martedì 18 ottobre 2016

Abbà disse...Il nostro Padre tra i Santi Ioann Sergiev di Kronstad,

 






 


“Il Signore è la mia vita. [...] È la mia forza nella debolezza, la mia libertà nella sottomissione, la mia fiducia nel timore e nello scoraggiamento; il Signore è un fuoco vivificante per il gelo del mio cuore; il Signore è la mia luce nelle tenebre, la mia pace nel tormento; il Signore è il mio difensore nelle tentazioni; è il mio pensiero, il mio desiderio, la mia attività; è la luce del mio corpo e della mia anima, il cibo, la bevanda e il vestito, l’armatura e lo scudo. Il Signore è tutto per me”.[1]


[1] Ivan di Cronstadt, La mia vita in Cristo, 93.

 
“Per un prete la fatica della confessione è una scuola di abnegazione. Quante occasioni di impazienza, di irritazione, di pigrizia, di negligenza, di disattenzione si presentano! È veramente la pietra di paragone dell’amore del prete per i suoi parrocchiani. [...] Per un prete la confessione è una fatica d’amore verso i suoi figli spirituali: non deve far preferenze di persona, deve esser paziente, compassionevole [...] Da questo si può vedere (il prete stesso lo vede, così come il suo figlio spirituale) se è un pastore o mercenario, un padre o un estraneo per suo figlio, se cerca il proprio interesse o Cristo Gesù. Dio mio, com’è difficile confessare bene le persone! Come pecchiamo gravemente davanti a Dio non confessandole come si deve! [...] Oh, che preparazione esige la confessione! Quanto tempo bisogna pregare per riuscire bene in questo importante compito”.[1]


[1] Ivi, 152.
  “A me piace pregare in chiesa, soprattutto vicino al santo altare, davanti alla tavola o alla protesi[1]: in chiesa infatti, per grazia di Dio, sono meravigliosamente trasformato. [...] Vivo in Dio e per Dio, per Dio solo. Sono interamente compenetrato da lui, un solo spirito con lui: sono come un bambino cullato sulle ginocchia della madre. In quei momenti il mio cuore è pieno di una dolcissima pace celeste, la mia anima è illuminata dalla luce del cielo. Vedo tutto chiaramente, considero ogni cosa con giustizia, mi sento pieno di amore e di amicizia verso tutti, anche verso i nemici, sono pronto a scusare tutto e a perdonare tutti. Beata l’anima che è con Dio! Davvero la chiesa è il paradiso in terra”.[2] Un semplice consiglio per la preghiera? Eccolo: “Quando preghi, tieni conto di questa regola: è meglio pronunciare cinque parole dal profondo del cuore che diecimila soltanto con la lingua. [...] Il Signore non abbandona quelli che faticano per lui senza preoccuparsi del tempo che gli dedicano. [...] Quelli che non possono fare lunghe preghiere è meglio che facciano preghiere corte ma con spirito fervente”.[3]


[1] Nella Divina Liturgia Ortodossa, è una tavola di  piccole dimensioni per la preparazione dei santi doni, collocata vicina all’altare.
[2] Ivan di Cronstadt, La mia vita in Cristo, 101.
[3] Ivi, 78.


“Il prete, in quanto medico delle anime, deve essere esente da malattie spirituali (cioè da passioni) per poter guarire gli altri. Come pastore, deve pascolare lui stesso sui verdi pascoli dell’Evangelo e degli scritti dei santi Padri, per sapere dove condurre il proprio gregge; deve esser in grado di combattere i lupi spirituali, per poterli allontanare dal gregge di Cristo. Deve essere esercitato e robusto nella preghiera e nell’astinenza, non deve lasciarsi imbrigliare dai desideri e dai piaceri terreni, soprattutto dall’avidità, dall’amor proprio, dall’orgoglio e dall’ambizione”.[1] E ancora: “Il prete dovrebbe essere un angelo per la sublimità dei suoi pensieri, la purezza dell’anima e del corpo, l’ardore del suo amore per Dio, il Creatore di ogni cosa, per il Salvatore e per gli uomini, suoi fratelli”.[2] E infine: “Ringrazio la Chiesa per i preti istituiti da Dio, che lavorano in Cristo e per Cristo alla mia salvezza, mi riconciliano con Dio, mi santificano, mi confermano, mi guidano e mi conducono ai pascoli celesti”.[3]


[1] Ivi, 101.
[2] Ivi, 158; vedi anche ivi, 163.
[3] Ivi, 162-163.

 
“Signore, accogli la mia preghiera unita alle lacrime per i miei figli spirituali. [...] In verità tu sei il Pastore che pasce segretamente e invisibilmente le anime degli uomini. [...] Sei tu stesso, Signore, il Pastore e il Maestro del gregge che mi hai affidato: conducilo verso pascoli abbondanti; custodiscilo dai lupi spirituali e carnali; guidalo sul cammino della verità, della giustizia e della pace. Sii per loro, al mio posto, luce, occhi, labbra, mani, sapienza. Ma sii per loro soprattutto l’amore, di cui io, peccatore, sono così povero”.[1]


[1] Ivi, 170.

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