domenica 13 agosto 2017

Dio...l'unico che ci può riscattare dal pericolo



Non esiste dolore più atroce per l'anima della calunnia sia quando uno viene calunniato per la fede sia per il comportamento. E nessuno può restare impassibile quando è calunniato ad eccezione di colui che rivolge il suo sguardo a Dio, l'unico che ci può riscattare dal pericolo, svelare alla gente la verità e confortare la nostra anima con la speranza.

San Massimo il Confessore


  

Dagli Insegnamenti di Doroteo di Gaza. Instructions, VI, 69-70. 71. 72. 74. 75-76. SC 92,271-277.281.
 


Per il fatto che non ci si preoccupa dei mali propri e non si piange, come dicevano i Padri, il proprio morto, non si riesce assolutamente a correggere se stessi, ma sempre ci si da da fare intorno al prossimo

Non c'è nulla che irriti tanto Dio, non c'è nulla che riduca tanto
l'uomo a uno stato di spoliazione e di abbandono da parte di Dio quanto il
fatto di parlar male del prossimo, di giudicarlo o disprezzarlo.


Altra cosa è infatti parlar male, altra cosa giudicare e altra cosa
disprezzare. Parlar male è dire di uno: "Il tale ha mentito", oppure: "Si è
adirato", oppure: "Ha fornicato", e così via. Si è già parlato male di lui,
cioè si sono dette parole cattive sul suo conto, si parlato del suo
peccato, spinti dalla passione.


Giudicare invece è dire: "Quel tale è un bugiardo, è sempre in
collera, è un fornicatore". Ecco, si è giudicata la disposizione stessa del
suo cuore, ci si pronuncia sull'intera sua vita, si esprime un giudizio su
di lui e lo si giudica in base a questo giudizio. E ciò è grave.

Altra cosa è dire: "Si è adirato", altra cosa è dire: "È un uomo
iroso" ed esprimere così un giudizio su tutta la sua vita.

Giudicare è un  peccato gravissimo, più grave di ogni altro, al punto che Cristo stesso ha
detto: Ipocrita, togli prima la trave al tuo occhio e allora potrai vederci
bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio di tuo fratello. Il Signore ha
paragonato il peccato del prossimo a una pagliuzza, il giudicare invece a
una trave, tanto grave è giudicare il prossimo, forse il peccato più
grande.



Non c'è peccato più grave e terribile, come dico spesso, del giudicare
il prossimo. Perché piuttosto non giudichiamo noi stessi e i nostri mali
che conosciamo così bene e di cui dovremo rendere conto a Dio? Perché
vogliamo metterci al posto di Dio ed essere noi a giudicare? Che
pretendiamo dalle creature, cosa esigiamo dal prossimo? Perché vogliamo
portare un peso che non ci spetta? Abbiamo di che preoccuparci, fratelli!

Ciascuno badi a se stesso e ai propri mali. Solo a Dio spetta
giustificare e condannare, a lui che conosce la situazione di ciascuno, le
sue forze, il suo modo di comportarsi, i suoi doni, il suo temperamento, le
sue possibilità e giudica ognuno secondo tutto ciò che lui solo conosce.
Dio giudica in modo diverso un vescovo o un principe, il capo e il
discepolo, l'Anziano e il giovane, il malato e il sano. E chi può conoscere
questi giudizi se non colui che tutto ha creato, tutto ha plasmato e tutto
conosce?



L'uomo non può saper nulla dei giudizi di Dio, ma Dio solo capisce
tutto e può giudicare ciascuno, come lui solo sa. In verità può succedere
che un fratello nella sua semplicità faccia qualcosa o quell'unica cosa è
gradita a Dio più che la tua vita intera, e tu ti fai giudice e lo
condanni?

E se pure gli capita di peccare, come puoi sapere quante lotte ha
sostenuto, quante volte ha versato il sangue prima di fare il male? Forse
il suo peccato è computato a giustizia agli occhi di Dio, perché Dio
vedendo la sua pena, il tormento che ha patito prima di fare il male, ne ha
misericordia e lo perdona. E se Dio lo perdona, tu oseresti condannarlo
perdendo la tu anima? Che ne sai tu di quante lacrime ha versato davanti a
Dio per questo suo peccato? Tu hai visto la mancanza, ma non sai nulla del
suo pentimento.




Noi facciamo le opere del diavolo s non ce ne importa nulla. Che altro
fa un demonio se non turbare e far del male? E noi aiutiamo il demonio a
operare la rovina nostra e del prossimo. Chi fa del male a un'anima infatti
aiuta il demonio nella sua opera; chi invece le fa del bene opera con i
santi angeli.

Ma da dove ci vengono tutti questi mali se non dal fatto che non
abbiamo in noi l'amore? Se avessimo in noi l'amore unito alla compassione ,
non ci cureremmo dei peccati del prossimo, come dice la Scrittura: L'amore
non tiene conto del male, tutto copre e L'amore copre una moltitudine di
peccati. Se avessimo l'amore, l'amore stesso coprirebbe ogni peccato; e noi
saremmo come i santi quando vedono i difetti degli uomini. Non sono certo
ciechi i santi, così da non vedere i peccati. E chi odia il peccato tanto
quanto i santi? Eppure non odiano chi ha commesso il peccato, non lo
giudicano, non fuggono lontano da lui, ma ne hanno compassione, lo
consigliano, lo consolano, hanno cura di lui come di un membro malato,
fanno di tutto per salvarlo. 

