San Giovanni Cassiano
BIOGRAFIA
Estratto da “San Giovanni Cassiano - La sua dottrina spirituale”
di Suor Marie-Ancilla, O.P. Ed. la THUNE 2002
(Libera traduzione dal francese [1]) in http://ora-et-labora.net/cassianovita.html
Giovanni Cassiano è una figura di notevole
rilievo del V secolo. Una vasta cultura e numerosi viaggi gli hanno
permesso di esercitare un'influenza considerevole sul suo tempo e nei
secoli seguenti.
A. Gioventù
Giovanni Cassiano [2] nacque verso il 360 per alcuni , per altri verso il 365, nell'Europa centrale, l'attuale Romania.
“La patria di Cassiano deve essere cercata nella
parte Occidentale del territorio dipendente dalla città di Histria,
vicino al limite che lo separa da quello di Ulmetum, da qualche parte
nella valle del Casimcea, vicino al villaggio attuale di Sheremet, cioè a
40 km circa a nord-ovest della moderna città di Constantza. [...]
Sembra così che il nome di Cassiano sia legato ad una zona rurale della
città di Histria. L'impiego di questo nome si è mantenuto per più di un
secolo per il motivo di essere legato alla terra e non ad una famiglia.
Si spiega così il nome stesso che porta il nostro Giovanni Cassiano: non si è abbastanza osservato ciò che ha di strano l'accoppiamento di un nome cristiano ad un cognomen
di tipo classico: tutto diventa chiaro se Cassianus fosse non un
cognome, ma in un certo qual modo un'etnia, mettendo in risalto l'origo significativo del nostro monaco sciita: Johannes Cassianus dovrebbe in un certo qual modo rendersi in italiano con “Giovanni il Cassiano„„.[3]
Nel IV secolo, questa regione era un luogo di
incontro tra il mondo latino e quello greco. Cassiano ereditò dunque una
doppia cultura. Questo è importante per comprendere l'influenza che
eserciterà sulla tradizione monastica, sia d'Oriente che d'Occidente.
Egli potrà fare passare nella Gallia tutta l'eredità monastica ricevuta
in Oriente – legata fino ad allora alla cultura greca –, trovando
l'adeguato vocabolario latino per dirlo, pur mancando al latino parlato
nel suo paese la purezza della lingua.
Cassiano è nato in una famiglia cristiana agiata che tenne sempre in grande stima:
“Il ricordo della loro devozione e della loro
pietà ci fortificava molto in questo disegno [...]. Il nostro spirito ci
rappresentava incessantemente la bellezza di questo paese dove siamo
nati, e che è l’antica eredità ricevuta dei nostri antenati„ (Coll., 24,1).
B. A Betlemme
Dopo avere ricevuto un’eccellente formazione classica (Cfr. Coll., 14,12), ancora molto giovane (Coll., 17,7; Inst., Prefazio 4), egli disdegnò “il suolo della sua patria„ e “le delizie del mondo„ (Coll., 1,2) e partì con il suo amico Germano con il quale era “uno spirito ed un’anima in due corpi„ (Coll., 1,1). Si recano in un monastero di Betlemme (Inst.,
3,4), nella Provincia romana della Siria “che non è distante dalla
grotta dove il Nostro Signore ha voluto nascere dalla Vergine„ (Inst., 4,31; Cfr. Coll., 11,1; 20,1).
Questo primo contatto con il monachesimo cenobitico – che durò soltanto due anni (Coll.,
19,2) – gli permise di arricchirsi della tradizione cenobitica del
monachesimo palestinese. Ma desiderò vivamente fare l'esperienza del
monachesimo egiziano:
“La nostra vita monastica incominciò in un
monastero di Siria. Là imparammo i primi elementi della fede e facemmo
qualche progresso; però ben presto sentimmo il desiderio di una
perfezione più alta e decidemmo di recarci in Egitto„ (Coll., 11,1).
Il monachesimo palestinese non aveva tradizioni
mistiche, contrariamente all'evoluzione apportata al monachesimo
egiziano dal monaco Evagrio. Così Cassiano ed il suo amico desiderarono
recarsi in Egitto. Dopo i molti anni passati in Egitto, Cassiano parlerà
“della mediocrità della vita quotidiana„ nel suo monastero di Betlemme.
Cassiano chiede dunque il permesso di partire per l’Egitto, mentre era ancora adolescente (Coll.,
14,9), probabilmente a seguito di una visita dell’abate Pinufio nel suo
monastero. Quest'ultimo fuggiva dal suo monastero dove era troppo
conosciuto, per nascondersi:
“Abbiamo veduto di persona l’abate Pinufio.
Quando ancora egli era prete in un grande monastero dell’Egitto, posto
non lontano dalla città di Panefisi. (…) E così, salito su di una nave,
cercò di raggiungere i territori della Palestina, credendo di potervi
dimorare più nascosto se fosse riuscito a portarsi in luoghi, nei quali
perfino il suo nome mai era stato udito. Quando vi fu arrivato, subito
raggiunse il nostro monastero, situato non lontano dalla grotta, nella
quale s’era degnato di nascere dalla Vergine nostro Signore Gesù Cristo.
