domenica 30 luglio 2023

DISCORSO ALL’UMANITA’ NE “IL GRANDE DITTATORE” 1940 Regia di Charles Chaplin. con Jack Oakie, Charles Chaplin, Paulette Goddard, Henry Daniell, Reginald Gardiner. Cast completo Titolo originale: The Great Dictator

 Il grande dittatore


«Mi dispiace, ma io non voglio fare l’imperatore. Non voglio né governare né comandare 

nessuno. Vorrei aiutare tutti: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi esseri umani 

dovremmo unirci, aiutarci sempre, dovremmo godere della felicità del prossimo. Non odiarci 

e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti. La natura è ricca e sufficiente 

per tutti noi. La vita può essere felice e magnifica, ma noi l’abbiamo dimenticato. L’avidità ha 

avvelenato i nostri cuori, fatto precipitare il mondo nell’odio, condotti a passo d’oca verso le 

cose più abiette.

Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformati in cinici, l’abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchine ci serve umanità, più che abilità ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità la vita è vuota e violenta e tutto è perduto. L’aviazione e la radio hanno avvicinato la gente, la natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà dell’uomo, reclama la fratellanza universale. L’unione dell’umanità. Persino ora la mia voce raggiunge milioni di persone.

Milioni di uomini, donne, bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di segregare, umiliare e torturare gente innocente. A coloro che ci odiano io dico: non disperate! Perché l’avidità che ci comanda è soltanto un male passeggero, come la pochezza di uomini che temono le meraviglie del progresso umano. L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. Il potere che hanno tolto al popolo, al popolo tornerà. E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa. Soldati! Non cedete a dei bruti, uomini che vi comandano e che vi disprezzano, che vi limitano, uomini che vi dicono cosa dire, cosa fare, cosa pensare e come vivere! Che vi irregimentano, vi condizionano, vi trattano come bestie! Voi vi consegnate a questa gente senza un’anima! Uomini macchine con macchine al posto del cervello e del cuore.

Ma voi non siete macchine! Voi non siete bestie! Siete uomini! Voi portate l’amore dell’umanità nel cuore. Voi non odiate. Coloro che odiano sono solo quelli che non hanno l’amore altrui. Soldati, non difendete la schiavitù, ma la libertà! Ricordate che nel Vangelo di Luca è scritto: «Il Regno di Dio è nel cuore dell’Uomo».

Non di un solo uomo, ma nel cuore di tutti gli uomini. Voi, il popolo, avete la forza di creare le macchine, il progresso e la felicità. Voi, il popolo, avete la forza di fare si che la vita sia bella e libera.

Voi che potete fare di questa vita una splendida avventura. Soldati, in nome della democrazia, uniamo queste forze. Uniamoci tutti! Combattiamo tutti per un mondo nuovo, che dia a tutti un lavoro, ai giovani la speranza, ai vecchi la serenità ed alle donne la sicurezza. Promettendovi queste cose degli uomini sono andati al potere. Mentivano! Non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno. E non ne daranno conto a nessuno. Forse i dittatori sono liberi perché rendono schiavo il popolo.

Combattiamo per mantenere quelle promesse. Per abbattere i confini e le barriere. Combattiamo per eliminare l’avidità e l’odio. Un mondo ragionevole in cui la scienza ed il progresso diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati! Nel nome della democrazia siate tutti uniti!»

https://www.undergroundanarchico.it/2023/07/15/discorso-allumanita-ne-il-grande-dittatore-1940/


***

Durante una battaglia della prima guerra mondiale, un barbiere ebreo, che combatte nell'esercito della Tomania (parodia della Germania) come addetto al funzionamento della grande Berta, un enorme cannone della XXI divisione artiglieria, si rende protagonista di un'azione eroica nella quale, a bordo di un aereo, salva la vita dell'ufficiale Schultz, ma nello schianto del velivolo il barbiere perde la memoria.

