sabato 10 febbraio 2024

Monachesimo Celtico e i Padri e le Madri del Deserto :ANAM CARA




Un giovane chierico della comunità di Felci, figlio spirituale  di Brigida, veniva da lei con delle prelibatezze. Era spesso con lei nel refettorio per prendere il cibo. Una volta, dopo essere andata alla comunione, batte il batacchio. "Ebbene, giovane chierico ", dice Brigit, "hai un'anima amica?". "Sì", rispose il giovane. "Cantiamo il suo requiem", dice Brigit. "Perchè così?" chiede il giovane chierico. "Perché è morto", dice Brigit. "Quando hai finito metà della tua razione ho visto che era morto". "Come lo sai?" "Facile a dirsi, (risponde Brigit) da quando la tua anima amica era morta, ho visto che il tuo cibo veniva messo (direttamente) nel tronco del tuo corpo, poiché eri senza testa. Va' avanti e non mangiare nulla finché non avrai procuratevi un'anima amica, perché chiunque è senza un'anima amica è come un corpo senza testa: è come l'acqua di un lago inquinato, né buona da bere né da lavarsi. Quella è la persona senza un'anima amica».

Anam Cara is a phrase that refers to the Celtic concept of the "soul friend" in religion and spirituality. The phrase is an anglicization of the Irish word anamchara, anam meaning "soul" and cara meaning "friend". The term was popularized by Irish author John O'Donohue in his 1997 book Anam Ċara: A Book of Celtic Wisdom about Celtic spirituality. In the Celtic tradition "soul friends" are considered an essential and integral part of spiritual development.[1] The Martyrology of Óengus recounts an incident where Brigid of Kildare counselled a young cleric that "...anyone without a soul friend is like a body without a head."[2] A similar concept is found in the Welsh periglour.[3]


The Anam Cara involves a friendship that psychotherapist William P. Ryan describes as "compassionate presence".[4] According to O'Donohue, the word anamchara originates in Irish monasticism, where it was applied to a monk's teacher, companion, or spiritual guide.[5] However, Edward C. Sellner traces its origin to the early Desert Fathers and Desert Mothers: "This capacity for friendship and ability to read other people's hearts became the basis of the desert elders' effectiveness as spiritual guides."[3] Their teachings were preserved and passed on by the Christian monk John Cassian, who explained that the soul friend could be clerical or lay, male or female.


 ""Anam Cara Ministry", Iona College". Archived from the original on 16 April 2019. Retrieved 26 September 2017.

 Stokes, Whitley, The Martyrology of Oengus, London, Harrison and Sons, 1905, p. 65

 "Sellner, Edward C., "Soul Friendship in Early Celtic Monasticism", Aisling Magazine, Issue 17, Samhain, 1995". Archived from the original on 25 November 2018. Retrieved 26 September 2017.

 Ryan, William P., Working from the Heart, New York, Jason Aronson, 2011, ISBN 9780765707987, p. 160

 ""Anam Cara Event", Christ Church Cathedral (Episcopal), Houston, Texas. March 6, 2017". Archived from the original on 26 September 2017. Retrieved 26 September 2017.



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per un tentativo di traduzione in Italiano 

Anam Cara è una frase che si riferisce al concetto celtico di "anima amica" nella religione e nella spiritualità. L'espressione è un'anglicizzazione della parola irlandese anamchara, dove anam significa "anima" e cara "amico". Il termine è stato reso popolare dallo scrittore irlandese John O'Donohue nel suo libro del 1997 Anam Ċara: A Book of Celtic Wisdom sulla spiritualità celtica. Nella tradizione celtica le "anime amiche" sono considerate parte integrante ed essenziale dello sviluppo spirituale.[1] Il Martirologio di Óengus racconta un episodio in cui Brigida di Kildare consigliò a un giovane chierico che "... chiunque non abbia un'anima amica è come un corpo senza testa".[2] Un concetto simile si ritrova nel periglotta gallese.[3]


L'Anam Cara implica un'amicizia che lo psicoterapeuta William P. Ryan descrive come "presenza compassionevole".[4] Secondo O'Donohue, la parola anamchara ha origine nel monachesimo irlandese, dove veniva applicata all'insegnante, al compagno o alla guida spirituale di un monaco.[5] Tuttavia, Edward C. Sellner ne rintraccia l'origine nei primi Padri e Madri del deserto: "Questa capacità di amicizia e di leggere il cuore degli altri divenne la base dell'efficacia degli anziani del deserto come guide spirituali"[3] I loro insegnamenti furono conservati e trasmessi dal monaco cristiano Giovanni Cassiano, che spiegò che l'anima amica poteva essere clericale o laica, maschile o femminile.

