martedì 6 settembre 2022

Libro del Qoelet o Ecclesiaste -La Torah del Tutto è Vanità- e del Tutto è recuperabile alla Gioia




Qoelet/ Ecclesiaste 11,8


8 Anche se vive l'uomo per molti anni

se li goda tutti,

e pensi ai giorni tenebrosi, che saranno molti:

tutto ciò che accade è vanità.


Qohelet: un credente con degli interrogativi

Qohelet, forse più conosciuto con il nome di Ecclesiaste, si presenta come una raccolta scritta di varie considerazioni formulate da un filosofo, un saggio o un pensatore.

Tali riflessioni, inoltre, sono incorniciate da un’introduzione e una conclusione probabilmente attribuibili ad un editore successivo. Non si tratta di riflessioni sparse,bensì di pensieri connessi tra loro, tutti relativi alla realtà umana e al senso dell’esistenza che, partendo da un incipit pessimista sulla realtà immanente (Ec. 1:14), si sviluppano e concludono indirizzando l’attenzione del lettore sia verso una prospettiva etica (Ec. 11:1-6) sia verso un piano trascendente (Ec. 12:1). Tale sviluppo è evidente anche nell’introduzione e nella conclusione; in queste due sezioni troviamo, da un lato la nota espressione «vanità delle vanità […] tutto è vanità» (Ec. 1:2; 12:8) e, dall’altro lato, una forte enfasi sull’importanza per l’individuo di istaurare e coltivare una relazione con Dio (Ec. 12:13, 14). Una peculiarità di questo pensatore, infatti, è la sua fede. Si potrebbe dire che Qohelet è «un credente che pensa, che si interroga sul senso delle cose e come rapportarle alla sua fede in Dio»1 e, così facendo, invita a tale riflessione anche ciascuno dei suoi lettori. Nello studio della storia della filosofia raramente si pensa al medio oriente antico  e ancora più raramente al popolo d’Israele. I primi nomi che ci vengono alla mente sono  forse Talete, Anassimene, Anassimandro, Eraclito, Democrito o, ancora più noti, Socrate, Platone e Aristotele; tutti nomi legati alla filosofia greca. Tuttavia, Qohelet ci mostra che anche in Israele, probabilmente in epoca precedente, vi fu un interesse per la riflessione,  il pensiero, la conoscenza, in altre parole, per la filosofia. Tra le pagine di questo libro, infatti, è possibile trovare alcuni temi e alcuni concetti che saranno riproposti nel corso  dei secoli da varie correnti filosofiche: il panta rei di Democrito, alcuni elementi comuni all’Epicureismo, allo Stoicismo o allo Scetticismo sul valore della felicità e dei piaceri, il senso della vita e il valore della conoscenza, la concezione della vita umana di  Schopenhauer rappresentata dall’immagine del pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia passando per un momento fugace di gioia, o ancora il desiderio di possesso  di Faust, e l’idea dell’eterno ritorno proposta anche da Nietzsche2

