martedì 29 agosto 2017

Il martirio del Precursore Giovanni Battista Dalle «Omelie» di san Beda, il Venerabile, sacerdote

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Dalle «Omelie» di san Beda, il Venerabile, sacerdote
(Om. 23; CCL 122, 354. 356. 357)

Il beato precursore della nascita del Signore, della sua predicazione e della sua morte, dimostrò una forza degna degli sguardi celesti nel suo combattimento. Anche se agli occhi degli uomini ebbe a subire tormenti, la sua speranza è piena di immortalità, come dice la Scrittura (cfr. Sap 3, 4). E' ben giusto che noi ricordiamo con solenne celebrazione il suo giorno natalizio. Egli lo rese memorabile con la sua passione e lo imporporò del suo sangue. E' cosa santa venerarne la memoria e celebrarla in gioia di spirito. Egli confermò con il martirio la testimonianza che aveva dato per il Signore.
San Giovanni subì il carcere e le catene a testimonianza per il nostro Redentore, perché doveva prepararne la strada. Per lui diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, ma solo di tacere la verità. Tuttavia morì per Cristo.
Cristo ha detto: «Io sono la verità» (Gv 14, 6), perciò proprio per Cristo versò il sangue, perché lo versò per la verità. E siccome col nascere, col predicare, col battezzare doveva dare testimonianza a colui che sarebbe nato, avrebbe predicato e battezzato, così soffrendo segnalò anche che il Cristo avrebbe sofferto.
Un uomo di tale e tanta grandezza pose termine alla vita presente con lo spargimento del sangue dopo la lunga sofferenza della catene. Egli annunziava la libertà della pace superna e fu gettato in prigione dagli empi. Fu rinchiuso nell'oscurità del carcere colui che venne a rendere testimonianza alla luce e che dalla stessa luce, che è Cristo, meritò di essere chiamato lampada che arde e illumina. Fu battezzato nel proprio sangue colui al quale era stato concesso di battezzare il Redentore del mondo, di udire la voce del Padre su di lui e di vedere la grazia dello Spirito Santo scendere sopra di lui.
Ma a persone come lui non doveva riuscire gravoso, anzi facile e bello sopportare per la verità tormenti transitori ripagabili con le gioie eterne. Per uno come lui la morte non riusciva un evento ineluttabile o una dura necessità. Era piuttosto un premio, una palma di vita eterna per la confessione del nome di Cristo.
Perciò ben dice l'Apostolo: «A voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui» (Fil 1, 29). Chiama grazia di Cristo che gli eletti soffrano per lui: «Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà esser rivelata in noi» (Rm 8, 18).


 

 BEDA il VENERABILE, miniatura del XII sec..

per la vita,le opere e le riflessione di San Beda il Venerabile  vedasi il seguente link del Monastero di Bose

 http://www.monasterodibose.it/preghiera/martirologio/955-maggio/2182-25-maggio

ed anche
http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2009/documents/hf_ben-xvi_aud_20090218.html

 http://www.forum-orthodoxe.com/~forum/viewtopic.php?f=5&t=664

saints pour le 25 mai du calendrier ecclésiastique

Saint BEDE le Vénérable, hiéromoine, premier historien de l'Angleterre (735). (Office composé en français par le père Denis Guillaume et publié au tome XIV du Supplément aux Ménées.)


sabato 26 agosto 2017

Santo Ireneo di Lione -l'episodio evangelico del Giovane Ricco



La legge aveva insegnato agli uomini la necessità di seguire Cristo. Lo mostrò chiaramente Cristo stesso al giovane che gli chiese cosa avrebbe dovuto fare per ereditare la vita eterna. Gli rispose infatti: "Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti". Quegli chiese: "Quali?", e il Signore soggiunse: "Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non dire falsa testimonianza; onora il padre e la madre, e ama il prossimo tuo come te stesso" (Mt 19,17ss). Proponeva così a tutti coloro che volevano seguirlo i comandamenti della legge come gradini di entrata alla vita: quello che diceva a uno, lo diceva a tutti. Il giovane rispose: "Ho fatto tutto ciò" - e forse non lo aveva fatto, che altrimenti non gli sarebbe stato detto: osserva i comandamenti -; allora il Signore, rinfacciandogli la sua cupidigia, gli disse: "Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto ciò che hai, dividilo tra i poveri, poi vieni e seguimi" . Con queste parole prometteva l’eredità degli apostoli a chi avesse fatto così, non annunciava certo a coloro che lo avessero seguito un altro padre, diverso da quello che era stato annunciato fin dall’inizio della legge, e neppure un altro figlio; ma insegnava a osservare i comandamenti imposti da Dio all’inizio, a liberarsi dall’antica cupidigia con le buone opere e a seguire Cristo. Che poi la distribuzione dei propri beni ai poveri liberi davvero dalla cupidigia, lo ha mostrato Zaccheo dicendo: "Ecco, do la metà dei miei beni ai poveri; se poi ho frodato qualcuno, gli rendo il quadruplo" (Lc 19,8).

