“I cristiani recano incise nel loro cuore le leggi di Dio e le osservano
nella speranza del secolo futuro. Per questo non commettono adulterio,
né fornicazione; non recano falsa testimonianza; non s’impossessano dei
depositi che hanno ricevuto; non bramano ciò che ad essi non spetta;
onorano il padre e la madre, fanno del bene al prossimo; e, allorché
sono giudici, giudicano giustamente. Non adorano idoli di forma umana;
tutto ciò che non vogliono che gli altri facciano a loro, essi non lo
fanno a nessuno. … Le loro figlie sono pure e vergini e fuggono la
prostituzione; gli uomini si astengono da ogni unione illecita e da ogni
impurità; egualmente le loro donne sono caste (…) Soccorrono coloro che
li offendono, rendendoseli amici; fanno del bene ai nemici (…) Sono
dolci, buoni, pudichi, sinceri, si amano fra loro; non disprezzano la
vedova; salvano l’orfano; colui che possiede dà, senza mormorare, a
colui che non possiede. Allorché vedono dei forestieri, li fanno entrare
in casa e ne gioiscono, riconoscendo in essi dei veri fratelli (…).
Quando un povero muore, se lo sanno, contribuiscono secondo i loro mezzi
ai suoi funerali; se vengono a sapere che alcuni sono perseguitati o
messi in prigione o condannati per il nome di Cristo, mettono in comune
le loro elemosine e ad essi inviano ciò di cui hanno bisogno, e se lo
possono, li liberano; se c’è uno schiavo o un povero da soccorrere,
digiunano due o tre giorni, e il nutrimento che avevano preparato per sé
glielo inviano, stimando che anche lui debba godere, essendo stato come
loro chiamato alla gioia”.…Queste
sono, o imperatore, le loro leggi. I beni che devono ricevere da Dio,
glieli domandano, e così attraversano questo mondo fino alla fine dei
tempi: poiché Dio ha assoggettato tutto ad essi. Sono dunque
riconoscenti verso di lui, perché per loro è stato fatto l'universo
intero e la creazione. Di certo questa gente ha trovato la verità.
Vissuto ad
Atene intorno al 140, Aristide Marciano era un filosofo, molto ammirato
per la sua eloquenza, convertitosi al cristianesimo dopo aver letto le
Sacre Scritture, come hanno riferito Eusebio da Cesarea e san Girolamo.
Pochi anni dopo san Quadrato, anche Aristide indirizzò un’Apologia – la più antica a noi pervenuta e l’unica opera di Aristide conosciuta – all’imperatore Adriano, come si evince dalla prima traduzione siriana, da un testo armeno, dallo stile arcaico e da alcuni accenni storici che collocano l’opera al tempo di Adriano, quindi non oltre il 138, anno in cui divenne imperatore Antonino Pio.
Il ritrovamento della versione originale dell’Apologia è alquanto fortunoso: nel 1889 l’americano Rendell Harris rinvenne nella biblioteca del monastero di santa Caterina del Sinai un codice siriaco contenente la traduzione dell’Apologia. In base a questo documento, Armitage Robinson individuò il testo greco inserito, con pochi adattamenti, nel romanzo greco di ispirazione monacale Barlaam e Ioasaph (o Barlaam e Josaphat), attribuito a san Giovanni Damasceno e che influì considerevolmente sulla letteratura medioevale. Infine, nel 1922 e nel 1923 furono scoperti dei frammenti greci su papiri, notevoli per la conoscenza del testo primitivo dell’opera (1).
Nell’Apologia, Aristide dà prova di profonda conoscenza delle dottrine filosofiche nel replicare alle ingiuste accuse dei pagani trattando le differenze tra il cristianesimo e le religioni dei barbari, dei greci e dei giudei e sostenendo che i cristiani avrebbero contribuito, con la loro fede e il loro esempio, alla coesione dello Stato e alla concordia tra i cittadini. Secondo Aristide, i barbari adorano gli elementi di cui si compone la natura visibile (cielo, terra, acqua, fuoco, uomo) e, quindi, si rivolgono alle opere di Dio e non a Dio stesso. I greci attribuiscono agli dèi comportamenti simili a quelli degli uomini, con le loro debolezze e le loro colpe. I giudei adorano il vero Dio, ma il loro culto apprezza molto più l’esteriorità che la spiritualità. Soltanto il cristianesimo afferma l’idea e l’esistenza di Dio tramite la vita pura e l’armonia con il prossimo: i cristiani pregano per gli amici e i nemici, professano la carità verso chiunque, assistono i viandanti e i condannati per il nome di Cristo, si prodigano per la conversione dei pagani, la santità della vita domestica e la purezza dei costumi, aspettano con gioia la seconda venuta di Cristo che, secondo i meriti, premierà i buoni e punirà i cattivi…
http://www.larici.it/culturadellest/icone/contributi/apologisti/aristide/index.html
Pochi anni dopo san Quadrato, anche Aristide indirizzò un’Apologia – la più antica a noi pervenuta e l’unica opera di Aristide conosciuta – all’imperatore Adriano, come si evince dalla prima traduzione siriana, da un testo armeno, dallo stile arcaico e da alcuni accenni storici che collocano l’opera al tempo di Adriano, quindi non oltre il 138, anno in cui divenne imperatore Antonino Pio.
Il ritrovamento della versione originale dell’Apologia è alquanto fortunoso: nel 1889 l’americano Rendell Harris rinvenne nella biblioteca del monastero di santa Caterina del Sinai un codice siriaco contenente la traduzione dell’Apologia. In base a questo documento, Armitage Robinson individuò il testo greco inserito, con pochi adattamenti, nel romanzo greco di ispirazione monacale Barlaam e Ioasaph (o Barlaam e Josaphat), attribuito a san Giovanni Damasceno e che influì considerevolmente sulla letteratura medioevale. Infine, nel 1922 e nel 1923 furono scoperti dei frammenti greci su papiri, notevoli per la conoscenza del testo primitivo dell’opera (1).
Nell’Apologia, Aristide dà prova di profonda conoscenza delle dottrine filosofiche nel replicare alle ingiuste accuse dei pagani trattando le differenze tra il cristianesimo e le religioni dei barbari, dei greci e dei giudei e sostenendo che i cristiani avrebbero contribuito, con la loro fede e il loro esempio, alla coesione dello Stato e alla concordia tra i cittadini. Secondo Aristide, i barbari adorano gli elementi di cui si compone la natura visibile (cielo, terra, acqua, fuoco, uomo) e, quindi, si rivolgono alle opere di Dio e non a Dio stesso. I greci attribuiscono agli dèi comportamenti simili a quelli degli uomini, con le loro debolezze e le loro colpe. I giudei adorano il vero Dio, ma il loro culto apprezza molto più l’esteriorità che la spiritualità. Soltanto il cristianesimo afferma l’idea e l’esistenza di Dio tramite la vita pura e l’armonia con il prossimo: i cristiani pregano per gli amici e i nemici, professano la carità verso chiunque, assistono i viandanti e i condannati per il nome di Cristo, si prodigano per la conversione dei pagani, la santità della vita domestica e la purezza dei costumi, aspettano con gioia la seconda venuta di Cristo che, secondo i meriti, premierà i buoni e punirà i cattivi…
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