martedì 26 maggio 2015
antica omelia sulla Pentecoste di uno ieromonaco resosi eremita
Cari fratelli e sorelle!
Lo Spirito Santo discese sui discepoli mentre erano tutti riuniti in uno stesso luogo; così ci racconta la lettura dagli Atti degli Apostoli che abbiamo appena ascoltato. Questo passo ci vuole dire qualcosa sul presupposto della sua venuta e insieme sui segni della sua vicinanza. Se leggiamo l'intero racconto nel suo contesto, veniamo a saperne molto di più.
Ci viene detto che, prima della separazione, Gesù ordinò ai discepoli innanzitutto di non fare nulla ognuno per proprio conto, ma di restare insieme e aspettare il dono dello Spirito Santo. E così si riunisce il piccolo stuolo di credenti insieme a Maria e agli Apostoli che nel frattempo, con la scelta di Mattia, erano tornati ad essere dodici.
Essi sapevano che il loro essere insieme, la loro concordia, era il presupposto della Pentecoste. E sapevano che presupposto della concordia era a sua volta la preghiera, perché solo la preghiera, e non la più raffinata tecnica psicologica, può liberare in noi quel principio interiore per cui veniamo in contatto uno con l'altro e in cui troviamo indulgenza reciproca.
La concordia è condizione del dono dello Spirito Santo e la preghiera è condizione della concordia. Ma lo è anche un'altra condizione che abbiamo ascoltato: l'essere vigili in attesa del Signore; vi appartiene. E proprio su questo punto mi sembra che la Chiesa nel nostro tempo abbia ancora qualcosa da imparare.
C'è davvero una grande attività nella Chiesa di oggi, un'operosità che coinvolge gli uomini ai limiti delle loro forze e spesso anche oltre.
Ma di quel silenzioso soffermarsi sulla parola di Dio, in cui il nostro volere e il nostro agire si distendono, e proprio in questo modo diventano liberi e fecondi, ce n'è ormai appena. Certo, il Signore ha bisogno della nostra opera e della nostra devozione; ma noi abbiamo bisogno della sua presenza. Dobbiamo imparare di nuovo il coraggio dell'inazione e l'umiltà dell'attesa della parola.
Perché molto spesso qualche ora ad ascoltare in silenzio la parola di Dio farebbe meglio che non tutti i convegni, le riunioni e le discussioni; e un momento di preghiera sarebbe più fruttuoso di una pila di documenti.
Si ha talvolta l'impressione che, dietro la crescente frenesia della nostra attività, stia la sfiducia nei confronti della forza di Dio; e dietro il moltiplicarsi del nostro fare, un indebolimento della nostra fede, mentre in fondo abbiamo fiducia solo in ciò che noi stessi concludiamo e realizziamo. Ma noi non operiamo solo attraverso ciò che facciamo, non meno che attraverso ciò che siamo, se siamo maturi e liberi e ci realizziamo ponendo le radici del nostro essere nel fecondo silenzio di Dio.
Nella lettura di oggi, lo Spirito Santo è rappresentato soprattutto da due immagini: quella della tempesta e quella del fuoco.
La tempesta è innanzitutto espressione di potenza – per il mondo antico un segno della potenza divina, che fa roteare il mondo e muove le stelle come fossero granelli di sabbia. Ma in questa immagine della tempesta si nasconde anche un secondo significato; essa è infatti anche espressione di uno dei quattro elementi – l'aria, che distingue la nostra Terra da tutti gli altri astri e ne fa la stella della vita. Solo dov'è l'aria, hanno senso i polmoni, solo dov'è l'aria si può respirare e esserci la vita. Ciò che significa per la vita biologica il misterioso elemento dell'aria, è ciò che il Sacro, lo Spirito Santo, significa per ciascuno spirito. Solo dove si respira può sussistere l'essere umano, l'umanità, e lo spirito vivere davvero. Oggi sui giornali si parla molto dell'inquinamento atmosferico prodotto dalla nostra civiltà; e nelle nostre città e possiamo rendercene conto in prima persona, insieme all'aria, elemento vitale, inspiriamo anche i veleni che distruggono la vita. Ma dell'inquinamento spirituale, che distrugge l'atmosfera in cui può vivere lo spirito, non si parla; e l'avvelenamento del cuore e dello spirito, è assai più allarmante dei mali causati dall'inquinamento atmosferico. Oggi si assiste di frequente anche a disturbi di comportamento nei bambini che non possono respirare quell'amore che è l'elemento originario di cui l'uomo ha bisogno per crescere ed esistere. Che nel mondo occidentale film pieni di violenza e di disprezzo nei confronti dell'uomo appaiano cose normali, è segno di come ormai siamo abituati a infangare l'uomo, a schernire e calpestare la sua alta dignità. Ci diciamo che anche questa è libertà. Ma che sia diventato abituale considerare normali la crudeltà e il conculcare la dignità umana e che ci costruiamo perciò bei pretesti ideologici, non cambia di nulla il fatto che l'atmosfera spirituale che siamo costretti a respirare ne sia avvelenata.