       Ireneo di Lione, Adv. haer., IV, 12, 5

lunedì 21 agosto 2017

I cristiani recano incise nel loro cuore le leggi di Dio e le osservano nella speranza del secolo futuro. -Dall'Apologia di Sant'Aristide all'Imperatore Adriano



















“I cristiani recano incise nel loro cuore le leggi di Dio e le osservano nella speranza del secolo futuro. Per questo non commettono adulterio, né fornicazione; non recano falsa testimonianza; non s’impossessano dei depositi che hanno ricevuto; non bramano ciò che ad essi non spetta; onorano il padre e la madre, fanno del bene al prossimo; e, allorché sono giudici, giudicano giustamente. Non adorano idoli di forma umana; tutto ciò che non vogliono che gli altri facciano a loro, essi non lo fanno a nessuno. … Le loro figlie sono pure e vergini e fuggono la prostituzione; gli uomini si astengono da ogni unione illecita e da ogni impurità; egualmente le loro donne sono caste (…) Soccorrono coloro che li offendono, rendendoseli amici; fanno del bene ai nemici (…) Sono dolci, buoni, pudichi, sinceri, si amano fra loro; non disprezzano la vedova; salvano l’orfano; colui che possiede dà, senza mormorare, a colui che non possiede. Allorché vedono dei forestieri, li fanno entrare in casa e ne gioiscono, riconoscendo in essi dei veri fratelli (…). Quando un povero muore, se lo sanno, contribuiscono secondo i loro mezzi ai suoi funerali; se vengono a sapere che alcuni sono perseguitati o messi in prigione o condannati per il nome di Cristo, mettono in comune le loro elemosine e ad essi inviano ciò di cui hanno bisogno, e se lo possono, li liberano; se c’è uno schiavo o un povero da soccorrere, digiunano due o tre giorni, e il nutrimento che avevano preparato per sé glielo inviano, stimando che anche lui debba godere, essendo stato come loro chiamato alla gioia”.…Queste sono, o imperatore, le loro leggi. I beni che devono ricevere da Dio, glieli domandano, e così attraversano questo mondo fino alla fine dei tempi: poiché Dio ha assoggettato tutto ad essi. Sono dunque riconoscenti verso di lui, perché per loro è stato fatto l'universo intero e la creazione. Di certo questa gente ha trovato la verità.


