martedì 24 maggio 2016

Dalle omelie di San Beda il Venerabile


Dalle omelie di San Beda il Venerabile

Omelia n 21  CCL 122, 149-151)

 



 Gesù lo  guardò con sentimento di pietà e lo scelse. Gesù vide un uomo, chiamato Matteo,  seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi” (Mt 9, 9).

 

Vide non tanto  con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore.  Vide un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli  disse: “Seguimi”. Gli disse “Seguimi”, cioè imitami.
Seguimi, disse, non tanto  col movimento dei piedi quanto con la pratica della vita. Infatti “chi dice di  dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato” (1 Gv 2, 6). ”  Ed egli si alzò, prosegue, e lo seguì ” (Mt 9, 9). Non c’è da meravigliarsi che  un pubblicano alla prima parola del Signore, che lo invitava, abbia abbandonato  i guadagni della terra che gli stavano a cuore e, lasciate le ricchezze, abbia  accettato di seguire colui che vedeva non avere ricchezza alcuna. Infatti lo stesso Signore che lo chiamò esternamente con la parola, lo istruì all’interno con un’invisibile spinta a seguirlo. Infuse nella sua mente la luce della grazia spirituale con cui potesse comprendere come colui che sulla terra lo strappava alle cose temporali, era capace di dargli in cielo tesori incorruttibili.
“Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli” (Mt 9, 10). Ecco dunque che la conversione di un solo pubblicano servì di stimolo a quella di molti pubblicani e peccatori, e la remissione dei suoi peccati fu modello a quella di tutti costoro. Fu un autentico e magnifico segno premonitore di realtà future. Colui che sarebbe stato apostolo e maestro della fede, attirò a sé una folla di peccatori già fin dal primo momento della sua conversione. Egli cominciò, subito all’inizio, appena apprese le prime nozioni della fede, quella evangelizzazione che avrebbe portato avanti di pari passo col progredire della sua santità.
Se desideriamo penetrare più a fondo nel significato di ciò che è accaduto, capiremo che egli non si limitò a offrire al Signore un banchetto per il suo corpo nella propria abitazione materiale ma, con la fede e l’amore, gli preparò un convito molto più gradito nell’intimo del suo cuore. Lo afferma colui che dice: ” Ecco sto alla porta e busso; se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me ” (Ap 3, 20).Gli apriamo la porta per accoglierlo, quando udita la sua voce, diamo volentieri il nostro assenso ai suoi segreti o palesi inviti e ci applichiamo con impegno nel compito da lui affidatoci. Entra quindi per cenare con noi e noi con lui, perché con la grazia del suo amore viene ad abitare nei cuori degli eletti, per ristorarli con la luce della sua presenza. Essi così sono in grado di avanzare sempre più nei desideri del cielo. A sua volta, riceve anche lui ristoro mediante il loro amore per le cose celesti, come se gli offrissero vivande gustosissime.

San Beda il Venerabile

 Immagine dalle Cronache di Norimberga (1493)

mercoledì 18 maggio 2016

Abbà disse.....18 maggio 2016


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TEODORO DI FERME

 http://www.padrideldeserto.net/teodoro-di-ferme-introduzione/

 Il padre Teodoro di Ferme possedeva tre bei libri; si recò dal padre Macario e gli disse: «Ho tre bei libri che mi sono molto utili. Anche i fratelli li usano e ne traggono vantaggio. Dimmi, che devo fare? Li tengo per l’utilità mia e dei fratelli, oppure li vendo e do il ricavato ai poveri?». «Buone cose ambedue – rispose l’anziano – ma la cosa migliore di tutte è il non possedere nulla». A queste parole, Teodoro se ne andò, vendette i libri e distribuì il danaro ai poveri (188a; PJ VI, 6)

 Un fratello che viveva alle Celle era molto turbato dalla solitudine, e venne dal padre Teodoro di Ferme per dirglielo. Questi gli disse: «Va’, umilia il tuo pensiero, sottomettiti e vivi insieme con altri». Ma il fratello ritornò dall’anziano e gli disse: «Nemmeno con altri uomini trovo pace». E il vecchio gli disse: «Se non trovi pace né da solo né con altri, perché sei venuto a farti monaco? Non forse per sopportare le tribolazioni? Dimmi, da quanti anni hai indossato l’abito?». «Otto», rispose. E l’anziano gli disse: «In verità sono settant’anni che porto l’abito e nemmeno un giorno ho avuto quiete. E tu pretendi di averla dopo otto?». Ciò udendo se ne andò, reso più forte (188b; PJ VII, 5).

 il padre Teodoro si trovò un giorno con dei fratelli a Scete. Mangiando, essi prendevano educatamente i bicchieri in silenzio senza dire: «Permetti». E il padre Teodoro disse: «I monaci hanno perso le loro buone maniere, non dicono più: – Permetti» (PJ XV, 20).