Certo, porre divieti laddove è dall'interno che la dignità umana non viene protetta contro questi abusi è assurdo. Ma tanto più in quanto cristiani dobbiamo considerare come nostra missione lo sforzo per purificare l'aria dello Spirito Santo, per contrastare l'inquinamento spirituale e per creare nella comunità dei credenti oasi di respiro e di sollievo per il cuore e per l'anima.
La seconda immagine usata nella lettura odierna per lo Spirito Santo è il fuoco. Se nel mondo antico l'aria appariva come l'elemento fondamentale della vita, il fuoco era ciò su cui si basava la civiltà; era dunque il presupposto perché noi stessi potessimo coltivare, manipolare e trasformare la terra. Il fuoco è luce, calore, movimento, potere di trasformazione. Ma nello stesso tempo, quando cade fuori dal nostro controllo, è elemento di distruzione, di rovina. Nel mondo antico era considerato una parte del sole, l'elemento della potenza divina. Che l'uomo possa disporne l'ha portato a considerarsi simile a Dio. Il mondo greco ha creato il mito di Prometeo, che combatte contro gli dei, ruba il fuoco dal cielo, lo porta sulla terra e dà inizio a un nuovo mondo. Goethe ha messo in versi questo pathos nelle parole scandalose del suo Prometeo: "Io sto qui e creo uomini / a mia immagine e somiglianza, / una stirpe simile a me, / fatta per soffrire e per piangere, / per godere e gioire / e non curarsi di te, / come me!".
Proprio questo è divenuto il programma della modernità: non voler più essere ad immagine di Dio, ma di noi stessi; conferire a noi stessi il potere sul mondo, non rispettare più il potere di Dio e non aspettarsi nulla da Lui. Ma ora che siamo riusciti a strappare il fuoco al cielo e alla profondità della terra, alla materia degli atomi, ora si apre il problema se la terra non s'incendi, se l'elemento della civiltà e della creatività non si trasformi nelle nostre mani in distruzione ed annientamento.
La Pentecoste ci dice che lo Spirito Santo è il fuoco e che Cristo è il vero Prometeo che ha preso il fuoco dal cielo. Certo, l'uomo deve avere il fuoco, non deve vegetare in un'esistenza oziosa, egli è stato creato per essere simile a Dio; ma questo fuoco che è forza di salvezza non lo porta il titano che mette Dio da parte, ma il Figlio che si espone al fuoco dell'amore e abbatte il muro dell'ostilità, facendo del fuoco un potere di trasformazione, di amore, e rinnovando il mondo.
Il cristianesimo è fuoco, non una faccenda noiosa, un pio profluvio di parole grazie al quale possiamo attaccarci a qualsiasi treno, pur di esserci. Il cristianesimo pretende da noi la passione della fede, che partecipa alla Passione di Cristo e con essa rinnova il mondo.
Muoviamo infine ancora dalle immagini e dai significati dei brani della Pentecoste: lo Spirito Santo vince la paura. I discepoli, che poc'anzi si nascondevano dietro le porte chiuse per timore degli ebrei, i quali avevano crocifisso il loro Signore e avrebbero potuto arrestarli e giustiziarli, escono fuori senza timore e annunciano il messaggio di Cristo Crocifisso, senza alcuna paura, perché sanno di essere nelle mani del più forte.
Una volta lessi che un prete, che aveva potuto trascorrere qualche tempo in una regione dell'Africa che era appena venuta in contatto con il cristianesimo e con la civiltà europea, ebbe a dire che la cosa che più lo colpì e commosse di quell'esperienza fu il terrore paralizzante che dominava interamente la vita di questi uomini, il segno distintivo del paganesimo in cui l'unico Dio non si è ancora manifestato. Essi temevano gli spiriti dei morti, gli spiriti sconosciuti e l'imprevedibilità degli spiriti sconosciuti. La vita intera è un calcolo basato sulla paura, sulla possibilità di scampare a forze ostili di fronte alle quali l'uomo è quasi inerme. Lo Spirito, ripetiamolo, vince la Paura, ogni paura!
Il mondo dello Spirito Santo non è segnato da spiriti e forze sconosciuti, bensì dallo Spirito che è amore e in quanto amore è onnipotenza. Perciò l'assenza di timore è il segno dello Spirito Santo, che ci mette nelle mani dell'amore onnipotente. Perciò anche la fede, se integra, può fronteggiare senza timore le forze del mondo, in quanto si sa guidata e protetta da colui che, più forte, ha legato l'uomo forte ("Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte: allora ne saccheggerà la casa". Mc 3,27). E non è, come si vorrebbe far credere, che in un mondo in cui la fede si fa definitivamente da parte sorgono finalmente la pura ragione e la pura temerarietà. Dove la fede viene meno, l'uomo necessariamente ricomincia a temere le forze sconosciute del destino, del futuro, della natura, che egli non si può scongiurare, ma solo Colui che le ha create e che le guida.
Preghiamo dunque in questo giorno di Pentecoste che lo Spirito Santo discenda su di noi e rinnovi la faccia della terra. Amen!
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