Il campo di investigazione del nostro pensatore ebreo è molto ampio. Qohelet,  infatti, si interroga sul senso della realtà tutta, concentrandosi in particolar modo  sull’essere umano che prende parte a tale realtà, la sperimenta, la vive, si affatica in e per  essa e che, allo stesso tempo, sembra essere inesorabilmente destinato a distaccarsene. Per dare un’idea di quanto vasto sia il campo d’indagine di Qohelet basta pensare che il pensiero dell’autore gira intorno al «tutto»; il termine לֹּכ) kōl), che indica il tutto o la totalità, compare, sia alla forma base che in altre forme, 80 volte3 all’interno dello scritto  e spesso lo si trova nella formula «לֶבֶה לֹּכַה) «hakkōl heḇel), «tutto è vanità»4 , uno dei  ritornelli che funge quasi da leitmotiv all’interno del libro. Probabilmente, è proprio perché tratta un tema così vasto come quello del «tutto» e del «tutto per la vita umana» che questo libro, a distanza di secoli dalla sua composizione, può essere considerato ancora attuale, adatto anche ai giorni nostri5 .Nel corso del nostro lavoro di tesi, diviso in quattro capitoli, cercheremo di seguire il pensiero di Qohelet partendo dalla drammatica considerazione sul problema che affligge l’intero creato fino alla presentazione della gioia: quell’unico elemento che può riportare speranza agli esseri umani durante questa vita terrena che appare instabile e incerta. Proprio su quest’elemento vorremo focalizzarci, nel tentativo di riscoprire quelloche Qohelet presenta come il lato positivo della vita. È necessario, inoltre, non perdere mai di vista il background culturale e spirituale  dell’autore che, pur non scrivendo un trattato di teologia, include nelle sue riflessioni la  figura di Dio nella sua relazione con il creato e in modo particolare con l’umanità. A tal proposito, precisiamo che quando faremo uso della parola «uomo», in modo particolare nelle traduzioni dei vari passaggi che analizzeremo, non intendiamo il singolo individuo  di genere maschile ma, in un senso più generico del termine, l’essere umano. La nostra scelta vuole rispettare il termine originale utilizzato da Qohelet che scrive םָ דָ א‘) āḏām),termine che all’interno dell’Antico Testamento si riferisce ad Adamo il primo uomo, all’uomo in quanto individuo di genere maschile o, ancora, al genere umano. Nelle sue  riflessioni, Qohelet racconta una realtà che è comune a uomini e donne e offre dei consigli utili e validi per tutto il genere umano. Per questo motivo in linea di massima abbiamo preferito usare altri termini come «essere umano», «individuo» o «persona».  In un primo capitolo abbiamo provato a offrire una presentazione generale di Qohelet, presentando alcune informazioni utili sullo scritto e evidenziando il più possibile dei collegamenti con altri testi biblici e in, modo particolare, vetero testamentari. Successivamente ci siamo dedicati allo studio dei due temi che maggiormente spiccano  nella lettura di Qohelet: la vanità e la gioia. Per il primo tema, sicuramente più evidente  all’occhio del lettore, ci siamo avvalsi del supporto di studiosi e commentatori di gran lunga più esperti di noi i quali, nelle proprie opere, hanno offerto varie descrizioni di ciò  che Qohelet intende per «vanità» e cosa include quel «tutto è vanità» che apre e chiude  l’intera riflessione. Per quanto riguarda il secondo tema, invece, oltre all’aiuto necessario  di commentatori validi, abbiamo scelto di ricercare direttamente nel testo la presentazione  e lo sviluppo della tematica della «gioia»; per farlo abbiamo individuato cinque delle  pericopi in cui il tema viene trattato, le abbiamo studiate e analizzate in modo da poter   trarre le nostre conclusioni; per riferirci a questi passaggi abbiamo utilizzato l’espressione  «ritornelli sulla gioia», presa in prestito a L. Mazzinghi6  , che mostra molto bene il ruolo  di queste pericopi all’interno dello scritto: Qohelet, infatti, alterna le proprie riflessioni  sulla vanità dell’esistenza umana con questi brevi testi in cui la vita viene osservata da una prospettiva diversa grazie alla quale tutto assume un valore totalmente differente. Il terzo capitolo risulta essere, quindi, più lungo rispetto agli altri tre trattandosi di un  capitolo più tecnico e meno espositivo all’interno del quale ci siamo dedicati allo studio di cinque pericopi. Questo lavoro è stato propedeutico allo sviluppo della nostra tesi che è esposta nelle considerazioni sul tema della gioia all’interno del quarto ed ultimo  capitolo. In sintesi, potremmo dire che Qohelet, avendo fatto un’analisi dettagliata della  realtà che lo circonda, sia arrivato alla conclusione che, sebbene nella vita umana tutto  possa essere considerato vano e fugace, vi sono delle circostanze in cui gli esseri umani possono sperimentare gioia o piacere, insomma possono finalmente essere felici. Qohelet  vede la mano di Dio dietro tutto ciò e invita i propri lettori a saper riconoscere e  valorizzare la gioia quando si presenta nelle loro vite. Per Qohelet, la vita umana è quanto di più incerto e instabile possa esserci, proprio per questo ogni occasione di gioia va colta  e goduta. Il messaggio del libro, quindi, non è composto solamente dalle considerazioni sul «tutto è vanità», anzi, queste considerazioni sono affiancate da un tema che va in forte  contrasto con quello della vanità: la gioia.