 Disse anche: «Se hai amicizia con qualcuno e questi viene a cadere in tentazione di impurità, tendigli una mano se puoi e tiralo su. Ma se cade nell’eresia e non si lascia persuadere a distogliersene, tronca subito ogni rapporto con lui. Se tardi un po’, potresti essere trascinato con lui nell’abisso» (PJ X, 23).

Uno degli anziani venne a raccontare al padre Teodoro: «Ecco, il tal fratello è ritornato nel mondo». «Ti meravigli di ciò? – disse il vecchio. – Non stupirti, meravigliati piuttosto se odi che qualcuno è riuscito a sfuggire alle fauci del nemico [1]» (PJ X, 25).

 1] Cf. 2 Tm 4, 17.

 Un fratello venne dal padre Teodoro e cominciò a parlare e a trattare cose di cui non aveva ancora fatto esperienza. «Non hai ancora trovato la nave – gli dice l’anziano –, non hai ancora caricato il tuo bagaglio, e sei già arrivato in quella città prima di essere partito? Compi prima l’opera e poi giungerai a ciò di cui ora parli» (189b; PJ VIII, 8).

 
 Egli disse: «Non vi è virtù così grande come il non disprezzare».


 Un fratello interrogò il padre Teodoro dicendogli: «Voglio adempiere i comandamenti». L’anziano gli raccontò allora del padre Teona, che anche lui una volta aveva detto: «Voglio che ogni mio pensiero sia in accordo con Dio». Un giorno portò del grano al forno e ne fece dei pani. Dei poveri gli chiesero la carità ed egli li diede a loro. Poiché pure altri chiedevano, diede le ceste e il vestito che indossava. E ritornò in cella cinto del solo mantello. Ma ancora biasimava se stesso dicendo: «Non ho ancora compiuto il comando di Dio» (192ab).

giovedì 14 aprile 2016

(Erma, Pastor, Precetto IX) Pregare confidando nel Signore


PASTORE DI ERMA



Pregare confidando nel Signore

Allontana da te ogni dubbio e non esitare, neppure un istante, a chiedere qualche grazia al Signore, dicendo fra te e te: Come è possibile che io possa chiedere e ottenere dal Signore, che ho tanto peccato contro di lui? Non pensare a ciò, ma rivolgiti a lui di tutto cuore e pregalo senza titubare; sperimenterai la sua grande misericordia. Dio non è come gli uomini che serbano rancore; egli dimentica le offese e ha compassione per la sua creatura .

Tu dunque purifica prima il tuo cuore da tutte le vanità di questo mondo e da tutti i peccati che abbiamo menzionati, poi prega il Signore e tutto otterrai. Sarai esaudito in ogni tua preghiera, se chiederai senza titubare. Se invece esiterai in cuor tuo, non potrai conseguire nulla di ciò che chiedi. Chi, pregando Dio, dubita, è uno di quegli indecisi che nulla assolutamente ottengono; invece chi è perfetto nella fede, chiede tutto confidando nel Signore e tutto riceve, perché prega senza dubbio o titubanza. Ogni uomo indeciso e tiepido, se non farà penitenza, difficilmente avrà la vita.

Purifica il tuo cuore da ogni traccia di dubbio, rivestiti di fede robusta, abbi la certezza che otterrai da Dio tutto ciò che domandi. Se poi avviene che, chiesta al Signore qualche grazia, egli tarda a esaudirti, non lasciarti prendere dallo scoraggiamento per il fatto di non aver ottenuto subito ciò che domandasti: certamente questo ritardo nell’ottenere la grazia chiesta o è una prova o è dovuto a qualche tuo fallo che ignori. Perciò non cessare di rivolgere a Dio la tua intima richiesta, e sarai esaudito, se invece ti scoraggi e cominci a diffidare, incolpa te stesso, e non colui che è disposto a concederti tutto.