Dopo molti anni passati all'ospedale, egli se ne allontana e fa ritorno alla sua bottega nel ghetto ebraico, sorprendendosi dell'atteggiamento dei militari che imbrattano i vetri del suo negozio con la scritta dispregiativa "jew", ossia (in inglese) "giudeo". Reagisce al sopruso, in contrasto con la remissione degli altri abitanti del quartiere, suscitando le simpatie di Hannah, giovane e bella figlia del ghetto, anch'ella insofferente alle angherie e alle miserabili condizioni di vita alle quali il dittatore della Tomania Adenoid Hynkel (parodia di Adolf Hitler) e i suoi scagnozzi la costringono da tempo. La rappresaglia dei militari agli sberleffi del barbiere e di Hannah prevederebbe l'impiccagione dell'uomo ad un lampione, ma a scongiurarla interviene il comandante Schultz, che riconosce nel barbiere il soldato che tanti anni prima gli aveva salvato la vita.

La protezione di Schultz e la richiesta inoltrata da Hynkel ad un banchiere ebreo per finanziare la sua campagna di aggressione al mondo, e in particolare la conquista di un paese vicino, l'Ostria (parodia dell'Austria), sono causa della temporanea pace nel ghetto e favoriscono lo svilupparsi della simpatia tra il barbiere e Hanna in un sentimento più profondo. Ma la gioia della serenità riconquistata ha vita breve, perché la negazione del finanziamento farà riprendere le persecuzioni più violente di prima.

Il rifiuto di Schultz alla realizzazione dell'invasione dell'Ostria gli costa la prigionia nel campo di concentramento, dal quale riesce però a sfuggire per rifugiarsi nel ghetto. Qui cospira con gli abitanti per eliminare il malvagio dittatore. Anche il barbiere partecipa all'intrigo, per quanto sia un po' riluttante di fronte all'eroismo invocato da Schultz. Ma la cospirazione fallisce e Schultz e il barbiere sono catturati e confinati in un campo di concentramento.

Il progetto di invasione di Hynkel necessita della collaborazione dell'alleato dittatore di Batalia (Bacteria nell'edizione originale, parodia dell'Italia fascista), Bonito Napoloni (Benzino Napaloni nell'edizione originale e marcata parodia di Benito Mussolini), che ha schierato il suo esercito ai confini dell'Ostria. Hynkel lo invita in una visita di stato nella sua residenza dove si assisterà ad un duello tra i due nel tentativo di entrambi di soggiogare psicologicamente l'altro, ma il duello si risolve in un nulla di fatto e nell'accordo sull'Ostria.

Il piano di Garbitsch per la conquista prevede che Hynkel si travesta da cacciatore di anatree spari da una barca su un lago un colpo di fucile in qualità di segnale. Il colpo parte, l'invasione dell'Ostria è compiuta e Hannah e quanti con lei vi avevano trovato riparo si ritrovano nuovamente oppressi dagli stessi aguzzini che avevano lasciato in Tomania. Il dittatore però è caduto in acqua e, risalito a riva, senza l'uniforme militare e per la straordinaria somiglianza, viene scambiato dai suoi militari per il barbiere ebreo ed arrestato; questi infatti era evaso dal campo di concentramento con Schultz dopo aver rubato uniformi militari poco tempo prima ed era pertanto ricercato.

Al sicuro insieme al barbiere, Schultz si prodiga perché l'altro venga ritenuto essere Hynkel affinché entrambi possano avere salva la vita, ed egli, in perfetta uniforme da condottiero, dovrà tenere il suo primo discorso davanti al popolo dell'Ostria. Ma proprio di fronte al pubblico, il barbiere ebreo lancerà al mondo, e alla sua Hannah, una proclamazione di amore, libertà, uguaglianza e solidarietà tra gli uomini che le riaccenderanno la speranza in tempi migliori.