Ma non poté rimanervi nascosto se non per un tempo molto breve [...]
Infatti alcuni fratelli, giunti fino ai Luoghi Santi dall’Egitto per
pregare, lo riconobbero e a forza di preghiere e di suppliche riuscirono
a ricondurlo al loro monastero “ (Inst., 4,30-31).
Esitando a lasciare partire Giovanni e Germano,
il loro abate chiese loro di promettere dinanzi a tutti i fratelli che
sarebbero ritornati entro breve tempo (Coll., 17,5; Cf. Ibid., 17,2; 18,2); ciò che essi fecero.
“Volevamo giungere fino al deserto lontano della
Tebaide, per visitare il più gran numero possibile di quei santi monaci
la cui fama aveva sparso il nome per tutta la terra. Ci sospingeva a
questa impresa il desiderio di conoscere questi santi uomini, se non
proprio quello di gareggiare con loro in santità. Alla fine della
navigazione giungemmo ad una città egiziana chiamata Tenneso. Essa è
circondata dalle acque: da una parte ha il mare, dall’altra laghi salati
„(Coll., 11,1; Cf. Prefazione dei libri 11-17).
La scelta di questo luogo è probabilmente
legata al fatto che l’abate Pinufio – la cui umiltà aveva impressionato
Cassiano, in occasione del suo passaggio a Betlemme – aveva là il suo
monastero.
C. in Egitto
1. Panefisi
Cassiano e Germano sbarcano a Tenneso e
raggiungono il deserto di Panefisi, dove apprenderanno come si conduce
la vita monastica nelle comunità dell'Egitto. Sono avidi “di essere
istruiti nella scienza dei santi„, desiderosi di un'alta perfezione (Coll., 20,2).
Cassiano ha un colloquio con famosi abati.
Scopre, grazie all'insegnamento dell’abate Cheremone, la bellezza della
carità – è a lui, infatti, che Cassiano attribuisce le conferenze 11-13.
Ha un colloquio ancora con l’abate Nestore e con l’abate Giuseppe
(Conferenze 14-15 e 16-17). L’abate Giuseppe gli è di grande aiuto per
il caso di coscienza che si pone a lui ed al suo amico. Poiché una volta
in Egitto, si rammaricano di avere promesso al loro abate di Betlemme
un pronto ritorno. L’abate Giuseppe libera la loro coscienza con il suo
consiglio: il monaco, dice loro, non deve legarsi con un impegno
assoluto; deve conservare la sua libertà di giudizio per distinguere ciò
che è il meglio (Coll., 17,25). Cassiano ed il suo amico
restarono dunque in Egitto. – Soltanto dopo sette anni si recarono in
Palestina per compiere la loro promessa. Vi restarono poco tempo, ma
questo passaggio permise loro di ristabilire le relazioni di carità con
il loro monastero (Coll., 17,30).
2. Diolco
Liberati dai loro scrupoli, si recano dunque a
Diolco, nel delta del Nilo, dove l’abate Piamun li istruisce sulla vita
anacoretica:
“Dopo la vista e la conversazione dei tre
vegliardi, le cui Conferenze io ebbi già la possibilità di esporre in
qualche modo [...], noi, spinti ormai dalla brama di visitare le altre
regioni dell’Egitto, nelle quali risiedeva un numero anche più grande e
di maggior perfezione di uomini santi, giungemmo al borgo di Dioico,
situato su una delle sette bocche del fiume Nilo [...]. il nostro
sguardo si fissò, come su un altissimo faro, sull’abate Piamun, [...]era
il più anziano di tutti gli anacoreti che colà dimoravano, e anche il
loro sacerdote “(Coll., 18,1).
3. Panefisi
Essi ritornarono, in seguito, nel deserto di
Panefisi dove cercarono di incontrare l’abate Pinufio che li ricevette
con molta carità. Ascoltarono il celebre sermone impartito dall’abate,
in occasione di una vestizione. Vi si tratta giustamente della
perfezione:
“E perché tutti questi suggerimenti,
disseminati fin qui in un discorso abbastanza ampio, restino fissati più
facilmente nel tuo animo ed aderiscano tenacemente ai tuoi sensi, io ne
trarrò un breve riassunto affinché tu possa, proprio nella brevità e
nel compendio di tutti questi precetti, mantenerne il ricordo nella loro
complessità. Ascoltane dunque tutta la serie ordinatamente in modo che
tu possa, senza troppe difficoltà, salire fino alla sommità della
perfezione.
Il principio della nostra salvezza e della
nostra saggezza è, dunque, il timore del Signore (cf. Pr 9, 10). Dal
timore del Signore deriva una compunzione salutare. Dalla compunzione
del cuore scaturisce la rinuncia, vale a dire, la privazione volontaria
ed il disprezzo di tutti i beni. Da questa privazione di tutto nasce
l’umiltà. Dall’umiltà si genera la mortificazione di ogni volontà
propria. Per effetto della mortificazione della volontà vengono
estirpati tutti i vizi. Con l’eliminazione dei vizi sorgono,
fruttificano e crescono le virtù. Con lo sbocciare delle virtù si
acquista la purezza del cuore. Con la purezza del cuore si raggiunge il
possesso della perfezione, tutta propria della carità apostolica „ (Inst., 4,43).