Guardati dal dubbio! E’ sciocco e nocivo e sradica molti dalla fede, anche se sono assai convinti e forti. Tale dubbio è fratello del demonio e produce tanto male tra i servi di Dio. Disprezzalo dunque e dominalo in tutto il tuo agire, corazzandoti con una fede santa e robusta, perché la fede tutto promette e tutto compie; il dubbio invece, poiché diffida di sé, fallisce in tutte le opere che intraprende.

Vedi, dunque, che la fede viene dall’alto, dal Signore, e ha una grande potenza, mentre il dubbio è uno spirito terreno che viene dal diavolo, e non ha vera energia. Tu dunque servi alla fede, che ha vera efficacia, e tienti lontano dal dubbio che ne è privo. E così vivrai in Dio; e tutti coloro che ragionano così vivranno in Dio.

(Erma, Pastor, Precetto IX)


sabato 9 aprile 2016

Cipriano di Cartagine, De orat. dom. 31) La preghiera deve essere fatta con tutto il cuore

Icona rappresentante Cipriano.
La preghiera deve essere fatta con tutto il cuore

Quando dunque, fratelli carissimi, ci mettiamo a pregare, dobbiamo essere vigilanti e completamente intenti alle preghiere con tutto il cuore. Sia lontano da noi ogni pensiero carnale e mondano, affinché appunto l’anima non si concentri che sulla preghiera.

Ecco perché il vescovo, con un prefazio prima della preghiera (eucaristica), prepara lo spirito dei fedeli dicendo: "In alto i cuori", cui il popolo risponde: "Li abbiamo rivolti al Signore". Si è esortati così a non pensare ad altro che al Signore.

Si chiuda il cuore all’avversario e lo si apra solo a Dio; non si permetta affatto che il nemico penetri in noi durante il tempo della preghiera. Egli infatti usa strisciare e insinuarsi sottilmente per deviare le nostre preghiere da Dio: cosicché una cosa abbiamo nel cuore e un’altra sulle labbra; mentre si deve pregare il Signore con la sincera applicazione non del suono della voce ma dell’anima e del pensiero. Quale indolenza non è quella per cui ci si fa portar via e si diventa preda di pensieri frivoli e profani, proprio mentre tu preghi il Signore, - come se potessi avere di meglio da pensare rispetto a quello di cui parli con Dio!

Come pretendi d’essere ascoltato da Dio, quando tu non ascolti neppure te stesso? E come vuoi che il Signore si ricordi di ciò che domandi nella preghiera, se non te ne ricordi tu stesso? Questo significa non guardarsi affatto dal nemico; questo significa, dacché preghi Dio, offendere la sua maestà con la negligenza della tua preghiera questo non è altro che vegliare con gli occhi e dormire col cuore, mentre al contrario il cristiano anche quando con gli occhi dorme dovrebbe vegliare col cuore, così come, nel Cantico dei Cantici, sta scritto di colei che parla quale figura della Chiesa: "Io dormo, ma il mio cuore veglia" (Ct 5,2). E perciò l’Apostolo è sollecito e saggio ad avvertirci: "Siate assidui nella preghiera e vegliate" (Col 4,2): ci insegna così e ci mostra che possono ottenere da Dio quel che gli chiedono, solo coloro che Dio vede vigilanti nella preghiera.


(Cipriano di Cartagine, De orat. dom. 31)

venerdì 1 aprile 2016

c'è 'un tempo per tacere e un tempo per parlare' (Ecclesiaste 3:7). o del post


"Un anziano disse:" Un uomo pensa di essere silenzioso, ma il suo cuore giudica gli altri; un tale uomo parla sempre. Un altro uomo parla dalla mattina alla sera e tuttavia mantiene il silenzio; cioè, non dice nulla di non vantaggioso".

"Un fratello visitò un certo anziano e gli disse: "Abba, dimmi una parola, in modo che io possa essere salvato". L'anziano gli rispose: "Se vai da qualcuno, non affrettarti a parlare prima di considerare quello che dirai". Pieno di compunzione a questo detto, il fratello fece una prosternazione e osservò: "In verità, ho letto molti libri, ma non ho mai incontrato tale insegnamento". Così edificato, partì".