https://it.wikipedia.org/wiki/Il_grande_dittatore

giovedì 20 aprile 2023

VORREI UN IMMIGRATO COME VICINO DI CASA di Paolo Berizzi Inviato di Repubblica






Vorrei avere un immigrato come vicino di casa. Con, o senza famiglia. Qualcuno che viene da terre lontane, con una storia, una cultura, usanze e tradizioni “altre” rispetto alle mie. Qualcuno da cui imparare parte del tanto che non so, che mi contamini con il suo vissuto che magari è complementare al mio o non importa, perché la diversità mi incuriosisce sempre, in ogni sua forma, ad ogni latitudine. Ed è infinitamente più interessante dell’omologazione. L’inizio di questo pezzo non è un’iperbole. Non è una provocazione né una battuta zaloniana “tolo tolo” style. Sono serio. Talmente serio che, per capirci, rispondo subito a quelli che “facile dire così quando abiti nelle Ztl”. E allora? Qual è il problema? Forse il problema siamo noi. Noi che continuiamo a clonare i luoghi comuni della narrazione che domina nel dibattito pubblico. Noi che atrofizziamo i muscoli dell’anima credendoci forti. Vengo dunque al punto. Per quanto tempo ancora dovremo considerare un’area a traffico limitato come un muro sociale, una barriera invisibile che divide il mondo, anzi, i mondi: chi sta di qua e chi sta dall’altra parte? In mezzo, prima ancora che l’ovvia disparità delle condizioni sociali ed economiche, si alligna il pregiudizio la cui gramigna attecchisce nel terreno sempre fertile dell’ignoranza (un virus socialmente trasversale).

Il peggior nemico della società contemporanea non è la paura di chi è “diverso” da te: è la paura del nuovo, e cioè una delle forme di timore più antiche con cui l’uomo misura se stesso. Il nuovo ha incorporata la differenza (altrimenti che nuovo sarebbe). E siccome il nuovo di questo terzo millennio italiano è il meticciato, per qualcuno la paura fa novanta. A me il meticciato piace. Sogno una città - la mia città, Bergamo - dove le terre di mezzo si estendano gioiosamente alle Ztl. Lo desidero per due motivi. Primo: se sei favorevole all’immigrazione e all’accoglienza, e le consideri un’opportunità, non puoi esserlo solamente se i nuovi arrivati (ultimi, in ordine di tempo) vivono nelle periferie o nei quartieri che attraversi per raggiungere l’autostrada. Secondo: in questo modo si sfilerebbe ai sovranisti e ai populisti del nazionalismo 2.0 uno dei loro cavalli di battaglia: e cioè che gli immigrati li difendono solo quelli che non li hanno accanto, o sotto casa. Il che è un’affermazione odiosa, perché basata sul sillogismo immigrato uguale persona che, diciamo, disturba. Vivo in Città alta da molti anni. Nel borgo antico, che è progressivamen- te molto cambiato (non sempre in meglio), non abitano solo ricchi scollegati dalla realtà e dai problemi. Ci abitano anche persone che amano i centri storici, che lavorano per pagare un mutuo e che sono allergiche ai recinti, ai dormitori d’élite, al concetto del “noi” e del “loro”. In Città alta non si vedono immigrati. Nemmeno venditori ambulanti. Perché? In Cit- tà alta, oltre a una giungla di B&B, ci sono decine di alloggi comunali. Alcuni sorgono accanto a casa mia. Mi piacerebbe che quegli appartamenti fossero abitati da un numero maggiore di “nuovi cittadini”, nuovi italiani, nuovi bergamaschi: donne e uomini che prima venivano semplicemente iscritti alla voce “immigrati” ma che poi sono diventati parte del tessuto socialePerché lavorano, perché mandano i figli a scuola, perché pagano le tasse per avere servizi. Perché hanno il sacrosanto diritto di vivere bene e in sicurezza mangiando cous cous e pollo speziato. Chiamatemi buonista, non me ne importa nulla. Attendo una famiglia indiana da salutare la sera sul pianerottolo, dei bimbi africani che giochino in cortile offrendo ai condòmini sorrisi bellissimi che colorano di vita il tedio formale, quasi asettico, di certi vicini. Lavoratori che rincasano e magari riescono a parcheggiare l’auto prima che si spiaggino i mastodontici Suv con cui le mamme scarrozzano i figli tra golf e palestra. E se i nuovi bergamaschi appoggiano le loro biciclette nell’atrio, sono felice uguale. Questo è il presente, questa è la sfida da affrontare e vincere: abbattere il muro cresciuto nella nostra mente, non permettere alle pietre dell’odio di farci inciampare lungo il cammino. Amare il nuovo che avanza. Sempre


articolo di Febbraio 2020 inhttps://cdn.sanity.io/files/uwcqf9vm/production/c7c6b92539a89bb20da6429d4f0eabefd347487e.pdf

venerdì 11 novembre 2022

Sacerdoti del Patriarcato di Mosca contro la guerra





Ovviamente non si poteva non pubblicare in un blog dedicato ai Padri e alle Madri della Chiesa 