È probabilmente un insegnamento dello stesso
filone, ascoltato da Cassiano a Betlemme, che gli aveva dato il
desiderio di andare a visitare i monaci dell'Egitto. Con queste parole,
lui ed il suo amico scoprirono l’ardua via della rinuncia più elevata
con, in cima, la perfezione della carità apostolica (Coll., 20,1-3). Ma si accorgeranno fra non molto che si va ancora più su nella perfezione.
L’abate Pinufio “insistette molto", riporta
Cassiano, "per farci decidere a restare nel suo monastero. Ma la fama
del deserto di Scete ci invitava„ (Coll., 20,12).
4. Deserto di Scete
Il deserto di Scete era “il soggiorno dei più
famosi fra i Padri in condizione monastica„. Essi vi incontrano l’abate
Pafnuzio, sacerdote del luogo (Coll., 3,1; 18,15) e numerosi monaci [4] che distribuirono loro il proprio insegnamento. Le loro conferenze sono riportate nel libro I ed in una parte del libro III (Coll., 20-24). Cassiano riassume così i vantaggi di questi incontri:
“Noi avevamo creduto di poter raggiungere il
culmine della perfezione con la prima rinuncia, che era quella in cui ci
trovavamo impegnati con tutte le nostre forze; ora invece scoprivamo di
non aver visto neppure in sogno le vette della vita monastica. Riguardo
alla seconda rinuncia, qualcosa c’era stato detto nei monasteri dei
cenobiti, ma della terza, cioè di quella che contiene tutta la
perfezione e supera le prime due in modi innumerevoli, non avevamo
sentito neppur parlare “(Coll., 3,22).
La prima rinuncia consiste nel lasciare il
mondo, la seconda nella lotta contro i vizi, la terza nella completa
purificazione dei pensieri per aderire incessantemente a Dio nella
contemplazione. L'influenza evagriana è manifesta [5] .
Un evento importante segnò il lungo soggiorno di
Cassiano a Scete. Il vescovo Teofilo di Alessandria pubblica, nel 399,
una lettera festale che annuncia la data della festa di Pasqua. Egli vi
condanna l'antropomorfismo. Numerosi monaci avevano aderito a questa
eresia ed ebbero difficoltà ad accettare la lettera. Solo il monastero
dell’abate Pafnuzio (un monastero su quattro) la ricevette:
“Il fatto suscitò vivo malcontento in quasi
tutti i monaci egiziani, i quali, per la semplicità della loro mente,
erano caduti in quell'errore. [...] i monaci che abitavano nel deserto
di Scete, che superavano in scienza e pietà tutti quelli degli altri
monasteri egiziani, rifiutarono la lettera pastorale di Teofilo. Fra
tutti i monaci – sacerdoti, - ci fu solo l'abate Pafnuzio, superiore
della nostra congregazione, che si dichiarò pronto ad accettarla. Gli
altri, che presiedevano le tre Chiese del deserto, non permisero neppure
che quella lettera fosse letta nelle pubbliche assemblee dei monaci „ (Coll., 10,2; Cf. Ibid., 10,3; Inst., 8,2-4).
Il soggiorno in Egitto era durato quasi dieci anni.
D. Costantinopoli (400) - Roma (405)
Antiochia - Roma
Teofilo, che era stato amico di Evagrio, fa bruscamente dietrofront e combatte l’origenismo [6]
, e quindi Evagrio, che era discepolo di Origene. Evagrio era appena
morto nel 399, e Cassiano, Germano ed i loro amici lasciano l'Egitto lo
stesso anno [7] .
Nel 400, Teofilo fa espellere i monaci
origenisti con la forza. I monaci di Scete sono obbligati a disperdersi e
si rifugiano a Gerusalemme, poi da Giovanni Crisostomo. È probabilmente
con loro che Cassiano raggiunse Costantinopoli. Egli vi fu ordinato
diacono da Giovanni Crisostomo (Cfr. Gennadio), e Germano sacerdote. Ma
l'accoglienza fatta da Giovanni Crisostomo ai monaci origenisti gli
valse l'ostilità di Teofilo che finisce per ottenere il suo esilio.
Nel 404, data dell'esilio del patriarca
Giovanni, Cassiano si reca a Roma per portare al papa una lettera del
clero di Costantinopoli a favore del loro vescovo [8] .
A Roma, si lega d'amicizia con il papa Innocenzo
I che lo stima e si confida con lui. Qui fa anche la conoscenza di un
giovane diacono che diventerà il papa san Leone Magno.
È certamente a Roma che morì Germano, poiché dopo non se ne trova più traccia.
Cassiano restò a Roma o andò ad Antiochia dove
il vescovo lo avrebbe ordinato sacerdote, poi caricato nuovamente di
un'ambasciata a Roma? I pareri sono discordi.
E. Marsiglia (415?)
1. Cassiano e la vita monastica
Verso il 415 troviamo Cassiano a Marsiglia dove
morì verso il 435. Egli trasmetterà in occidente, grazie alla sua doppia
cultura greca e latina, adattandola, la dottrina spirituale lungamente
assimilata in Egitto. La sua esperienza è, infatti, molto ricca. Ha
vissuto in un monastero ed ha condiviso la vita degli anacoreti in una
cella in pieno deserto. Ha potuto intrattenersi con i più prestigiosi
Padri del deserto. Senza contare la sua esperienza diplomatica che lo ha
messo al corrente delle grandi questioni della Chiesa del suo tempo.