 Vissuto ad Atene intorno al 140, Aristide Marciano era un filosofo, molto ammirato per la sua eloquenza, convertitosi al cristianesimo dopo aver letto le Sacre Scritture, come hanno riferito Eusebio da Cesarea e san Girolamo.
Pochi anni dopo san Quadrato, anche Aristide indirizzò un’Apologia
– la più antica a noi pervenuta e l’unica opera di Aristide conosciuta – all’imperatore Adriano, come si evince dalla prima traduzione siriana, da un testo armeno, dallo stile arcaico e da alcuni accenni storici che collocano l’opera al tempo di Adriano, quindi non oltre il 138, anno in cui divenne imperatore Antonino Pio.
Il ritrovamento della versione originale dell’Apologia è alquanto fortunoso: nel 1889 l’americano Rendell Harris rinvenne nella biblioteca del monastero di santa Caterina del Sinai un codice siriaco contenente la traduzione dell’Apologia. In base a questo documento, Armitage Robinson individuò il testo greco inserito, con pochi adattamenti, nel romanzo greco di ispirazione monacale Barlaam e Ioasaph (o Barlaam e Josaphat), attribuito a san Giovanni Damasceno e che influì considerevolmente sulla letteratura medioevale. Infine, nel 1922 e nel 1923 furono scoperti dei frammenti greci su papiri, notevoli per la conoscenza del testo primitivo dell’opera (1).
Nell’Apologia, Aristide dà prova di profonda conoscenza delle dottrine filosofiche nel replicare alle ingiuste accuse dei pagani trattando le differenze tra il cristianesimo e le religioni dei barbari, dei greci e dei giudei e sostenendo che i cristiani avrebbero contribuito, con la loro fede e il loro esempio, alla coesione dello Stato e alla concordia tra i cittadini. Secondo Aristide, i barbari adorano gli elementi di cui si compone la natura visibile (cielo, terra, acqua, fuoco, uomo) e, quindi, si rivolgono alle opere di Dio e non a Dio stesso. I greci attribuiscono agli dèi comportamenti simili a quelli degli uomini, con le loro debolezze e le loro colpe. I giudei adorano il vero Dio, ma il loro culto apprezza molto più l’esteriorità che la spiritualità. Soltanto il cristianesimo afferma l’idea e l’esistenza di Dio tramite la vita pura e l’armonia con il prossimo: i cristiani pregano per gli amici e i nemici, professano la carità verso chiunque, assistono i viandanti e i condannati per il nome di Cristo, si prodigano per la conversione dei pagani, la santità della vita domestica e la purezza dei costumi, aspettano con gioia la seconda venuta di Cristo che, secondo i meriti, premierà i buoni e punirà i cattivi…



 http://www.larici.it/culturadellest/icone/contributi/apologisti/aristide/index.html

Preghiera per la moglie del sacerdote nel giorno dell'ordinazione del marito



Preghiera per la moglie del sacerdote nel giorno dell'ordinazione del marito

Questa preghiera proviene dal Chinovnik slavo in uso presso la Chiesa Ortodossa Ucraina in America sotto Costantinopoli, e si recita in occasione dell'ordinazione del marito sacerdote sulla moglie del sacerdote, per mano del vescovo.
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Il vescovo lascia avvicinare la moglie del neo ordinato sacerdote presso l'iconostasi, le chiede di inginocchiarsi o abbassare la testa, e ponendo la mano destra sulla nuca della donna, dice tre volte segnandole la testa:
V. nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. 
Dopodiché, imponendo entrambe le mani sulla donna, recita ad alta voce la preghiera che segue.
V. Preghiamo il Signore.
Coro: Kyrie eleison.  
V. Signore Dio nostro, Tu che alla creazione dell'Uomo hai detto "non è bene che l'uomo sia solo, e gli farò un aiuto simile", noi ti preghiamo adesso per il sostegno che tu hai dato a questo tuo nuovo sacerdote (nome del prete), la serva tua (nome della presbitera), come moglie e aiuto nella sua vita: guardala e proteggila con la tua grazia, affinché sia resa forte per portare il peso della croce del marito suo, e dalle la perfetta sapienza affinché possa consigliare suo marito e il popolo che affiderai loro. Dalle sempre letizia e desiderio di Te, affinché ti glorifichi sempre e in ogni cosa. Perché sei tu la fonte di ogni santificazione, e a te rendiamo gloria, al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, ora e sempre nei secoli dei secoli.
Coro. Amen. 


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http://luceortodossamarcomannino.blogspot.it/2017/08/preghiera-per-la-moglie-del-sacerdote.html

venerdì 18 agosto 2017

Poiché sovente sotto apparenze di agnello si dissimula livore di lupo.Sant'Ilarlo di Poitiers * Commentaire sur S. Matthieu, 6, 4-5: PL 9, 952-953.



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Guardatevi dai falsi profeti dice Gesù, questi vengono a voi travestiti da pecore, ma dentro son lupi rapaci (Mt, 7, 15). Il Signore ci avverte che le parole adulatrici e le dolci moine debbono venir giudicate dai frutti ch'esse producono. Dobbiamo perciò giudicare ognuno non quale si presenta a parole, ma quale è realmente nei suoi atti. Poiché sovente sotto apparenze di agnello si dissimula livore di lupo. E così come i pruni non danno uva e i rovi non producono fichi. come gli alberi cattivi non portano buoni frutti (cf. Mt. 7, 16), ci dice Gesù, non è certo nelle belle parole che consiste la realtà delle opere buone, ma tutti devono venir giudicati dai propri frutti.
 