testo in Inglese. al paragrafo PRIESTS AGAINST THE WAR

https://www.wheeljournal.com/blog/2022/10/15/xenia-loutchenko-church-mobilized

Andrei Shishkov, ricercatore presso la Facoltà di Teologia e Studi Religiosi dell'Università di Tartu, ritiene che i sacerdoti, i vescovi e i monaci ortodossi russi che benedicono la guerra si dividano in due categorie nel loro atteggiamento verso gli eventi: "i cinici e i ciechi. I primi sanno di servire il male, ma lo fanno in cambio di vari vantaggi per loro stessi. I secondi non sanno dove stanno andando e stanno conducendo la gente verso l'abisso". Ma, secondo Shishkov, c'è un terzo e più numeroso gruppo di pastori, quelli "che pensano di avere la coscienza pulita perché non benedicono nessuno per la guerra, anzi pregano per la pace. Ma in realtà questi pastori contribuiscono a normalizzare il male. Contribuiscono ad accettare con obbedienza tutto ciò che viene dalle autorità senza legge". Sono di fatto la maggioranza nella Chiesa ortodossa russa. Ciò corrisponde anche alla divisione della società russa nel suo complesso: ci sono i cinici - funzionari pubblici, politici e operatori della propaganda che traggono profitto dalla guerra, i veri "patrioti", che non sono molti ma che sono molto attivi, fortemente ideologizzati, persino ossessionati e sostengono la guerra con l'azione, e una massa enorme che è "al di fuori della politica" e generalmente "a favore della pace", ma inattiva e silenziosa. La mobilitazione sta minando questo costrutto, poiché coloro che sono "fuori dalla politica" vengono ora trascinati in politica letteralmente sotto la minaccia della morte, ma le conseguenze sono ancora da vedere. 

Ma sia nella società che nel clero c'è un altro piccolo gruppo: coloro che si oppongono alla guerra e rischiano di cadere sotto la macchina repressiva dello Stato. E nel caso del clero, si tratta di una doppia minaccia: rischiano rappresaglie sia all'interno della chiesa sia da parte delle forze dell'ordine.


Dopo lo scoppio della guerra, il sacerdote Ioann Burdin, rettore della Chiesa della Resurrezione nella regione di Kostroma, ha tenuto un sermone contro la guerra che è stato ascoltato da dieci persone. Una di queste informò la polizia e il sacerdote fu perseguito in base a un articolo che prevedeva il discredito delle Forze Armate della Federazione Russa. È stato multato, ma la Chiesa ortodossa russa è stata più brutale del tribunale russo. Ha privato padre Burdin della sua parrocchia e lo ha espulso dal ministero. Il sacerdote di Kirov Dmitry Baev è stato inserito nella lista dei ricercati federali per aver pubblicato "informazioni consapevolmente false sull'uso delle Forze Armate russe per proteggere gli interessi della Federazione Russa e dei suoi cittadini". Il metropolita Mark di Vyatka lo ha bandito dal servizio e processato davanti alla Chiesa. L'ex sacerdote ha lasciato la Russia. Nel suo sermone pasquale, padre Maksim Nagibin di Krasnodar aveva definito la guerra in Ucraina un crimine e una "grande disgrazia", dopodiché è stato accusato e si è aperto un caso "per aver screditato l'esercito". Anche il protodiacono Andrey Kuraev, che si oppone al Patriarca Kirill, è stato accusato di aver fatto dichiarazioni contro la guerra. Ora rischia l'arresto. 