Nel nostro lavoro di tesi abbiamo voluto enfatizzare l’importanza di questo  secondo elemento presentato da Qohelet che, nelle letture contemporanee viene spesso ignorato o sminuito. La nostra idea è che quel tema vada letto non come il messaggio principale che Qohelet vuole trasmettere ma come una parte molto importante della sua. valutazione complessiva della realtà e della vita umana. In fondo nel corso della propria vita ciascun individuo ha modo di vivere infiniti tipi di esperienze ma, spiega Qohelet, la miglior esperienza possibile è quella della gioia, che porta con sé anche tanto altro.Sebbene quello appena esposto sia stato il focus che abbiamo scelto di dare alla nostra tesi, siamo consapevoli che all’interno del libro di Qohelet è possibile trovare tanti  altri insegnamenti validi e attuali. Dopotutto, ciò che l’autore si propone di fare è la descrizione di una realtà estremamente vasta ed eterogenea; «Qohelet non tende a semplificare la realtà, ma a riconoscerne le complesse e variegate pieghe e sfaccettature»7

La nostra tesi, pertanto, non si propone come la lettura di Qohelet ma come una lettura  del libro per la quale abbiamo scelto di focalizzarci in modo particolare sulla descrizione della gioia all’interno della vita umana. Se affermassimo che vi è un solo modo di leggere  e comprendere Qohelet, vorrebbe dire che non abbiamo colto lo spirito del libro stesso, che invita ogni lettore ad accompagnare l’autore nelle proprie riflessioni e a continuare a riflettere, pensare e ragionare anche indipendentemente sulla vita e sull’esistenza umana.

Lo scopo che pensiamo questa tesi possa avere e, in fondo, il motivo che ci ha spinti a redigerla è quello di riportare alla luce un tema, all’interno di un libro, che non viene ordinariamente discusso né dal pulpito né in ambito accademico. La difficoltà nel  trovare opere che trattassero la tematica della gioia all’interno di Qohelet è una prova della necessità appena evidenziata. Ancora una volta, non abbiamo la presunzione di scrivere una parola definitiva sulla concezione della gioia all’interno del libro di Qohelet ma speriamo, quantomeno, di risvegliare l’interesse nei confronti di questo scritto e della letteratura sapienziale in genere.

Riscoprire il valore della gioia all’interno della filosofia qoheletiana ci aiuta sicuramente a riscoprire l’idea che l’autore si era fatto di Dio, un Dio che è ancora lo stesso e che ancora oggi tende la sua mano verso l’umanità per risollevarla e riscattarla da quell’assenza di senso che pervade ogni cosa e che Qohelet stesso denuncia con il suo  incalzante grido: «vanità delle vanità, tutto è vanità» (Nicolò D’Elia -Introduzione alla Tesi di Laurea magistrale in «Pastorale della famiglia»  Anno accademico 2020-2021-Istituto Avventista di Cultura Biblica-QOHELET E LA SUA RIFLESSIONE SULLA VITA UMANA TRA GIOIA E VANITÀ. Uno studio teologico di Qohelet con analisi esegetica di passi scelti)


sta in

https://villaaurora.it/wp-content/uploads/2020/11/DElia_Nicolo_Qohelet_una_riflessione_sulla_vita_umana_tra_gioia_e_vanita.pdf


A tale documento integrale di  163 pagine si rimanda per le note previste nell'Introduzione

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Era il 1955, e nella sinagoga di Torino il giovane Guido Ceronetti, studioso principiante di ebraico bilbico, si applicava sotto la guida del rabbino, a "una stentata versione interlineare" del rotolo detto nella Vulgata "Ecclesiaste": il secondo dei libri sapienziali dell'Antico Testamento, redatto da un ignoto autore del III secolo e da alcuni interpreti attribuito a Salomone stesso; e dal rabbino imparò a dirne i versetti. Da allora, per quasi cinquant'anni, Ceronetti ha continuato a confrontarsi con questo grande "poema ebraico". Oltre all'ultima versione, terminata nel 2001, questa edizione ci offre la prima, che risale al 1970; tra le due, l'amplissimo ventaglio delle riflessioni che hanno accompagnato il lavoro della traduzione.

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