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Tuttavia, Edward C. Sellner ne rintraccia l'origine nei primi Padri e Madri del deserto: "Questa capacità di amicizia e di leggere il cuore degli altri divenne la base dell'efficacia degli anziani del deserto come guide spirituali"

consultare 

https://www.aislingmagazine.com/aislingmagazine/articles/TAM17/Friendship.html







venerdì 9 febbraio 2024

Filoteo Sinaita SULLA PRESUNZIONE

 




È naturale, come dice san Paolo, che le anime, le quali raccolgono sapienza di qua e di là, si gonfino d’orgoglio insolentendo contro quelli che ritengono inferiori (cfr. 1Cor.4,6.18-19); in tali anime, a mio parere, non sussiste più la scintilla della carità che edifica (cfr. 1Cor.8,2).


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I Padri sinaiti

 Per parecchi secoli il Monte Sinai è stato un centro vivissimo di vita monastica, erede dell’ideale degli antichi anacoreti dei deserti d’Egitto. Vi si è sempre praticato un ideale tutto interiore, favorito certamente dalla solitudine del luogo, di una perfetta vigilanza e di una preghiera incessante del cuore. Grandi figure come Nilo, Giovanni Climaco, Filoteo, Esichio, che di questo ideale sono stati gli interpreti più qualificati, sono vissuti su questa montagna e per questo si chiamano ‘sinaiti’. Ma si dà lo stesso appellativo anche ad altri autori, come Diadoco di Foticea, Barsanufio e Giovanni, Elia di Ekdicos, i quali, pur non avendo vissuto in quel luogo, sono molto affini spiritualmente ai primi. 


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FILOTEO SINAITA

Suoi scritti

Monaco del monastero di Batos, sul Sinai, Filoteo è l’erede del pensiero di Giovanni Climaco (580-650 circa), ma non si conosce assolutamente nulla della sua vita né in che secolo visse.

Gli sono attribuite due opere: una, dal titolo “Quaranta capitoli sulla sobrietà”, che sarebbe dovuto comparire nell’ultimo volume della Patrologia Greca del Migne, andato distrutto in un incendio e l’altra, “Sui comandamenti del Signore”, inserita in PG 154,729-745 sotto il nome di Filoteo Kokkinos. Sarebbero suoi anche alcuni brevissmi “Capita ascetica”, stando al Cod. Vat. gr. 703 del secolo XIV, che si possono riconoscere in PG 98,1369-137


https://www.contemplativi.it/wp-content/uploads/2016/05/filoteo_sinaita.pdf

domenica 4 febbraio 2024

Macario L'Egiziano e il "pasticcino"




Macario andò in visita da un anacoreta e, «trovatolo malato, gli chiese: “Che vuoi mangiare?”». Nella cella non c’era niente di niente, e quando l’anziano gli rispose «un pasticcino», Macario non esitò un istante e andò «a prenderlo fino ad Alessandria e lo portò al malato».

«E questo fatto meraviglioso rimase ignoto a tutti.»


Detti dei Padri del deserto, serie alfabetica, Macario l’Egiziano, 3, 8.

venerdì 2 febbraio 2024

Venerdi 2 Febbraio 2024. .. I Padri e le Madri del Deserto. (stare davanti all'essere per prendersi cura dell'altro )

 




L'abate Pastor disse: «Principio dei mali è la disattenzione».


Accadde un giorno che gli anziani si recassero dall'abate Abraham, il profeta della regione. Lo interrogarono sull'abate Banè, dicendo: «Ci siamo intrattenuti con abba Banè sulla clausura nella quale egli si trova adesso; ci ha detto queste gravi parole: Egli stima tutta l'ascesi e tutte le elemosine che ha fatto nel suo passato come una profanazione». E il santo vegliardo Abraham rispose loro e disse: «Ha parlato rettamente». Gli anziani si rattristarono per via della loro vita che era anch'essa a quel modo. Ma l'abate Abraham disse loro: «Perché affliggervi? Durante il tempo, in effetti, nel quale abba Banè distribuiva le elemosine, sarà arrivato a nutrire forse un villaggio, una città, una contrada. Ma ora è possibile a Banè levare le sue due mani affinché l'orzo cresca in abbondanza nel mondo intero. Gli è anche possibile, ora, chiedere a Dio di rimettere i peccati di tutta questa generazione». E gli anziani, dopo averlo udito, si rallegrarono che vi fosse un supplice che intercedeva per loro.

