giovedì 13 gennaio 2022

Il libro biblico del Qoèlet (l'Ecclesiaste) i primi 4 capitoli.




Era il 1955, e nella sinagoga di Torino il giovane Guido Ceronetti, studioso principiante di ebraico bilbico, si applicava sotto la guida del rabbino, a "una stentata versione interlineare" del rotolo detto nella Vulgata "Ecclesiaste": il secondo dei libri sapienziali dell'Antico Testamento, redatto da un ignoto autore del III secolo e da alcuni interpreti attribuito a Salomone stesso; e dal rabbino imparò a dirne i versetti. Da allora, per quasi cinquant'anni, Ceronetti ha continuato a confrontarsi con questo grande "poema ebraico". 

Una presentazione e commento del testo biblico

https://www.teologiaverona.it/rivista/openaccess/ET_010-011/ET_10-11_02%20Cottini.pdf


1,1 Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme.

2 Vanità delle vanità, dice Qoèlet,

vanità delle vanità, tutto è vanità.

3 Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno

per cui fatica sotto il sole?

4 Una generazione va, una generazione viene

ma la terra resta sempre la stessa.

5 Il sole sorge e il sole tramonta,

si affretta verso il luogo da dove risorgerà.

6 Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana;

gira e rigira

e sopra i suoi giri il vento ritorna.

7 Tutti i fiumi vanno al mare,

eppure il mare non è mai pieno:

raggiunta la loro mèta,

i fiumi riprendono la loro marcia.

8 Tutte le cose sono in travaglio

e nessuno potrebbe spiegarne il motivo.

Non si sazia l'occhio di guardare

né mai l'orecchio è sazio di udire.

9 Ciò che è stato sarà

e ciò che si è fatto si rifarà;

non c'è niente di nuovo sotto il sole.

10 C'è forse qualcosa di cui si possa dire:

«Guarda, questa è una novità»?

Proprio questa è già stata nei secoli

che ci hanno preceduto.

11 Non resta più ricordo degli antichi,

ma neppure di coloro che saranno

si conserverà memoria

presso coloro che verranno in seguito.

12 Io, Qoèlet, sono stato re d'Israele in Gerusalemme. 13 Mi sono proposto di ricercare e investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo. È questa una occupazione penosa che Dio ha imposto agli uomini, perché in essa fatichino. 14 Ho visto tutte le cose che si fanno sotto il sole ed ecco tutto è vanità e un inseguire il vento.

15 Ciò che è storto non si può raddrizzare

e quel che manca non si può contare.

16 Pensavo e dicevo fra me: «Ecco, io ho avuto una sapienza superiore e più vasta di quella che ebbero quanti regnarono prima di me in Gerusalemme. La mia mente ha curato molto la sapienza e la scienza». 

17 Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho compreso che anche questo è un inseguire il vento, 

18 perché  molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere, aumenta il dolore.


2,1 Io ho detto in cuor mio: «Vieni, dunque, ti voglio mettere alla prova con la gioia: Gusta il piacere!». Ma ecco anche questo è vanità.

2 Del riso ho detto: «Follia!» e della gioia: «A che giova?».

3 Ho voluto soddisfare il mio corpo con il vino, con la pretesa di dedicarmi con la mente alla sapienza e di darmi alla follia, finché non scoprissi che cosa convenga agli uomini compiere sotto il cielo, nei giorni contati della loro vita. 

4 Ho intrapreso grandi opere, mi sono fabbricato case, mi sono piantato vigneti. 

5 Mi sono fatto parchi e giardini e vi ho piantato alberi da frutto d'ogni specie; 

6 mi sono fatto vasche, per irrigare con l'acqua le piantagioni. 7 Ho acquistato schiavi e schiave e altri ne ho avuti nati in casa e ho posseduto anche armenti e greggi in gran numero più di tutti i miei predecessori in Gerusalemme. 

8 Ho accumulato anche argento e oro, ricchezze di re e di province; mi sono procurato cantori e cantatrici, insieme con le delizie dei figli dell'uomo. 