“La regione nella quale egli si installa conosce
una vita monastica fiorente; il vescovo di Apt, Castore, ha appena
fondato un monastero a Lérins, diretto da santo Onorato, ben presto
descritto come “un monastero immenso„. È per tutti questi monaci che
Cassiano scriverà le sue conferenze e le sue istituzioni. “ [9]
Una lettera apocrifa del V secolo riporta che
egli fonda “due monasteri, cioè uno di uomini e l'altro di donne„, che
sarebbero le abbazie di San Vittore e quella di San Salvatore. “A
Cassiano furono affidati dal vescovo di Marsiglia, Procolo, i monaci che
quest'ultimo avrebbe riunito attorno a sé „ [10] . Ma dopo essere stati a lungo considerati come acquisiti, questi fatti sono rimessi in questione dagli specialisti.
Tuttavia si ha una prova da Gennadio, sacerdote
della chiesa di Marsiglia che viveva al tempo del papa Gelasio 1°
(492-496), sull'attività di Cassiano a Marsiglia, nel suo De viris illustribus – che dà una breve notizia su tutti gli scrittori cristiani del V secolo:
“Cassiano che era d'origine sciita fu ordinato
diacono da Giovanni il Grande (Crisostomo), vescovo di Costantinopoli.
Nei pressi di Marsiglia, fondò, dopo l'ordinazione sacerdotale, due
monasteri, uno di uomini, l'altro di donne. Tutti e due esistono ancora.
Guidato dall'esperienza e da uomo informato, o per meglio dire,
trovando le parole giuste e traducendo i suoi propositi con l'esempio,
scrisse tutto ciò che è utile e necessario alla professione di tutti i
monaci. Trattò in tre libri dell’abito dei monaci, del modo di pregare e di salmodiare ad ore regolari, così come lo si rispetta giorno e notte nei monasteri egiziani. Scrisse un libro riguardante l'origine e la natura della vita monastica; infine, otto libri riguardanti gli otto rimedi agli otto vizi capitali; ogni libro tratta di un rimedio. Redasse con ordine gli incontri che ebbe con i Padri dell'Egitto sul progetto ed il fine del monaco, sul discernimento, sulle tre vocazioni al servizio di Dio; sul combattimento della carne contro lo spirito e del combattimento dello spirito contro la carne;
sulla natura di tutti i vizi, sulla morte dei santi e l'incostanza
dell’anima, sulla qualità della preghiera, la perfezione, la castità,
sulla protezione divina, sulla scienza spirituale, i carismi divini,
sull'amicizia, su ciò che è definibile e ciò che non lo è, sui tre tipi
di monaci nell'antichità, sui quattro nuovi tipi, sull'impegno della
vita cenobitica ed eremitica, sul valore riparatorio della penitenza,
sul riposo della Pentecoste, sugli angeli notturni, sulle parole di
Paolo: “Non faccio ciò che voglio, ed il male che non voglio, io lo faccio„ (Rm 7,19) e sulla mortificazione.
Per finire, su richiesta di Leone, il vescovo di Roma, compose un'opera contro Nestorio, in sette libri, a proposito Dell'incarnazione di Nostro Signore. È componendo quest'opera che morì nei pressi di Marsiglia, sotto il regno di Teodosio e di Valentiniano. “ [11]
L'elemento più significativo del soggiorno di
Cassiano in Provenza è indiscutibilmente la sua attività letteraria.
Redige per dei monaci – cenobiti o eremiti – che esistono già nella
regione [12] , le Istituzioni cenobitiche (verso il 421) e le Conferenze spirituali (verso
il 426), come fa notare la lista lasciata da Gennadio. Non si tratta
semplicemente per Cassiano di ritrasmettere insegnamenti ascoltati.
Vuole collegare i suoi lettori alla scuola dei monaci dell'Egitto:
“Ma ecco che ora gli autori stessi delle Conferenze
entreranno nelle celle dei vostri monaci, per mezzo di questi volumi, e
li faranno ogni giorno lieti della loro compagnia, si lasceranno porre
delle domande e daranno le loro risposte„ (Coll., Prefazione del libro III).
Sono state conservate delle testimonianze sul
titolo di “santo„ dato a Cassiano. Il papa Gregorio Magno cita san
Cassiano in una lettera ad una badessa di Marsiglia. I papi Urbano VIII e
Benedetto XV dichiarano che non è permesso metterne in dubbio la sua
santità. E soprattutto, la sua festa liturgica si celebra tanto in
Oriente (28 o 29 febbraio) che in Occidente (il 23 luglio, nella diocesi
di Marsiglia).
2. Cassiano ed il movimento provenzale
Cassiano porta a Marsiglia gli insegnamenti
molto concreti dei Padri del deserto con l’intento contemplativo che era
quello dei monaci di Scete. Il suo insegnamento si diffuse a Marsiglia,
a Lérins, nelle isole di Hyères e raggiunse l'interno della Provenza.