No, un servizio che si limitasse a belle parole non è sufficiente ad ottenere il Regno dei cieli, e non è certo colui che dice:. Signore, Signore (Mt. 7,21), che sarà l'erede. Infatti, qual merito si ha nel dire: «Signore» al Signore? Cesserebbe egli forse d'essere il Signore se non lo chiamassimo così? Su che si appoggerebbe una santità che si limitasse all'invocazione di un nome, dato che la strada del Regno dei cieli si trova nell'obbedienza alla volontà di Dio, più che nel pronunciare il suo nome?
 

Molti mi diranno in quel giorno: Signore! Signore! Non abbiamo noi profetato nel tuo nome? (Mt, 7, 22). Una volta ancora Gesù condanna l'arroganza dei falsi profeti e le simulazioni degli ipocriti che si procurano gloria con la potenza della parola. Allorché impartiscono un insegnamento profetico, scacciano i demoni o compiono azioni analoghe, si illudono che sia questo a procurare loro il Regno dei cieli, come se qualcosa appartenesse loro personalmente in tali parole e in tali opere! No, è la potenza di Dio, da essi invocata, che opera tutto. In realtà, solo mediante la lettura dei libri sacri si acquisisce la scienza della dottrina e solo nel nome di Cristo son messi in fuga i demoni.
 

Bisogna perciò aggiungere qualcosa di nostro, se vogliamo arrivare alla beatitudine eterna. Dar qualcosa del nostro io più intimo: volere il bene, evitare il male e obbedire senza esitazione ai precetti divini. Questa disposizione spirituale ci farà riconoscer da Dio come suoi. Inoltre, conformiamo i nostri atti alla sua volontà, invece di farci grandi con la sua potenza. Poiché egli escluderà e respingerà coloro che si sono allontanati da lui con l'iniquità delle loro opere.
 *  Commentaire sur S. Matthieu, 6, 4-5: PL 9, 952-953.

domenica 13 agosto 2017

Dio...l'unico che ci può riscattare dal pericolo



Non esiste dolore più atroce per l'anima della calunnia sia quando uno viene calunniato per la fede sia per il comportamento. E nessuno può restare impassibile quando è calunniato ad eccezione di colui che rivolge il suo sguardo a Dio, l'unico che ci può riscattare dal pericolo, svelare alla gente la verità e confortare la nostra anima con la speranza.

San Massimo il Confessore


  

Dagli Insegnamenti di Doroteo di Gaza. Instructions, VI, 69-70. 71. 72. 74. 75-76. SC 92,271-277.281.
 


Per il fatto che non ci si preoccupa dei mali propri e non si piange, come dicevano i Padri, il proprio morto, non si riesce assolutamente a correggere se stessi, ma sempre ci si da da fare intorno al prossimo

Non c'è nulla che irriti tanto Dio, non c'è nulla che riduca tanto
l'uomo a uno stato di spoliazione e di abbandono da parte di Dio quanto il
fatto di parlar male del prossimo, di giudicarlo o disprezzarlo.


Altra cosa è infatti parlar male, altra cosa giudicare e altra cosa
disprezzare. Parlar male è dire di uno: "Il tale ha mentito", oppure: "Si è
adirato", oppure: "Ha fornicato", e così via. Si è già parlato male di lui,
cioè si sono dette parole cattive sul suo conto, si parlato del suo
peccato, spinti dalla passione.


Giudicare invece è dire: "Quel tale è un bugiardo, è sempre in
collera, è un fornicatore". Ecco, si è giudicata la disposizione stessa del
suo cuore, ci si pronuncia sull'intera sua vita, si esprime un giudizio su
di lui e lo si giudica in base a questo giudizio. E ciò è grave.

Altra cosa è dire: "Si è adirato", altra cosa è dire: "È un uomo
iroso" ed esprimere così un giudizio su tutta la sua vita.

Giudicare è un  peccato gravissimo, più grave di ogni altro, al punto che Cristo stesso ha
detto: Ipocrita, togli prima la trave al tuo occhio e allora potrai vederci
bene nel togliere la pagliuzza dall'occhio di tuo fratello. Il Signore ha
paragonato il peccato del prossimo a una pagliuzza, il giudicare invece a
una trave, tanto grave è giudicare il prossimo, forse il peccato più
grande.