9 Sono divenuto grande, più potente di tutti i miei predecessori in Gerusalemme, pur conservando la mia sapienza. 

10 Non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano, né ho rifiutato alcuna soddisfazione al mio cuore, che godeva d'ogni mia fatica; questa è stata la ricompensa di tutte le mie fatiche. 

11 Ho considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo durato a farle: ecco, tutto mi è apparso vanità e un inseguire il vento: non c'è alcun vantaggio sotto il sole.

12 Ho considerato poi la sapienza, la follia e la stoltezza. «Che farà il successore del re? Ciò che è già stato fatto». 

13 Mi sono accorto che il vantaggio della sapienza sulla stoltezza è il vantaggio della luce sulle tenebre:

14 Il saggio ha gli occhi in fronte,  ma lo stolto cammina nel buio.Ma so anche che un'unica sorte è riservata a tutt'e due.

15 Allora ho pensato: «Anche a me toccherà la sorte dello stolto! Allora perché ho cercato d'esser saggio? Dov'è il vantaggio?». E ho concluso: «Anche questo è vanità». 

16 Infatti, né del saggio né dello stolto resterà un ricordo duraturo e nei giorni futuri tutto sarà dimenticato. Allo stesso modo muoiono il saggio e lo stolto.

17 Ho preso in odio la vita, perché mi è sgradito quanto si fa sotto il sole. Ogni cosa infatti è vanità e un inseguire il vento. 18 Ho preso in odio ogni lavoro da me fatto sotto il sole, perché dovrò lasciarlo al mio successore. 

19 E chi sa se questi sarà saggio o stolto? Eppure potrà disporre di tutto il mio lavoro, in cui ho speso fatiche e intelligenza sotto il sole. Anche questo è vanità! 

20 Sono giunto al punto di disperare in cuor mio per tutta la fatica che avevo durato sotto il sole, 

21 perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare i suoi beni a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e grande sventura.

22 Allora quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? 

23 Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questo è vanità! 

24 Non c'è di meglio per l'uomo che mangiare e bere e godersela nelle sue fatiche; ma mi sono accorto che anche questo viene dalle mani di Dio. 

25 Difatti, chi può mangiare e godere senza di lui? 

26 Egli concede a chi gli è gradito sapienza, scienza e gioia, mentre al peccatore dà la pena di raccogliere e d'ammassare per colui che è gradito a Dio. Ma anche questo è vanità e un inseguire il vento!


3,1 Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.

2 C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,

un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.

3 Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,

un tempo per demolire e un tempo per costruire.

4 Un tempo per piangere e un tempo per ridere,

un tempo per gemere e un tempo per ballare.

5 Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,

un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.

6 Un tempo per cercare e un tempo per perdere,

un tempo per serbare e un tempo per buttar via.

7 Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,

un tempo per tacere e un tempo per parlare.

8 Un tempo per amare e un tempo per odiare,

un tempo per la guerra e un tempo per la pace.

9 Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?

10 Ho considerato l'occupazione che Dio ha dato agli uomini, perché si occupino in essa. 

11 Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell'eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine. 

12 Ho concluso che non c'è nulla di meglio per essi, che godere e agire bene nella loro vita; 

13 ma che un uomo mangi, beva e goda del suo lavoro è un dono di Dio. 

14 Riconosco che qualunque cosa Dio fa è immutabile; non c'è nulla da aggiungere, nulla da togliere. Dio agisce così perché si abbia timore di lui. 

15 Ciò che è, già è stato; ciò che sarà, già è; Dio ricerca ciò che è già passato.

16 Ma ho anche notato che sotto il sole al posto del diritto c'è l'iniquità e al posto della giustizia c'è l'empietà. 

17 Ho pensato: Dio giudicherà il giusto e l'empio, perché c'è un tempo per ogni cosa e per ogni azione. 

18 Poi riguardo ai figli dell'uomo mi son detto: Dio vuol provarli e mostrare che essi di per sé sono come bestie. 

19 Infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste muoiono quelli; c'è un solo soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell'uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità. 20 Tutti sono diretti verso la medesima dimora:

tutto è venuto dalla polvere

e tutto ritorna nella polvere.