Tutto un gruppo di monaci condivise poco a poco questo ideale, Ilario
d’Arles (vescovo dal 430 al 449), Valeriano di Cimiez – nei pressi di
Nizza – (vescovo dal 439 al 461), Vincenzo di Lérins (abate di Lérins
dal 434 al 460) e Fausto di Riez (vescovo fino alla sua morte verso il
495) [13]
– tutti e quattro sono stati monaci di Lérins –: li si chiamerà i
“monaci provenzali„. È importante osservare che la conferenza 13 di
Cassiano che tratta della grazia e della libertà, argomento che sarà
all'origine del movimento provenzale, è indirizzata a Onorato, fondatore
di Lérins ed ad Eucherio, monaco di Lérins. Questi monaci fecero
parlare di sé per questa teologia, su cui si basava implicitamente la
loro ascesi.
La loro ascesi, infatti, era plasmata della
tradizione spirituale orientale, fondata sulla teologia comune dei Padri
greci. Il sinergismo ne era il cuore. Ma, l'inizio del V secolo, in
occidente, è segnato dalla controversia che oppone Agostino a Pelagio.
Pelagio difendeva l'autonomia dell'uomo “contro una concezione
pessimista della natura umana. Affermava che, nonostante la caduta
originale, l'uomo può operare la sua salvezza con le sue proprie forze. „
[14]
Agostino sosteneva che solo Cristo può liberare
l'uomo dal peccato originale e che senza la grazia proveniente da Dio,
l'uomo non può cominciare nessuna buona opera [15]
, poiché “il peccato originale ha corrotto la natura umana ad un punto
tale che, senza la grazia, con il libero arbitro che ha conservato,
l'uomo può soltanto scegliere il male„. [16] L' “inizio della fede„ [17]
è un dono di Dio: l'uomo non può averne l'iniziativa e questa grazia è
completamente gratuita poiché non si basa su alcun merito precedente.
I monaci provenzali sentirono la loro ascesi
messa in pericolo da questa teologia che, indurita dai partigiani di
Agostino, non sembrava lasciare alcun posto all'uomo. Se la grazia fa
tutto, a cosa serve l’ascesi?
Cassiano mette l'accento soprattutto su due punti:
a. Dopo il peccato di Adamo e
prima della venuta di Cristo, l'uomo ha una certa autonomia. Tutto il
Vecchio Testamento testimonia l'esistenza del nostro libero arbitro dopo
la caduta di Adamo (Pr 4,23; Sal 118,112; Is 52,2; ecc.). Gli ebrei erano naturalmente capaci di distinguere ciò che è giusto così come la Scrittura ce lo mostra [18]
. I Padri greci hanno la profonda convinzione che l'immagine di Dio
nell'uomo è stata offuscata e non distrutta. Anche prima della
redenzione, la grazia di Dio è all'opera ed il desiderio del bene esiste
nell'uomo. Gli ebrei portavano la legge naturale dentro se stessi:
“Che l’uomo abbia ricevuto fin dal momento della
creazione la conoscenza infusa di tutta la legge, appare evidente dal
fatto che prima della legge scritta, e prima del diluvio, gli uomini
giusti già osservavano i comandi della legge„ (Coll., 8,23).
Il Decalogo era iscritto nel loro cuore. La
Legge scritta è stata data a Mosè soltanto successivamente: gli
occorreva un aiuto esterno, essendo stata alterata la legge naturale. È
la replica pura e semplice della dottrina di Ireneo. [19]
b. L'uomo liberato da Cristo
può promuovere il bene, anche se ha bisogno dell'aiuto di Dio per
condurre la sua buona opera al suo compimento.
La grazia di Cristo rende l'uomo alla vita,
libera la sua libertà, anche se la natura umana resta vulnerabile, in
preda all'influenza delle passioni. Il libero arbitro è, infatti,
propenso al male, sia per ignoranza del bene, sia per seduzione delle
passioni. Esso è diviso.
La grazia previene, dirige e sostiene la volontà dell'uomo:
“E allora, tanto per confrontare qualcosa di
umano con l’incomparabile clemenza del nostro Creatore, non certo per
paragonarne la pietà, ma solo per richiamarmi a qualche somiglianza di
indulgente comprensione, eccone un esempio, quello di una madre
comprensiva e premurosa: per un certo tempo ella tiene in braccio il suo
figlioletto fino a quando non possa insegnargli a camminare; poi ella
gli permette di trascinarsi per terra, quindi lo tiene per mano con la
sua destra, perché si sforzi, stando ritto, a porre un piede dopo
l’altro; se lasciato solo per un poco, lo vede traballare, subito lo
riafferra; lo trattiene, se vacilla; lo rialza, quando cade; vigila,
perché non ricada; oppure, permettendo che egli cada leggermente, subito
lo rialza dopo la caduta. Poi, quando essa l’avrà allevato fino a
raggiungere la fanciullezza e la robustezza dell’adolescenza e della
giovinezza, gli affianca alcuni pesi per la fatica, non perché ne sia
oppresso, ma perché si eserciti, e così ella lo prepara a gareggiare con
i suoi coetanei. Quanto più dunque il Padre celeste di tutti conosce
chi Egli debba portare sul grembo della sua grazia, chi rendere
esercitato nell’uso del libero arbitrio per assuefarsi alla virtù in
presenza sua; e intanto Egli aiuta chi s'affatica, esaudisce chi lo
invoca, non abbandona chi lo ricerca, e toglie dai pericoli chi
frattanto non se ne rende nemmeno conto“ (Coll., 13,14 - Conferenza 13 estratta da "Conferenze ai monaci" - Traduzione e note a cura di Lorenzo Dattrino, 2000, Città Nuova Editrice).