Non c'è peccato più grave e terribile, come dico spesso, del giudicare
il prossimo. Perché piuttosto non giudichiamo noi stessi e i nostri mali
che conosciamo così bene e di cui dovremo rendere conto a Dio? Perché
vogliamo metterci al posto di Dio ed essere noi a giudicare? Che
pretendiamo dalle creature, cosa esigiamo dal prossimo? Perché vogliamo
portare un peso che non ci spetta? Abbiamo di che preoccuparci, fratelli!

Ciascuno badi a se stesso e ai propri mali. Solo a Dio spetta
giustificare e condannare, a lui che conosce la situazione di ciascuno, le
sue forze, il suo modo di comportarsi, i suoi doni, il suo temperamento, le
sue possibilità e giudica ognuno secondo tutto ciò che lui solo conosce.
Dio giudica in modo diverso un vescovo o un principe, il capo e il
discepolo, l'Anziano e il giovane, il malato e il sano. E chi può conoscere
questi giudizi se non colui che tutto ha creato, tutto ha plasmato e tutto
conosce?



L'uomo non può saper nulla dei giudizi di Dio, ma Dio solo capisce
tutto e può giudicare ciascuno, come lui solo sa. In verità può succedere
che un fratello nella sua semplicità faccia qualcosa o quell'unica cosa è
gradita a Dio più che la tua vita intera, e tu ti fai giudice e lo
condanni?

E se pure gli capita di peccare, come puoi sapere quante lotte ha
sostenuto, quante volte ha versato il sangue prima di fare il male? Forse
il suo peccato è computato a giustizia agli occhi di Dio, perché Dio
vedendo la sua pena, il tormento che ha patito prima di fare il male, ne ha
misericordia e lo perdona. E se Dio lo perdona, tu oseresti condannarlo
perdendo la tu anima? Che ne sai tu di quante lacrime ha versato davanti a
Dio per questo suo peccato? Tu hai visto la mancanza, ma non sai nulla del
suo pentimento.




Noi facciamo le opere del diavolo s non ce ne importa nulla. Che altro
fa un demonio se non turbare e far del male? E noi aiutiamo il demonio a
operare la rovina nostra e del prossimo. Chi fa del male a un'anima infatti
aiuta il demonio nella sua opera; chi invece le fa del bene opera con i
santi angeli.

Ma da dove ci vengono tutti questi mali se non dal fatto che non
abbiamo in noi l'amore? Se avessimo in noi l'amore unito alla compassione ,
non ci cureremmo dei peccati del prossimo, come dice la Scrittura: L'amore
non tiene conto del male, tutto copre e L'amore copre una moltitudine di
peccati. Se avessimo l'amore, l'amore stesso coprirebbe ogni peccato; e noi
saremmo come i santi quando vedono i difetti degli uomini. Non sono certo
ciechi i santi, così da non vedere i peccati. E chi odia il peccato tanto
quanto i santi? Eppure non odiano chi ha commesso il peccato, non lo
giudicano, non fuggono lontano da lui, ma ne hanno compassione, lo
consigliano, lo consolano, hanno cura di lui come di un membro malato,
fanno di tutto per salvarlo. 

 35. Chi odia tanto il peccato quanto i santi?  E tuttavia non odiano il pecca­tore, non lo condannano, non se ne allontanano, ma ne hanno compassione, lo ammoniscono, lo consolano, lo curano come un membro malato: fanno di tutto per salvarlo.
I pescatori, quando gettano l’amo in mare e prendono un grosso pesce, se si accorgono che si agita e si divincola, non lo tirano subito con vio­lenza, perché la lenza si romperebbe e tutto andrebbe perduto, ma gli danno corda abilmente e lo lasciano andare dove vuole; quando poi capiscono che non ce la fa più e ha cessato di dibattersi, allora piano piano cominciano a tirarlo indietro. Allo stesso modo fanno anche i santi: con la pazienza e con l’amore attirano il fratello e non lo cacciano via a calci né se ne disgustano, ma come una ma­dre, se ha un figlio deforme, non se ne di­sgusta, non se ne allontana, ma vo­lentieri lo adorna e fa quello che può per renderlo gradevole, così i santi sempre proteggono il peccatore, lo preparano, se ne prendono cura per poterlo correggere al momento opportuno e per non permettergli di danneggiare qualcun altro, ma per fare anch’essi maggiori progressi nell’amore di Cristo.
(Doroteo di Gaza, Insegnamenti Spirituali, 76)