"L'abba Isaia disse:" La saggezza non consiste nel parlare; la saggezza significa conoscere il momento in cui dovresti parlare e quando rispondere, se necessario. Fa' sembrare che non sai nulla, anche se disponi di conoscenze, in modo da evitare grandi angosce, perché chi sembra avere conoscenze pone oneri su se stesso. Non vantarti della tua conoscenza, perché nessuno sa nulla".

"Un anziano disse:" Se acquisisci il silenzio, non vantarti di aver raggiunto la virtù, ma limitati a dire: Sono indegno persino di parlare"."


Da san Diadoco: "Proprio come, quando le porte dei bagni sono lasciate continuamente aperte, il calore interno scappa rapidamente, così anche l'anima, quando vuol dire molte cose, anche se tutto ciò che si dice può essere buono, disperde la sua concentrazione attraverso la porta della voce. Quindi, l'anima, priva di adeguate idee spirituali, perde la forza di lottare contro i pensieri e balbetta con chiunque incontra. Dal momento che in questo modo (attraverso la loquacità) l'anima scaccia lo Spirito Santo, non può mantenere l'intelletto libero da fantasie nocivi; lo Spirito buono fugge sempre dalla loquacità, che è la causa di ogni sconvolgimento e fantasia. Il silenzio tempestivo è buono, dal momento che non è altro che la madre dei saggi pensieri".


"Due fratelli di Scete vollero visitare l'abba Antonio. Si imbarcarono su una barca, e con loro si imbarcò un certo anziano, che i fratelli non conoscevano, e che andava anch'egli a visitare l'abba Antonio. Mentre erano seduti sulla barca, i fratelli discussero ciò che i Padri dicono delle Scritture e parlarono anche dei loro lavori manuali. L'anziano tacque. Dopo che furono sbarcati dalla barca ee ebbero raggiunto la loro destinazione, l'abba Antonio disse ai fratelli: "Avete trovato buona compagnia in questo anziano". Poi disse all'anziano: "Hai avuto buoni fratelli che hanno viaggiato con te, abba." L'anziano rispose: "Sono buoni, ma la loro casa non ha porta; chi vuole può entrare nella stalla e slegare l'asino". Disse questo per dimostrare che avevano detto tutto ciò che era venuto loro in mente".


"Il silenzio aiuta notevolmente nella vita spirituale. È bene praticare il silenzio per circa un'ora al giorno: mettersi alla prova, riconoscere le proprie passioni e lottare per tagliale fuori e purificare il proprio cuore è molto buono se vi è nella casa una stanza tranquilla che dà la sensazione di una cella monastica. Lì, "nel segreto", è in grado di fare la sua manutenzione spirituale, di studiare e di pregare. Un po' di studio spirituale fatto prima della preghiera aiuta notevolmente. l'anima si riscalda e la mente è trasportata al regno spirituale. È per questo che, quando una persona ha molte distrazioni durante il giorno, dovrebbe rallegrarsi se ha dieci minuti di preghiera, o anche due minuti per leggere qualcosa, in modo da allontanare le distrazioni "(Estratti dalla vita familiare, da san Paissio dell'Athos)
 http://www.ortodossiatorino.net/DocumentiSezDoc.php?cat_id=36&id=4483
 «Un fratello venne dal padre Teodoro e cominciò a parlare e a trattare cose di cui non aveva ancora fatto esperienza. "Non hai ancora trovato la nave - gli dice l'anziano -, non hai ancora caricato il tuo bagaglio, e sei già arrivato in quella città prima di essere partito? Compi prima l'opera e poi giungerai a ciò di cui ora parli".» [Teodoro di Ferme, n. 9].

martedì 29 marzo 2016

SAN LEONE MAGNO PAPA SERMONE TENUTO PER LA QUARESIMA, domenica 13 marzo 455


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SERMONE TENUTO PER LA QUARESIMA, domenica 13 marzo 455