Ma la grazia non distrugge il libero arbitrio.
Se l'uomo non può portare l'opera della salvezza al suo compimento, può
tuttavia desiderarla e disporsi a compierla:
“Non bisogna credere che Dio abbia creato l’uomo
in modo che non voglia né possa mai compiere il bene. In caso diverso
non avrebbe concesso a lui il libero arbitrio, se avesse permesso che
l’uomo volesse o potesse fare unicamente il male e avesse disposto che,
per quanto dipendeva da lui, né volesse né potesse attendere al bene„ (Coll.,
13,12). “Dio infatti, non appena scorge in noi il sorgere della buona
volontà, subito lo illumina, lo sorregge e lo stimola, donando
l'incremento a quel seme che Egli stesso ha piantato e ha visto nascere
con il nostro sforzo„ (Coll., 13,8).
Cassiano riprende qui l'insegnamento del suo
maestro Giovanni Crisostomo: “Sta a noi scegliere e volere, a Dio di
condurre a compimento„ [20]
. La volontà dell'uomo, dopo avere ricevuto la grazia da Cristo, può
abbozzare di per sé l'opera della salvezza, benché non possa condurla al
suo compimento. Cassiano prende l'esempio di un contadino che coltiva
la sua terra:
“Mai dunque l’orgoglio dell’uomo ardisca
adeguarsi o accompagnarsi alla grazia di Dio, e mai perciò ardisca di
immettersi nei favori concessi da Dio al punto di ritenere che le sue
fatiche abbiano indotto Dio alla elargizione di quei favori oppure che
il provento di quei frutti copiosissimi sia dovuto ai meriti della sua
operosità. Piuttosto egli consideri e valuti con esame sincero il fatto
che non avrebbe potuto esercitare quegli stessi sforzi, intrapresi
unicamente perché indotto dal desiderio dell’abbondanza, se, ad attuare
ogni esercizio della sua attività rurale, non l’avessero sostenuto la
protezione e la misericordia del Signore: di fatto, la sua volontà e la
sua operosità sarebbero risultate inefficaci, se la divina clemenza non
avesse inoltre concesso una sovrabbondanza di operosità, altrimenti
impedita dal sopraggiungere della siccità o dall’eccedenza delle piogge„
(Coll., 13,3).
È ben Dio che fa tutto: l'uomo non è la causa
della sua salvezza, ma Dio non può forzare il suo amore. Si stabilisce
una sinergia [21] tra la grazia di Dio e la volontà dell'uomo. Il verbo greco sunergeô ha un senso più forte della sua traduzione latina cooperare
usata da Cassiano: esso indica che l'azione di Dio è interna all'azione
umana. Le due volontà, umana e divina, non sono soltanto giustapposte e
concomitanti. E ancora, non occorre dimenticare che Cassiano esprime
una teologia greca in termini latini.
Queste affermazioni si basano sulla dottrina
della ricapitolazione insegnata in tutto l'Oriente, al seguito di
Ireneo. La libertà dell'uomo, incatenata dal primo Adamo, è stata
liberata dal secondo, cioè Cristo.
Cristo, con il suo amore fino al dono della sua
vita, rende l'uomo alla sua totale libertà: luogo dove viene a radicarsi
la grazia. Questa non è altro che la presenza dello Spirito, lo Spirito
di filiazione, che rende l'uomo libero. Il restauro dell'immagine
tramite la liberazione della libertà e l'adozione procedono di pari
passo [22]
. E più fondamentalmente, per gli orientali, non c'è opposizione tra la
natura e la grazia. La natura umana è un dono che Dio fa all'uomo,
poiché creata a sua immagine ed a sua somiglianza. “Questo dono
primordiale basta a dimostrare l’anteriorità dell'azione divina rispetto
ad ogni azione umana„ [23] .
Queste basi del sinergismo non sono molto
esplicitate da Cassiano poiché il suo proposito ha uno scopo pratico più
che teologico, ma se ne possono trovare allusioni nelle sue Conferenze. Dice, ad esempio, nel contesto dei digiuni:
“La vera libertà, poiché non esiste se non dove
dimora il Signore, l'Apostolo la dichiara con queste parole "Il Signore è
Spirito, e dove è lo Spirito del Signore, ivi è la libertà"„ (Coll., 21,34).
È la restaurazione dell'immagine e la
liberazione della libertà data all'uomo come un germe destinato a
crescere, che permettono che desideri di bene nascano nel cuore e si
protendano verso Dio. Queste volontà di bene non possono avere buon
esito senza la grazia di Dio, poiché l’anima è sottomessa al cambiamento
ed il cuore è trascinato tra le diverse passioni.