21. Mentre eravamo lì seduti, alcuni vescovi cominciarono a chiedere al [vescovo] Nonno di essere istruiti in qualcosa da lui; e subito, dalla sua bocca, il santo vescovo comincio a parlare per l'edificazione e la salvezza di tutti coloro che ascoltavano.
Mentre tutti noi ammiravamo la sua santa dottrina, ecco che all’improvviso passò in mezzo a noi la prima delle attrici di Antiochia, che era anche la prima delle danzatrici mimiche, seduta su un asinello; e venne avanti con molta appariscenza, adornata a tal punto che nulla si vedeva su di lei se non oro e perle e pietre preziose, anche la nudità dei suoi piedi era ricoperta d'oro e di perle. Passando in mezzo a noi, riempì tutta l'aria del profumo di muschio e della fragranza di tutti gli altri soavissimi aromi. E quando i vescovi la videro passare in modo così inverecondo deplorarono in silenzio e distolsero i loro volti...
In seguito giungemmo all'ostello, dove ci fu data una camera. [Il vescovo Nonno] entrato nella sua camera si gettò sul pavimento con il volto a terra e battendosi il petto piangeva con lacrime, dicendo: "Signore Gesù Cristo, perdona me peccatore e indegno, poiché l'ornamento di un sol giorno di una prostituta supera l'ornamento della mia anima. Con che faccia rivolgerò a te lo sguardo? O con quali parole mi giustificherò al tuo cospetto? Non nasconderò, infatti, il mio cuore davanti a te, poiché tu scruti dall’alto i miei segreti. E guai a me, peccatore e indegno, poiché mi presento al tuo altare e non offro l'anima bella che tu mi richiedi. Lei, infatti, ha promesso di piacere agli uomini e l'ha fatto, e io ho promesso di piacere a te e non ho mantenuto la parola per la mia pigrizia. Nudo sono, così in cielo come in terra, poiché non ho adempiuto i precetti dei tuoi comandamenti. Dunque, nessuna speranza mi viene dalle buone opere, ma la mia speranza sta nella tua misericordia, per la quale confido di essere salvato".
(Da La vita di Santa Pelagia scritta dal diacono Giacomo 2. 4). Cf. Benedicta Ward, Donne del deserto, Qiqajon, 1993, 88.90
 Ti definisci peccatore; ma in realtà riveli di non aver raggiunto la coscienza della tua unità. Chi si riconosce peccatore e causa di molti mali, dissente con nessuno, discute con nessuno, non è in collera con nessuno, ma considera ogni uomo migliore e più saggio di se stesso. Se sei un peccatore, perchè biasimi il tuo prossimo e lo accusi di recarti offesa? Stando così le cose, tu ed io siamo lontani dal ritenerci dei peccatori. Osserva, fratello, quanto siamo meschini: parliamo soltanto con le labbra e le nostre azioni mostrano che siamo differenti da ciò che diciamo. Perchè quando ci opponiamo a dei pensieri, non riceviamo la forza di respingerli ? Perchè precedentemente ci siamo arresi col biasimare il nostro prossimo e questo ha fiaccato la nostra forza spirituale. Così accusiamo il nostro fratello, nonostante noi siamo i veri colpevoli. Poni tutti i tuoi pensieri nel Signore, dicendo: Dio conosce ciò che è meglio, e sarai in pace, e, a poco a poco, ti sarà data la forza di resistere.

Lettera Ottava Lettere Ascetiche di San Barsanufio a Giovanni


venerdì 11 agosto 2017

10 Agosto La Chiesa celebra San Lorenzo.. meditazione di San Leone Magno Papa di Roma e San Massimo di Torino Meditazioni dai Padri della Chiesa