 Fra tutti i giorni che per diversi aspetti la devozione cristiana ritiene degni di venerazione,  carissimi, nessuno è superiore alla solennità della Pasqua, ed è in rapporto a questa che nella Chiesa di Dio viene riconosciuta la dignità di tutte quante le feste. Certamente fu in vista di questo mistero anche la stessa nascita del Signore dalla Madre, né ci fu altro motivo nella nascita terrena del Figlio di Dio se non quello di poter essere messo in croce. Nell’utero della Vergine, infatti, fu assunta la carne mortale e nella carne mortale ebbe compimento il disegno della passione, che per l’ineffabile disposizione della misericordia divina fu per noi sacrificio di redenzione, abolizione della colpa e principio di risurrezione alla vita eterna. Considerando tutto quello che il mondo intero ha conseguito per mezzo della croce del Signore, riconosciamo che è giusto prepararci a celebrare il giorno della Pasqua con il digiuno di quaranta giorni, in modo da poter partecipare degnamente ai divini misteri. Non soltanto i vescovi, o i sacerdoti, né i soli diaconi, ma tutto il corpo della Chiesa e l’intero popolo dei fedeli occorre che sia purificato da ogni macchia, affinché il tempio di Dio, di cui è fondamento lo stesso fondatore, sia bello in ogni pietra e splendido in ogni sua parte. Se a ragione si abbelliscono con ogni ornamento i palazzi dei re e le case delle più alte autorità, perché siano tanto più eccellenti le dimore di quelli di cui più grandi sono i titoli, con quanta cura si deve edificare, con quanta magnificenza si deve adornare l’abitazione di Dio stesso [cf. Ef  2,22]! Sebbene questa abitazione non possa essere iniziata e portata a termine senza il suo costruttore, tuttavia essa ha ricevuto in dono da lui di promuovere la sua crescita anche con la propria fatica. È viva infatti e dotata di ragione la materia che viene scelta per la costruzione di questo tempio ed è spinta dal soffio della grazia a compaginarsi volontariamente in un’unica costruzione. Ed è così tanto amata, così tanto cercata, che essa stessa passa dal disinteresse all’interesse, dal disamore all’amore, secondo quanto afferma il beato apostolo Giovanni: “Noi dunque amiamo, perché Dio ci ha amato per primo” [1Gv 4,19]. Pertanto, poiché tutti i fedeli nel loro insieme e ciascuno singolarmente costituiscono l’unico e medesimo tempio di Dio [cf. 1Cor 3,16; 2Cor 6,16], questo, come deve risultare perfetto nella totalità delle sue parti, così deve esserlo in ciascuna di esse, perché anche se la bellezza di tutti i membri non è identica, né vi può essere parità di meriti in tanta varietà di elementi, tuttavia il vincolo della carità conferisce la comunione nella bellezza. Coloro che sono congiunti in un amore santo, infatti, anche se non dispongono dei medesimi benefici della grazia, tuttavia godono reciprocamente dei rispettivi beni, e non può rimanere loro estraneo quel che amano, perché chi si rallegra del progresso altrui, avanza lui stesso.

2.
In questa comunione dei santi, carissimi, nella quale è identico ciò che si ama, ciò che si apprezza,  ciò che si pensa, non vi è posto per i superbi, né per gli invidiosi, né per gli avari, e tutto ciò che costituisce motivo di vanto per la vanità o acuisce la veemenza dell’ira o incrementa la lussuria non può essere ritenuto appartenere all’alleanza di Cristo, ma al partito del diavolo, ed è rigettato lontano dalle dimore della pietà. Si infuria pertanto l’avversario dell’innocenza e il nemico della pace e, poiché egli non rimase fermo nella verità [Gv 8,44] e per la sua  superbia perse completamente la gloria della sua natura, si affligge nel vedere l’uomo reintegrato dalla misericordia divina e introdotto a godere di quei beni che egli perse. Né c’è da meravigliarsi se l’istigatore del peccato è tormentato dalla bontà di coloro che agiscono con giustizia e torturato dalla fermezza di coloro che non può far cadere, giacché talvolta anche fra gli uomini si trovano di quelli che vogliono imitare le opere di una tale malvagità. Molti infatti – c’è da rattristarsene – si crucciano per i progressi degli altri e siccome sanno che i vizi non sono graditi alle virtù, si accaniscono nell’odiare quelli di cui non seguono l’esempio. I servi di Dio, invece, e i seguaci della verità amano anche quelli diversi da loro e fanno guerra ai vizi piuttosto che agli uomini, “non rendendo a nessuno male per male” [Rm 12,17], ma desiderando sempre la correzione di coloro che peccano. È molto bello e degno di essere paragonato alla divina bontà quando ognuno riconosce se stesso nell’altro ed ama la propria natura anche in un nemico. Sappiamo del resto che moltissimi sono passati da pessimi ad ottimi costumi, che da ubriaconi sono diventati sobri, da spietati compassionevoli, da avidi generosi, da intemperanti casti, da violenti calmi. Secondo la parola del Signore, poi – “Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” [Mt 9,13] – a nessun cristiano è lecito odiare chicchessia,  poiché nessuno si salva se non perché gli sono rimessi i peccati, e quelli che la sapienza del mondo giudica spregevoli, non sappiamo quanto la grazia dello Spirito possa rendere preziosi.