“E così sempre la grazia di Dio coopera per il
buon risultato con il nostro libero arbitrio e in tutto lo sostiene, lo
protegge e lo difende al punto che talvolta essa esige e attende da
quello alcuni sforzi di buona volontà, affinché non sembri che essa
concede i propri doni a un individuo del tutto addormentato e in preda
all’ignavia e all’ozio; la grazia di Dio cerca, in certo qual modo, le
occasioni per le quali, una volta scosso il torpore dell’inerzia umana,
non sembri irragionevole la larghezza della sua generosità, appunto
perché essa concede quei doni sotto l’appiglio del desiderio e dello
sforzo. Ciò nonostante, la grazia di Dio rimane gratuita, dato che essa
concede, con larghezza inestimabile e in vista di sforzi tanto ridotti e
tanto irrilevanti, una gloria immortale e doni di beatitudine eterna.
La fede professata dal ladrone sulla croce fu espressa da lui per primo
(Cf. Lc 23,40), ma non per questo occorre insistere e negare che a lui
fu promessa gratuitamente la dimora nel paradiso [...]. Ne segue dunque
che, per quanto l’umana debolezza si sforzi, mai potrà adeguarsi alla
ricompensa futura e neppure riuscirà a sminuire con i suoi sforzi la
grazia di Dio al punto che questa non continui ad essere sempre
gratuita. Appunto per questo il suddetto maestro dei gentili, benché
confessi d’aver ricevuto la missione del suo apostolato dalla grazia di
Dio al punto di affermare: “Per la grazia di Dio sono quello che sono”
(1 Cor 15,10), tuttavia egli stesso dichiara d’aver risposto alla grazia
divina fino ad asserire: “La sua grazia in me non è stata vana; anzi,
ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è
con me” (1 Cor 15,10). Infatti, dicendo “ho faticato”, egli indica lo
sforzo derivato dal proprio libero arbitrio; dicendo “non io, ma la
grazia di Dio”, egli indica l’efficacia della protezione divina; dicendo
“che è con me”, egli dichiara che essa ha cooperato, non con un
individuo ozioso e irresponsabile, ma con una persona dedita alla fatica
e al lavoro sudato„ (Coll., 13,13).
L’ascesi, in questo contesto, aiuta la volontà
debole dell'uomo a riprendersi ed a fortificare la volontà verso il
bene, con l'aiuto di Dio. La grazia di Cristo ha rimesso in piedi
l'uomo. All'uomo basta volere e “sudare„ e la grazia di Dio farà il
resto. Dio non rifiuta la sua grazia a colui che fa ciò che è in suo
potere. Non occorre vedervi un'ispirazione stoica, come alcuni lo
pretendono [24] .
Cassiano riassume la sua dottrina in tre punti essenziali:
“E così, da parte dei Padri cattolici, i quali
hanno appreso la perfezione del cuore, non dalle parole delle vane
dispute, ma dalla realtà delle loro opere, sono stati dettati questi
principi:
è proprio anzitutto della concessione di Dio
indurre ognuno a desiderare tutto ciò che è bene, in modo però che resti
in piena facoltà del libero arbitrio decidersi per l'una o per l'altra
parte;
in secondo luogo è proprio della grazia divina
far sì che siano effettuati i suddetti compiti delle virtù, in modo però
che non venga mortificato il potere del libero arbitrio;
in terzo luogo appartiene alla concessione
divina mantenere perseverante il grado della virtù acquisita, in modo
però che la suddetta libertà non subisca alcuna restrizione.
Pertanto, occorre ritenere che Dio, creatore
dell'universo, opera tutto in tutti in questa misura nell'incitare, nel
proteggere e nel confermare, mai però nel senso di togliere la libertà
del libero arbitrio, che Egli stesso intese concedere “(Coll., 13,18).
Cassiano ed i monaci provenzali sono stati
tacciati di semipelagianesimo – e molti cattolici lo pensano ancora: le
ricerche degli specialisti non hanno raggiunto il grande pubblico. Prima
di vedere da dove viene l'errore, occorre innanzitutto constatare che
questa parola risale soltanto al XVII secolo. È dunque molto posteriore a
Cassiano! Ma trova le sue radici evidentemente nel Canone 5 del
Concilio di Orange (589). Questo testo condanna chiunque afferma che
“l'inizio della fede non ci è dato dalla grazia, cioè dall'ispirazione
dello Spirito Santo, ma ci è inerente per natura„. I monaci provenzali,
di cui fa parte Cassiano, erano bollati da questa condanna. Ma non si
trova alcuna traccia, negli scritti di Cassiano, di un'opinione simile;
gli Occidentali, di fronte alla crisi pelagiana, hanno disarticolato la
teologia dei Padri greci che era quella di Cassiano. Essi hanno
avvicinato alcune delle loro formulazioni ai testi scritti da Pelagio.