All'inizio di marzo, poco dopo l'inizio dell'invasione russa dell'Ucraina, quasi 300 ecclesiastici della Chiesa ortodossa russa hanno firmato una lettera aperta contro la guerra. "Rispettiamo la libertà divina data agli uomini e crediamo che il popolo ucraino debba prendere la propria decisione, non sotto la canna delle armi automatiche e senza pressioni da parte dell'Occidente o dell'Oriente", si leggeva nella lettera, che si concludeva con "Fermate la guerra!". Questi 300 firmatari sono davvero coraggiosi. È noto che i servizi di sicurezza russi hanno manifestato interesse per molti sacerdoti che hanno firmato lettere aperte in passato (la più famosa nel 2019 in difesa dei prigionieri del cosiddetto "caso Mosca", quelli arrestati durante le manifestazioni di protesta che chiedevano elezioni regolari per la Duma di Mosca). Sono stati convocati per colloqui con l'FSB e hanno trasmesso le minacce attraverso i vescovi. Per i sacerdoti di provincia le conseguenze potrebbero essere catastrofiche. Lo stesso è accaduto ad alcuni dei firmatari della lettera contro la guerra. La prima firma su questa lettera appartiene all'egumeno Arseniy (Sokolov). Alla fine di marzo, egli fece alcune annotazioni nel suo canale Telegram: "Guai a coloro che chiamano la guerra fratricida una misura di mantenimento della pace!", "Pregare "alla gloria della Russia" o di qualsiasi altro Paese (e non alla gloria di Dio) è pura idolatria", "La patria è ammassata in un campo di prigionia. [...] Cosa saremo noi, pastori della Chiesa, in questo campo? Prigionieri o guardie?". Il canale Telegram è stato chiuso un giorno dopo e l'egumeno Arseniy è stato rimosso dalla sua posizione di rappresentante del Patriarca di Mosca presso il Patriarcato di Antiochia e richiamato a Mosca.


Un padre portò suo figlio da un sacerdote vicino a Mosca e chiese la sua benedizione "per andare a difendere la patria". Il sacerdote rispose che non poteva dare la sua benedizione perché "questa guerra è ingiusta, noi stessi abbiamo invaso il territorio di un Paese straniero". L'unica benedizione che poteva impartire era quella di "non essere crudeli e rimanere umani". Questo sacerdote ha detto amaramente che non poteva dire direttamente che era meglio evadere e andare in prigione o fuggire in un altro Paese che essere colpevole della morte di qualcun altro e morire, perché questo padre e suo figlio erano estranei a lui e potevano denunciarlo.


L'arciprete Andrei Kordochkin, che presta servizio presso la chiesa ortodossa di Santa Maria Maddalena a Madrid, si è apertamente opposto all'invasione russa dell'Ucraina fin dall'inizio della guerra e ha criticato direttamente il presidente Putin. Il "mondo russo" è una dottrina non solo sbagliata ma anche pericolosa. In relazione all'Ucraina, suona così: "Voi come popolo non esistete, la vostra statualità è un equivoco, e poiché noi siamo voi, decideremo il vostro futuro per voi". Poiché questo obiettivo è irraggiungibile nella realtà, è impossibile vincere la guerra. Anche se vediamo la soppressione della resistenza in Ucraina, strategicamente la guerra è già persa e non c'è modo di lavare via la vergogna", ha detto a Deutsche Welle. Alla fine di agosto, è stato licenziato dal suo incarico di segretario della diocesi ispano-portoghese della Chiesa ortodossa russa, una punizione che finora sembra molto clemente. Tuttavia, il sacerdote non è rimasto in silenzio e continua a testimoniare contro la guerra. Recentemente ha pubblicato il testo di una "Preghiera del popolo addolorato" che aveva scritto. Vi si legge, ad esempio: "I nostri principi conducono i nostri uomini e giovani come pecore al macello, ma hanno pietà e compassione dei loro stessi figli. Come tu stesso, Signore, sei fuggito in Egitto dalla mano dell'onnipotente Erode, del giusto Giuseppe e della tua purissima madre, così ora i nostri uomini e i nostri giovani fuggono nelle terre della Georgia, del Kazakistan, in tutte le terre dal sorgere del sole al suo tramonto (Sal 112,3) e fino ai confini della terra". Il livello teologico e letterario di questo testo supera di gran lunga le "Preghiere per le guerre russe" recitate dal clero patriottico.


I sette mesi trascorsi dall'inizio della guerra hanno dimostrato che la Chiesa si è effettivamente "mobilitata". È una propagandista volontaria, si è messa volontariamente a disposizione dello Stato e reprime ogni opinione dissenziente al suo interno mostrandosi solidale con l'apparato repressivo statale. In cambio, riceve bonus sotto forma di sovvenzioni presidenziali e varie forme di sostegno indiretto, anche se non costa al Paese quanto le stazioni televisive e altre risorse mediatiche. Allo stesso tempo, l'umore e le opinioni del clero, in media, riflettono la distribuzione delle posizioni all'interno della società russa e del suo gregge. Tuttavia, a differenza dei loro parrocchiani, i chierici che la pensano diversamente non possono lasciare la Russia, per evitare la persecuzione e l'arruolamento - non ci sono preti che "lavorano da casa". Possono solo rimanere e aspettare, insieme a tutti gli altri, una risoluzione dalla quale è improbabile che la Chiesa ortodossa russa esca indenne.