3.
Sia dunque santo il popolo di Dio, sia disposto al bene: santo, per evitare ciò che è proibito; disposto al bene, per compiere ciò che è comandato. Per quanto sia un gran bene possedere la retta fede e la sana dottrina e siano meritevoli di grande lode la mortificazione della gola, la dolcezza della mansuetudine, la purezza della castità, nondimeno tutte le virtù rimangono nude senza la carità, e quale che sia l’elevatezza dei costumi, non si può ritenere fecondo di frutti quel che non è stato generato dalla carità. Per questo nel Vangelo di Giovanni il Signore dice: “Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” [Gv 13,35]; e in una lettera del medesimo apostolo si legge: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” [1Gv 4,7-8]. I fedeli vaglino perciò il loro animo e giudichino con un sincero esame quali sono i sentimenti profondi del loro cuore e, se troveranno nella loro coscienza qualche frutto di carità, stiano certi che Dio abita in loro; e perché siano sempre più capaci di ricevere un ospite tanto grande, divengano più accoglienti mediante assidue opere di misericordia. Se infatti Dio è amore [cf. 1Gv 4,16], la carità non deve avere alcun limite, perché la divinità non può essere rinchiusa entro nessun confine.

4.
Tutti i tempi dell’anno sono opportuni, carissimi, per esercitare il bene della carità; tuttavia i giorni attuali spronano in maniera particolare coloro che desiderano ricevere la Pasqua del Signore, santificati nel corpo e nello spirito, a cercare di acquistare soprattutto questa grazia, nella quale non solo è racchiuso tutto il complesso delle virtù, ma viene anche coperta una moltitudine di peccati [cf. 1Pt 4,8; Pr 10,12b]. Pertanto, trovandoci vicini a celebrare quel mistero che è superiore a tutti e con il quale il sangue di Gesù Cristo distrusse le nostre iniquità, prepariamo anzitutto sacrifici di misericordia [cf. Eb 13,16] e quello che ci ha concesso la bontà di Dio offriamolo anche noi a chi ha peccato contro di noi. Si dimentichino le ingiurie, non si puniscano più le colpe con la tortura e siano liberati dalla paura del castigo tutti i sottoposti che hanno mancato. Nessuno sia detenuto nelle prigioni, né continuino a uscire i tristi gemiti dei colpevoli dalle carceri tenebrose. Se qualcuno tiene in queste condizioni chi si è reso colpevole di qualche delitto, sappia che è in peccato e per ricevere egli stesso il perdono si rallegri di aver trovato a chi perdonare. Così, quando secondo l’insegnamento di Dio diremo: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” [Mt 6,12], potremo essere certi di ottenere la clemenza divina secondo le parole della nostra preghiera.

5. Anche verso i poveri e quelli che sono impediti da varie infermità, si dimostri ora una generosità più benevola, affinché siano rese grazie a Dio dalla voce di molti [cf. 2Cor 9,11-12], e il nutrimento degli indigenti sia sostenuto dai nostri digiuni. Nessuna forma di devozione dei fedeli, infatti, è gradita al Signore più dell’offerta fatta ai suoi poveri; egli ravvisa l’immagine del suo amore laddove riscontra l’attenzione alla misericordia [cf. Lc 6,36]. Nel compiere queste elargizioni non temiamo la diminuzione del nostro patrimonio, perché la stessa bontà costituisce una grande ricchezza, né possono venire a mancare i mezzi per dare generosamente, quando è Cristo che nutre ed è nutrito. In tutte queste azioni interviene quella mano che spezzando il pane lo fa crescere [cf. Mt 14,19; 15,36; Mc 6,41; Lc 9,16] e nel distribuirlo lo moltiplica. Sia lieto [cf. 2Cor 9,7b] e non abbia timore chi distribuisce elemosine, perché raccoglierà il più grande guadagno quando per sé avrà riservato il minimo indispensabile, secondo la parola del beato apostolo Paolo: “Colui che somministra il seme al seminatore e il pane per il nutrimento somministrerà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia” [2Cor 9,10], in Cristo Gesù Signore nostro, che vive e regna col Padre e con lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

