessi e non il gregge. Chi sono coloro che pascono se stessi? Quelli di cui l'Apostolo dice: «Tutti infatti cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo» (Fil 2,21).
Ora noi che il Signore, per bontà sua e non per nostro merito, ha posto in questo ufficio di cui dobbiamo rendere conto, e che conto! dobbiamo distinguere molto bene due cose: la prima cioè che siamo cristiani, la seconda che siamo posti a capo. Il fatto di essere cristiani riguarda noi stessi; l'essere posti a capo invece riguarda voi.
Per il fatto di essere cristiani dobbiamo badare alla nostra utilità, in quanto siamo messi a capo dobbiamo preoccuparci della vostra salvezza.
Forse molti semplici cristiani giungono a Dio percorrendo una via più facile della nostra e camminando tanto più speditamente, quanto minore è il peso di responsabilità che portano sulle spalle. Noi invece dovremo rendere conto a Dio prima di tutto della nostra vita, come cristiani, ma poi dovremo rispondere in modo particolare dell'esercizio del nostro ministero, come pastori.

 Dal «Discorso sui pastori» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. 46, 18-19; CCL 41, 544-546)

La Chiesa, come una vite, crescendo si è diffusa in ogni luogo


Vanno errando le mie pecore per tutti i monti e su ogni colle e sono disperse su tutta la faccia della terra (cfr. Ez 34, 6). Che significa disperdersi su tutta la faccia della terra? Seguire tutte le cose terrene, amare e avere a cuore tutto quello che alletta sulla faccia della terra.
Non vogliono morire di quella morte che renda la loro vita nascosta in Cristo.
«Su tutta la faccia della terra», perché amano i beni terreni e perché le pecore che si smarriscono sono sparse su tutta la faccia della terra. Si trovano in molti luoghi, sono figlie di un'unica madre, la superbia, all'opposto di tutti i veri cristiani diffusi in ogni angolo della terra e generati dall'unica madre che è la Chiesa cattolica.
Non c'è pertanto da meravigliarsi che, se la superbia genera la divisione, l'amore generi l'unità. Tuttavia la stessa madre Chiesa cattolica, e in essa lo stesso pastore, ricerca dovunque gli smarriti, rinfranca i deboli, cura i malati, fascia i feriti, prendendo gli uni di qui, gli altri di là, senza che si conoscano tra di loro. Ma essa ben li conosce tutti, perché si estende a tutti.
Essa è come una vite che, crescendo, si propaga in ogni parte; quelli invece sono tralci inutili recisi dal vignaiuolo per la loro sterilità, perché la vite resti potata, non già amputata. Dunque quei tralci sono rimasti là dove furono recisi. La vite invece, spandendosi dovunque, conosce sia i tralci che le sono rimasti uniti, sia quelli che ne furono recisi, e sono rimasti lì vicino ad essa.
Ma tuttavia la Chiesa continua a richiamare chi si smarrisce, perché anche di questi rami tagliati l'Apostolo dice: «Dio infatti ha la potenza di innestarli di nuovo» (Rm 11, 23). Sia dunque che si tratti di pecore erranti lontane dal gregge, sia che si tratti di rami recisi dalla vite, non per questo Dio è meno potente per ricondurre le pecore o per reinnestarle nella vite. Egli infatti è il sommo Pastore, egli è il vero agricoltore.
«Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno» tra quei cattivi pastori «va in cerca di loro e se ne cura» (Ez 34, 6). Non c'è, tra i pastori umani, chi le ricerchi.
Perciò, o pastori, ascoltate: Com'è vero che io vivo, dice il Signore Dio (cfr. Ez 34, 7). Vedete come comincia? È come un giuramento di Dio, prende la sua vita a testimonianza. «Come è vero che io vivo, dice il Signore». I pastori sono morti, ma le pecore sono al sicuro, c'è il Signore che vive. «Come è vero che io vivo, dice il Signore».
Ma quali pastori sono morti? Quelli che cercavano i propri interessi e non già gli interessi di Gesù Cristo. Ma vi saranno dunque e si troveranno ancora dei pastori, che cercano non i loro interessi ma quelli di Gesù Cristo? Certamente ce ne saranno. Certamente se ne troveranno, perché non mancano, né mancheranno.




(Disc. 46, 20-21; CCL 41, 546-548)
Fate quello che dicono, ma non fate quello che fanno

    «Udite, pastori, la parola del Signore». Ma che cosa udite, o pastori? «Dice il Signore Dio: Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gregge» (Ez 34, 9).
    Udite e imparate, pecorelle di Dio. Ai pastori malvagi Dio chiede che rendano conto delle sue pecore e che rispondano della morte loro arrecata con le loro stesse mani.
    Dice altrove infatti per bocca dello stesso profeta: «O figlio dell'uomo, io ti ho costituito quale sentinella per gli Israeliti; ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia. Se io dico all'empio: Empio, tu morrai, e tu non parli per distogliere l'empio dalla sua condotta, egli, l'empio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte chiederò conto a te. Ma se tu avrai ammonito l'empio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità, tu invece sarai salvo» (Ez 33, 7-9).
    Che significa ciò, o fratelli? Vedete quanto è pericoloso tacere? Muore quell'empio e giustamente subisce la morte. Muore per la sua iniquità e per il suo peccato. È ucciso infatti dalla sua negligenza. Egli avrebbe potuto ben trovare il Pastore vivente che dice: «Io vivo, dice il Signore». Ma non lo ha fatto, anche perché non ammonito da chi era stato costituito capo e sentinella proprio a questo fine.
    Perciò giustamente morirà, ma anche chi ha trascurato di ammonirlo sarà giustamente condannato.
    Se invece, dice il Signore, avrai detto al malvagio, a cui io avevo minacciato la spada: «Morrai» e quegli avrà trascurato di evitare la spada incombente e la spada scenderà su di lui e l'ucciderà, egli morirà nel suo peccato, ma tu avrai liberato la tua anima.
    Perciò è nostro compito non tacere, ma a voi, anche se tacessimo, spetta ascoltare dalle Scritture le parole del Pastore.
    Vediamo dunque secondo quel che mi ero proposto, se mai egli liberi le pecore dai cattivi pastori per affidarle ai buoni pastori. Vedo infatti che libera le pecore dai cattivi pastori, quando dice: «Eccomi contro i pastori: chiederò loro conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge, così i pastori non pasceranno più se stessi» (Ez 34, 10).
    Quando infatti dico: Pascolino il mio gregge, essi pascono se stessi e non il mio gregge. Lo toglierò loro perché non pascolino il mio gregge.
    In che modo lo toglie loro, perché essi non pascolino più il suo gregge? Dicendo: Fate quello che dicono, ma non fate quello che fanno (cfr. Mt 23, 3). Come se dicesse: Proclamano la parola mia, ma fanno gli interessi loro. Quando non fate ciò che fanno i cattivi pastori, non sono essi che vi pascolano. Quando invece fate ciò che essi dicono, sono io che vi pascolo.


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