Quest'ultimo insiste molto, in effetti, sul libero arbitro, vera
grandezza dell'uomo. Egli scrive, ad esempio, a Demitriade:
“Ogni volta che devo parlare dell'educazione dei
costumi e della condotta di una vita santa, mi preoccupo in primo luogo
di mettere in rilievo la forza e la grandezza della natura umana e di
mostrare ciò che è capace di compiere. „
Anche Cassiano, come Giovanni Crisostomo,
Gregorio di Nissa ed i Padri greci, esalta il libero arbitro. Ma occorre
tenere conto del contesto teologico che è il loro. I Padri greci hanno
una visione ottimistica dell'uomo: la libertà, che fa la bellezza e la
grandezza dell'uomo, è stata data da Dio e non può essere persa
dall'uomo. Essi non negano l'indebolimento della libertà dovuto al
peccato, ma non è questo il punto che attira soprattutto la loro
attenzione:
“Poiché la grazia non distrugge la natura ma la
rivela ad essa stessa, è perfettamente legittimo scoprire e predicare la
presenza e l'azione positiva di un'umanità che resta lei stessa (e non è
forse questa la grazia delle grazie?), ma alla luce e nel disegno di
Dio„ [25] .
Come lo suggerisce A. Solignac, sarebbe urgente
intraprendere una riflessione sulla vera portata del concilio di Orange.
La sfida non riguarda semplicemente il passato. Poiché la spiritualità
dell'Occidente ne guadagnerebbe, nel ritrovare l'approccio dei Padri
greci, così importante per rimettere in piedi l'uomo.
[1] Nota del traduttore.
Citazioni in italiano estratte da:
- Giovanni Cassiano - Conferenze spirituali - O. Lari - Ed. Paoline 1965
- Giovanni Cassiano - Conferenze ai monaci - L. Dattrino - Città Nuova Editrice 2000
- Giovanni Cassiano - Le Istituzioni cenobitiche - L. Dattrino - Ed. Scritti Monastici - Praglia 1989
NOTE:
[2] Cf. M. OLPHE-GALLIARD, « Cassien », DS, VII, col. 214-219 ; SC 42, p. 7-30 ;
J-Cl. GUY, Jean Cassien. Vie et doctrine spirituelle, Lethielleux, Paris, 1961, p. 11-33.
[3] J-Cl. GUY, op. cit., p. 14.
[4] Tra di loro, abba Mosè (Coll., 1-2), abba Daniele (Coll., 4), abba Serapione (Coll., 5), abba Teodoro (Coll., 6), abba Sereno (Coll., 7-8), abba Isacco (Coll., 9- 10), abba Teona (Coll., 21-23), abba Abramo (Coll., 24).
[5]
Originario dell’Elleponto (Asia Minore), quindi monaco nel deserto di
Nitria ed in seguito a Cellia, Evagrio era un fervente discepolo di
Origene. La sua dottrina spirituale aveva fortemente segnato i monaci di
Scete.
Quale era la dottrina spirituale di Evagrio? L’ascesi monastica conduce alla apatheia
(il controllo delle passioni) e permette di giungere alla
contemplazione del Dio invisibile. Egli fornisce un orientamento
contemplativo all’ascesi dei monaci dell'Egitto. La meditazione delle
Scritture è un fattore privilegiato per giungere alla scoperta del loro
senso nascosto.
[6] Cf. A. DE VOGÜÉ, « Alexandrie contre Nitrie et Constantinople (400-405) », Histoire littéraire du mouvement monastique dans l’Antiquité, t. 3, Coll. « Patrimoines du christianisme », Cerf, 1996, p. 77-90.
[7] Cf. L. BRÉSARD, Cours de spiritualité monastique, 1, 1994, p. 83-84.
[8] Cf. A. DE VOGÜÉ, op. cit., p. 90.
[9] J.-R. BOUCHET, Aux sources de la vie monastique. Leçons, Éd. du Cerf, 1996, p. 48.
[10] Cf. L. BRÉSARD, Cours de spiritualité monastique, 1, 1994, p. 85.
[11] GENNADE, De viris illustribus, PL 58, 1059-1118 ; trad. Yannick-Marie Escher.
[12] Cf. Le prefazioni delle Conferenze.
[13] Riguardo alla loro dottrina, cf. A. SOLIGNAC, articolo « Semipélagien », DS, XCII-XCIIIXCIV, col. 556-568.
[14] M. LABROUSSE, Saint Honorat, fondateur de Lérins et évêque d’Arles, Vie monastique, n° 3, Bellefontaine, 1995, p. 76.
[15] AGOSTINO, Sulla predestinazione dei santi, I, 2.
[16] M. LABROUSSE, op. cit., p. 81.
[17] AGOSTINO, Sulla predestinazione dei santi, II, 3.
[18] Coll., 13, 12 ; Cassiano cita Is 42, 18-20 ; 43, 8 ; Mt 13, 13.
[19] IRENEO, Adv. haer., IV, 16, 4.
[20] Giovanni Crisostomo, Hom.12 in Hebr. 3.
[21] Parlare di sinergismo, significa dire che l’agire umano è al di dentro dell’agire divino.
[22] M. LOT-BORODINE, La déification de l’homme, Bibliothèque oecuménique/9, Éd. du Cerf, 1970, p. 220-222.
[23] A. SOLIGNAC, articolo « Semipélagien », DS, XCII-XCIII-XCIV, col. 565.
[24] M. LABROUSSE, op. cit., p. 81.
[25] Giovanni Crisostomo, Omelie di san Paolo.
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