Tradotto con www.DeepL.com/Translator (versione gratuita)






mercoledì 9 novembre 2022

Contro l'ipocrisia di ogni pacifismo di potere:-La fine rivoluzionaria di questa guerra criminale avverrà quando i combattenti si ribelleranno, insieme, alla sofferenza.

 




Premessa 

Io non so e non mi interessa sapere se Domenico Quirico  editoriaiista della Stampa  sia credente (e nello specifico sia cristiano) o  lo non sia  Ma per quel che ha scritto  non posso non pubblicare la sua riflessione sul   blog Padri della Chiesa.

Tale riflessione inchioda alla loro ipocrita melina a centrocampo  tutta la galassia pacifista con l'osservazione  che sta dentro l'energia della riflessione che chiedere il negoziato, la trattativa  è solo fumo e fumo per i propri interessi in Italiae nel pianeta , sia quelli enormi del governo, della presunta opposizione ,del gruppo Leonardo. ma anche quelli più miseri di chi va in televisione a profetizzare in un senso o nell'altro e poi. promuove il suo libro.

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La riflessione citata da Marco Verruggio sul quotidiano on line 

https://www.glistatigenerali.com/geopolitica/letture-la-verra-guerra-mondiale-quella-tra-oligarchie-e-proletari/ 


La fine rivoluzionaria di questa guerra criminale avverrà quando i combattenti si ribelleranno, insieme, alla sofferenza. Sono loro che gettando contemporaneamente i fucili possono rompere il cerchio dei pregiudizi, degli interessi, dei simboli vani, delle bugie. Sono loro che rifiutando di combattere spazzeranno, con il soffio del loro possente respiro di vittime, di sacrificati, il cerchio degli interessi che a Mosca e a Kiev non sono i loro.

E, cogliendo il vero punto debole del pur coraggioso pacifismo cattolico, osservava pungente che

Papa Francesco, come il suo predecessore che, durante la Prima guerra mondiale invocò invano re e presidenti perché fermassero l’inutile strage, sbaglia i destinatari dei vibranti, sempre più sconsolati, appelli alla pace. Non sono Putin e Zelensky, o Biden, che possono spezzare il cappio della guerra. Gli uomini di buona volontà a cui deve rivolgersi, scavalcando, ignorando i capi, sono gli uomini disperati, sporchi, esausti, straziati delle trincee. Il popolo della guerra."

lunedì 7 novembre 2022

Don Corrado Lorefice Vescovo di Palermo" Siamo responsabili delle vite sulle navi Ong"

Ed è doverosa  personale scelta inserire questa omelia  nel blog  dei testi dei Padri e delle Madri della Chiesa


https://palermo.repubblica.it/cronaca/2022/11/06/news/accoglienza_migranti_lorefice_palermo-373119917/


c'è un'Europa che dimentica di avere precise responsabilità e un'Italia che si volta dall'altra parte. La legge del mare dice altro, se qualcuno è in pericolo dobbiamo salvarlo. Mentre si continua a perdere tempo ci sono uomini, donne, bambini, in balia del meteo. Questa è mancanza di civiltà".


"Il mio cuore è ferito per la direzione che questo Paese sta prendendo. Il governo discute inutilmente sul fatto che le imbarcazioni battano questa o quell'altra bandiera. Su quelle navi ci sono vite di cui siamo responsabili, perché fanno parte dell'unica famiglia umana. Dobbiamo smetterla con la teoria dei "nostri o loro". La dobbiamo smettere di essere i soliti Calimero. Per questo ho voluto fortemente utilizzare quelle parole. Se ieri Sagunto era Palermo, oggi è il Mediterraneo. E bisogna dirlo perché l'attuale situazione fa paura"


Domande che vorrei porre a tutti: sappiamo in Libia che ci sono i lager? Sappiamo che stiamo foraggiando le cosiddette vedette libiche che hanno l'ordine di sparare alle imbarcazioni? Siamo consapevoli, noi occidentali, di adeguarci sempre più a una mentalità che poco ha a che vedere con il concetto di umanità? 