Sermone di san Leone Papa.
Nel Natale di S. Lorenzo,

Mentre il furore delle autorità Pagane incrudeliva nelle più elette membra di Cristo, e si sfogava specialmente su quelli che appartenevano all'ordine sacerdotale, l'empio persecutore si accanì contro il levita Lorenzo, che era più in vista non solo perché preposto ai sacro ministero, ma altresì all'amministrazione dei beni ecclesiastici, ripromettendosi coll'incarcerare un solo uomo una duplice preda; perché se l'avesse fatto traditore del sacro tesoro, ne avrebbe fatto anche un'apostata della vera religione. Quest'uomo, avido di denaro e nemico della verità, è armato come di doppia face: dell'avarizia per impossessarsi dell'oro, dell'empietà per rapirgli il Cristo. Chiede al custode senza macchia del santuario di consegnargli le ricchezze della Chiesa, che avidissimamente bramava. Il Levita castissimo, per mostrargli allora il deposito che ne aveva fatto, gli presenta una truppa numerosissima di poveri fedeli, per mantenere e vestire i quali aveva impiegato quei beni ormai inammissibili, i quali tanto più erano salvi, quanto più santamente erano stati impiegati

Perciò vedendosi frustrato nel disegno di rapina, egli freme e, ardente d'odio contro una religione che aveva istituito tale impiego di ricchezze, non avendo trovata presso di lui nessuna somma di denaro, tenta strappargli il migliore tesoro rapendogli il deposito che era per lui la più sacra delle ricchezze. Ordina a Lorenzo di rinunziare a Cristo e si dispone ad attaccare con terribili supplizi il coraggio intrepido di quell'anima di levita; ma non ottenendo nulla coi primi, ne fa seguire altri più crudeli. Comanda che le sue membra straziate, e tutte lacere dalle percosse, siano poste ad arrostire sul fuoco; e ad aumentarne la sofferenza della tortura e prolungarne il supplizio, ne fa girare e rigirare il corpo su di una graticola di ferro divenuta già rovente per il gran fuoco che vi si faceva sotto.

Non ottieni nulla, non guadagni niente, selvaggia crudeltà. L'elemento mortale si sottrae alle tue torture, Lorenzo se ne sale in cielo, e tu rimani colle tue fiamme impotenti. Le fiamme non poterono vincere la carità di Cristo; e fu più debole il fuoco che bruciava di fuori, che quello che ardeva di dentro. Hai incrudelito, o persecutore, sul Martire: hai incrudelito, ma mentre accumulavi le pene, gli ingrandivi la palma. Infatti, tutte le sue invenzioni non sono forse servite a glorificare la sua vittoria, mentre anche gli istrumenti del supplizio son diventati l'onore del suo trionfo? Gioiamo dunque, dilettissimi, di letizia spirituale, e glorifichiamo, per la felicissima fine di questo illustre eroe, il Signore, che è ammirabile nei suoi Santi, e ci dà in essi il soccorso insieme e l'esempio; egli ha fatto risplendere così la sua gloria nell'intero universo dall'oriente fino all'occidente per il fulgore abbagliante della luce dei leviti, ed altrettanto è illustre Roma per Lorenzo quanto è grande Gerusalemme per Stefano.

 sta in

 http://www.atelier-st-andre.net/fr/images/oeuvres_icones/leo-01.jpg

 

http://divinumofficium.com/cgi-bin/horas/Pofficium.pl?date1=8-12-2015&command=prayMatutinum&version=Trident%201570&testmode=regular&lang2=Italiano&votive=

 

Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo Disc. 304, 14; PL 38, 1395-1397 Oggi la chiesa di Roma celebra il giorno del trionfo di Lorenzo 

sta in

http://padridellachiesa.blogspot.it/2015/08/dai-discorsi-di-santagostino-vescovo_9.html

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San Lorenzo illuminò il mondo con la fiamma che lo ha bruciato; la fiamma che tormentò lui ha riscaldato i cuori di tutti i cristiani. Dopo un tale esempio, chi non vorrebbe insieme con Lorenzo ardere per Cristo per poter essere da Cristo coronato insieme con Lorenzo?

Chi non accetterebbe di soffrire per breve tempo ora il fuoco che Lorenzo sopportò, per non aver da soffrire l’eterno incendio dell’inferno?

L’esempio dunque del beato Lorenzo ci esorta al martirio, ci accende di fede, ci scalda di devozione.

E se anche non ci tocca la fiamma del persecutore, però la fiamma della fede non ci manca. Per Cristo non è arso il nostro corpo, ma è ardente il nostro cuore; non mi dà fuoco il persecutore, ma mi infiamma il desiderio del Salvatore.




Massimo di Torino, Sermone 4,1