 35. Chi odia tanto il peccato quanto i santi?  E tuttavia non odiano il pecca­tore, non lo condannano, non se ne allontanano, ma ne hanno compassione, lo ammoniscono, lo consolano, lo curano come un membro malato: fanno di tutto per salvarlo.
I pescatori, quando gettano l’amo in mare e prendono un grosso pesce, se si accorgono che si agita e si divincola, non lo tirano subito con vio­lenza, perché la lenza si romperebbe e tutto andrebbe perduto, ma gli danno corda abilmente e lo lasciano andare dove vuole; quando poi capiscono che non ce la fa più e ha cessato di dibattersi, allora piano piano cominciano a tirarlo indietro. Allo stesso modo fanno anche i santi: con la pazienza e con l’amore attirano il fratello e non lo cacciano via a calci né se ne disgustano, ma come una ma­dre, se ha un figlio deforme, non se ne di­sgusta, non se ne allontana, ma vo­lentieri lo adorna e fa quello che può per renderlo gradevole, così i santi sempre proteggono il peccatore, lo preparano, se ne prendono cura per poterlo correggere al momento opportuno e per non permettergli di danneggiare qualcun altro, ma per fare anch’essi maggiori progressi nell’amore di Cristo.
(Doroteo di Gaza, Insegnamenti Spirituali, 76)



21. Mentre eravamo lì seduti, alcuni vescovi cominciarono a chiedere al [vescovo] Nonno di essere istruiti in qualcosa da lui; e subito, dalla sua bocca, il santo vescovo comincio a parlare per l'edificazione e la salvezza di tutti coloro che ascoltavano.
Mentre tutti noi ammiravamo la sua santa dottrina, ecco che all’improvviso passò in mezzo a noi la prima delle attrici di Antiochia, che era anche la prima delle danzatrici mimiche, seduta su un asinello; e venne avanti con molta appariscenza, adornata a tal punto che nulla si vedeva su di lei se non oro e perle e pietre preziose, anche la nudità dei suoi piedi era ricoperta d'oro e di perle. Passando in mezzo a noi, riempì tutta l'aria del profumo di muschio e della fragranza di tutti gli altri soavissimi aromi. E quando i vescovi la videro passare in modo così inverecondo deplorarono in silenzio e distolsero i loro volti...
In seguito giungemmo all'ostello, dove ci fu data una camera. [Il vescovo Nonno] entrato nella sua camera si gettò sul pavimento con il volto a terra e battendosi il petto piangeva con lacrime, dicendo: "Signore Gesù Cristo, perdona me peccatore e indegno, poiché l'ornamento di un sol giorno di una prostituta supera l'ornamento della mia anima. Con che faccia rivolgerò a te lo sguardo? O con quali parole mi giustificherò al tuo cospetto? Non nasconderò, infatti, il mio cuore davanti a te, poiché tu scruti dall’alto i miei segreti. E guai a me, peccatore e indegno, poiché mi presento al tuo altare e non offro l'anima bella che tu mi richiedi. Lei, infatti, ha promesso di piacere agli uomini e l'ha fatto, e io ho promesso di piacere a te e non ho mantenuto la parola per la mia pigrizia. Nudo sono, così in cielo come in terra, poiché non ho adempiuto i precetti dei tuoi comandamenti. Dunque, nessuna speranza mi viene dalle buone opere, ma la mia speranza sta nella tua misericordia, per la quale confido di essere salvato".
(Da La vita di Santa Pelagia scritta dal diacono Giacomo 2. 4). Cf. Benedicta Ward, Donne del deserto, Qiqajon, 1993, 88.90
 Ti definisci peccatore; ma in realtà riveli di non aver raggiunto la coscienza della tua unità. Chi si riconosce peccatore e causa di molti mali, dissente con nessuno, discute con nessuno, non è in collera con nessuno, ma considera ogni uomo migliore e più saggio di se stesso. Se sei un peccatore, perchè biasimi il tuo prossimo e lo accusi di recarti offesa? Stando così le cose, tu ed io siamo lontani dal ritenerci dei peccatori. Osserva, fratello, quanto siamo meschini: parliamo soltanto con le labbra e le nostre azioni mostrano che siamo differenti da ciò che diciamo. Perchè quando ci opponiamo a dei pensieri, non riceviamo la forza di respingerli ? Perchè precedentemente ci siamo arresi col biasimare il nostro prossimo e questo ha fiaccato la nostra forza spirituale. Così accusiamo il nostro fratello, nonostante noi siamo i veri colpevoli. Poni tutti i tuoi pensieri nel Signore, dicendo: Dio conosce ciò che è meglio, e sarai in pace, e, a poco a poco, ti sarà data la forza di resistere.

Lettera Ottava Lettere Ascetiche di San Barsanufio a Giovanni


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