"Temo che si faccia propaganda politica a basso prezzo sulla pelle della povera gente, come è già successo in passato. C'è una visione molto gretta, si continua a dire che queste persone sono quelle che ci impoveriscono e che rubano il nostro lavoro. La storia si ripete. Fatti che abbiamo già visto stanno di nuovo accadendo sotto i nostri occhi".

domenica 6 novembre 2022

Don Corrado Lorefice Vescovo di Palermo :nel Mar Mediterraneo, dinanzi all’indifferenza e all’ipocrisia dei paesi europei: la vergogna dei naufragi, dei bimbi e delle donne annegati, dei respingimenti e delle torture nei lager della Libia”

Ed è doverosa  personale scelta inserire questa omelia  nel blog  dei testi dei Padri e delle Madri della Chiesa. 



https://stampa.chiesadipalermo.it/un-incontro-di-preghiera-per-la-pace-condiviso-da-tutte-le-donne-e-tutti-gli-uomini-di-buona-volonta/


L’Arcivescovo Corrado ha pregato per la Pace insieme a centinaia di donne e uomini di buona volontà riuniti nella basilica di San Domenico. “Non dimentichiamo che una delle tante tragiche conseguenze delle guerre in atto nel mondo continua a consumarsi nel Mar Mediterraneo, dinanzi all’indifferenza e all’ipocrisia dei paesi europei: la vergogna dei naufragi, dei bimbi e delle donne annegati, dei respingimenti e delle torture nei lager della Libia”


 Non possiamo cominciare se non ascoltando il grido che sale dalle vittime e dalle macerie di ogni guerra, di questa nefasta e assurda guerra che è arrivata non improvvisamente, ma è stata preparata dall’individualismo estremo (qualcuno ha parlato di ‘singolarismo’) seminato da un’economia del profitto che genera “inequità” (Papa Francesco), scarti umani, degrado ambientale e sovvertimento climatico, causa di nuove povertà. Non dimentichiamo che una delle tante tragiche conseguenze delle guerre in atto nel mondo continua a consumarsi nel Mar Mediterraneo, dinanzi all’indifferenza e all’ipocrisia dei paesi europei: la vergogna dei naufragi, dei bimbi e delle donne annegati, dei respingimenti e delle torture nei lager della Libia. Essere oranti significa per noi stasera rimanere accanto a questo dolore muto e immenso, a questa umanità schiacciata e senza voce in ogni Sud del mondo, che viene ferocemente respinta quando, in un numero davvero limitato, simile alla punta di un iceberg, si affaccia alle nostre coste, alle nostre terre, trovando ad accoglierla la retorica stanca e catastrofica della sicurezza, dell’identità, della distinzione tra ‘noi’ e ‘loro’


Nei corpi si imprime insomma il sigillo della ‘mancanza’ che genera violenza, che rende ammissibile, praticabile la guerra. Ma solo i corpi possono resistere. Solo ai corpi possiamo fare appello, perché nei corpi abitano le energie più profonde e curative delle ferite del creato. Il nostro compito di costruttori di pace, la nostra via di donne e uomini della pace è in fondo quella di non far sparire dalla terra il canto dolce dei corpi che amano e sono amati. Nell’inferno che viviamo, dobbiamo ricordare a tutti che nel cuore dell’uomo esiste la voglia di amare ed essere amato. Forse il nostro compito è quello di dire a ogni madre e a ogni padre: ama tuo figlio, amalo nella verità, nella pienezza, amalo tanto che il suo corpo diventi corpo d’amore. Ricordare che dove i corpi si mettono assieme per agire sulla società, per rappresentare le istanze altrui, per costruire ‘corpi intermedi’ lì si piantano i semi di una logica della mediazione opposta alla logica della guerra. Ricordare che dove i corpi si riconoscono e dialogano, a partire dalla loro verità, dai loro miti, dai loro racconti, ascoltati e rispettati, lì la guerra è impossibile. Le carezze materne e paterne, le strutture intermedie umane, il dialogo tra i popoli, il dialogo tra le religioni costruiscono le premesse di un mondo nuovo che continuiamo a sperare, a sperare contro ogni speranza, e che continuiamo a ricordare. Il monte alto di Isaia, la città della pace è la nostra patria, non i campi di battaglia. Il suono degli uccelli e dei canti di amore ci appartengono e non il suono delle sirene, non il boato, il fragore delle armi.