venerdì 25 marzo 2016

La meditazione di Santo Ambrogio sull'Annunciazione


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Dal "Commento su san Luca"
 
L'angelo, che annunziava il mistero, volle garantirne la veridicità con una prova e annunziò alla vergine Maria la maternità di una donna vecchia e sterile, per dimostrare così che a Dio è possibile tutto ciò che vuole. Appena Maria ebbe udito ciò, si avviò in fretta verso la montagna, non perché fosse incredula della profezia o incerta dell'annunzio o dubitasse della prova, ma perché era lieta della promessa e desiderosa di compiere devotamente un servizio, con lo slancio che le veniva dall'intima gioia. 


Dove ormai, ricolma di Dio, poteva affrettarsi ad andare se non verso l'alto? La grazia dello Spirito Santo non comporta lentezze. Subito si fanno sentire i benefici della venuta di Maria e della presenza del Signore. Infatti appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, esultò il bambino nel seno di lei, ed ella fu ricolma di Spirito Santo (cfr. Lc 1, 41). 


Si deve fare attenzione alla scelta delle singole parole e al loro significato. 


Elisabetta udì per prima la voce, ma Giovanni percepì per primo la grazia; essa udì secondo l'ordine della natura, egli esultò in virtù del mistero; essa sentì l'arrivo di Maria, egli del Signore; la donna l'arrivo della donna, il bambino l'arrivo del bambino. Esse parlano delle grazie ricevute, essi nel seno delle loro madri realizzano la grazia e il mistero della misericordia a profitto delle madri stesse: e queste per un duplice miracolo profetizzano sotto l'ispirazione dei figli che portano. Del figlio si dice che esultò, della madre che fu ricolma di Spirito Santo. Non fu prima la madre a essere ricolma dello Spirito, ma fu il figlio, ripieno di Spirito Santo, a ricolmare anche la madre. Esultò Giovanni, esultò anche lo spirito di Maria. Ma mentre di Elisabetta si dice che fu ricolma di Spirito santo allorché Giovanni esultò, di Maria, che già era ricolma di Spirito santo, si dice che allora il suo spirito esultò.

Colui che è incomprensibile, operava in modo incomprensibile nella madre. L'una, Elisabetta, fu ripiena di Spirito Santo dopo la concezione, Maria invece prima della concezione. Beata disse tu che hai creduto (cfr. Lc 1, 45). Ma beati anche voi che avete udito e creduto: ogni anima che crede concepisce e genera il Verbo di Dio e riconosce le sue opere. Sia in ciascuno l'anima di Maria per magnificare il Signore; sia in ciascuno lo spirito di Maria per esultare in Dio. Se c'è una sola madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede, invece, Cristo è il frutto di tutti, poiché ogni anima riceve il Verbo di Dio, purché, immacolata e immune da vizi, custodisca la castità con intemerato pudore. 

Ogni anima, che potrà mantenersi così, magnifica il Signore come magnificò il Signore l'anima di Maria, e il suo spirito esultò in Dio salvatore. Come avete potuto leggere anche altrove: Magnificate il Signore con me (cfr. Salmo 33, 4), il Signore è magnificato non perché la parola umana possa aggiungere qualcosa alla grandezza del Signore, ma perché egli viene magnificato in noi. Cristo è l'immagine di Dio: perciò l'anima che compie opere giuste e pie magnifica l'immagine di Dio a somiglianza della quale è stata creata, e mentre la magnifica, partecipa in certo modo alla sua grandezza e si eleva.
 Sant'Ambrogio, Vescovo (2, 19. 22-23. 26-27)



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