lunedì 29 gennaio 2024

San Kevin a Glendalough e il merlo





Dublino,  a sud  Glendalough. In questa valle, circondata dalle splendide montagne di Wicklow, San Kevin si ritirò per vivere una vita eremitica nel VI secolo. Le sue rovine monastiche sono ancora ben conservate, con una torre rotonda, una cattedrale, la casa del prete e la chiesa di Kevin. Ci sono diversi fatti e detti  raccontati  su San Kevin che ne segnano la testimonianza.

Un giorno in ritiro nella sua capanna  allunga entrambe le braccia fuori dalle finestre su entrambi i lati per pregare. Mentre prega, un merlo gli si posa in mano e comincia a costruire il nido. Kevin rimane perfettamente immobile. Alla fine l'uccello depone le uova, queste si schiudono e prendono il volo.



domenica 21 gennaio 2024

Abba Iperechio-Abba Teodoro,


Meglio mangiare carne e bere vino piuttosto che divorare i propri fratelli con la maldicenza

Abba Iperechio


 Un giovane andò a vivere con  Abba Teodoro, per essergli utile e imparare qualcosa. Ma quello non gli diceva mai niente e non si faceva aiutare: abba Tedodoro , fai tutto tu, non mi dai niente da fare, perché? Ancora niente, sempre niente. Allora il giovane chiede agli anziani: sono andato da abba Teodoto , ma è come se non mi vedesse nemmeno… Gli anziani vanno da Teodoro a chiedere spiegazioni e lui risponde così: «Sono forse il superiore di un cenobio, da dargli ordini? Finora non gli ho detto nulla, ma, se vuole, può fare anche lui ciò che vede fare da me»


https://monachesimoduepuntozero.com/2023/06/04/tre-brevissime-lezioni-e-mezza/

venerdì 12 gennaio 2024

Padri del deserto 12 Gennaio 2024. e Cristina Campo




Fu chiesta a un anziano la via per visitare l’abate Antonio. «Nella caverna di un leone vive una volpe», egli rispose.

Detti dei Padri del deserto

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I maestri cristiani del deserto fiorirono, esplosero in un attimo che durò tre secoli, dal III al VI dopo Cristo. Da poco Costantino aveva restituito ai cristiani il diritto di esistere, spezzando il dogma di Commodo – Christianoùs me éinai, i cristiani non siano –, e sottratto con dolcezza la giovane religione al terreno meravigliosamente umido del martirio, alla stagionatura incomparabile delle catacombe.

Questo significava, evidentemente, consegnarla a quel mortale pericolo che rimase tale per diciotto secoli: l’accordo col mondo. Mentre i cristiani di Alessandria, di Costantinopoli, di Roma, rientravano nella normalità dei giorni e dei diritti, alcuni asceti, atterriti da quel possibile accordo, ne uscivano correndo, affondavano nei deserti di Scete e di Nitria, di Palestina e di Siria. Affondavano nel radicale silenzio che solo alcuni loro detti avrebbero solcato, bolidi infuocati in un cielo insondabile. In realtà, la maggior parte di quei detti fu pronunciata per non rivelar nulla, così come la vita di quegli uomini volle essere tutta quanta la vita di «un uomo che non esiste». («Si diceva degli Scetioti che se taluno sorprendeva la loro pratica, vale a dire arrivava a conoscerla, essi non la tenevano più per una virtù ma per un peccato»).

I detti e i fatti dei Padri – lógoi kaì érga, verba et dicta – furono raccolti in ogni tempo con estrema pietà perché, appunto, erano quasi sempre noci durissime, inscalfibili, da portare su di sé tutta la vita, da schiacciare tra i denti, come nelle fiabe, nell’attimo dell’estremo pericolo, e inoltre i Padri rifiutavano, per lo più, recisamente di scrivere. Furono raccolti in pergamene: greche, copte, armene, siriache. In quelle pergamene non furono perpetuati soltanto gli oracoli e i portenti dei Padri e dei loro discepoli, ma anche quelli di certi incogniti secolari che praticavano segretamente i loro precetti e, nascosti in quelle metropoli che i Padri abominavano, furono qualche volta maestri ai loro maestri.


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