21 Chi sa se il soffio vitale dell'uomo salga in alto e se quello della bestia scenda in basso nella terra? 

22 Mi sono accorto che nulla c'è di meglio per l'uomo che godere delle sue opere, perché questa è la sua sorte. Chi potrà infatti condurlo a vedere ciò che avverrà dopo di lui?


4,1 Ho poi considerato tutte le oppressioni che si commettono sotto il sole. Ecco il pianto degli oppressi che non hanno chi li consoli; da parte dei loro oppressori sta la violenza, mentre per essi non c'è chi li consoli. 

2 Allora ho proclamato più felici i morti, ormai trapassati, dei viventi che sono ancora in vita; 

3 ma ancor più felice degli uni e degli altri chi ancora non è e non ha visto le azioni malvagie che si commettono sotto il sole.

4 Ho osservato anche che ogni fatica e tutta l'abilità messe in un lavoro non sono che invidia dell'uno con l'altro. Anche questo è vanità e un inseguire il vento.

5 Lo stolto incrocia le braccia

e divora la sua carne.

6 Meglio una manciata con riposo

che due manciate con fatica.

7 Inoltre ho considerato un'altra vanità sotto il sole: 

8 uno è solo, senza eredi, non ha un figlio, non un fratello. Eppure non smette mai di faticare, né il suo occhio è sazio di ricchezza: «Per chi mi affatico e mi privo dei beni?». Anche questo è vanità e un cattivo affannarsi.

9 Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica. 

10 Infatti, se vengono a cadere, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. 

11 Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare; ma uno solo come fa a riscaldarsi? 

12 Se uno aggredisce, in due gli possono resistere e una corda a tre capi non si rompe tanto presto.

13 Meglio un ragazzo povero ma accorto,

che un re vecchio e stolto

che non sa ascoltare i consigli.

14 Il ragazzo infatti può uscir di prigione ed esser proclamato re, anche se, mentre quegli regnava, è nato povero. 

15 Ho visto tutti i viventi che si muovono sotto il sole, stare con quel ragazzo, il secondo, cioè l'usurpatore. 

16 Era una folla immensa quella di cui egli era alla testa. Ma coloro che verranno dopo non avranno da rallegrarsi di lui. Anche questo è vanità e un inseguire il vento.

17 Bada ai tuoi passi, quando ti rechi alla casa di Dio. Avvicinarsi per ascoltare vale più del sacrificio offerto dagli stolti che non comprendono neppure di far male.


lunedì 27 dicembre 2021

SALMO RESPONSORIALE: strofa VII nella traduzione del poeta Lorenzo Morandotti, in POETI CRISTIANI LATINI DEI PRIMI SECOLI (a cura di V.G.), Casa Editrice Mimep-Docete, 2017.




SALMO RESPONSORIALE

https://antemp.com/2021/12/27/salmo-responsoriale-strofa-vii-che-viene-riportata-nella-traduzione-del-poeta-lorenzo-morandotti-segnalato-da-vincenzo-guarracino-il-27-dic-21/

Il “Salmo responsoriale” (Psalmus responsorius) è un inno anonimo, scoperto nel 1965 in un codice papiraceo in Egitto e conservato a Barcellona (Pap.Barcinonensis 149b-153).

Composto molto probabilmente nella prima metà del IV secolo, se non addirittura molto prima, come ipotizzano alcuni studiosi (cosa che ne farebbe una delle più antiche manifestazioni della poesia cristiana), il Salmo è un’importante testimonianza del culto della Madonna, la cui figura campeggia in tutte le strofe in cui scorrono i fatti salienti della vita di Maria, dalla sua nascita fino al “primo miracolo” del Cristo alle nozze di Cana.

In questo senso può davvero ritenersi un testo fondamentale, non tanto dal punto di vista letterario, quanto perché interpreta e incanala la devozione popolare nei confronti della Madre di Dio, segnando in un certo senso la nascita della Mariologia, destinata a trovare nei secoli successivi straordinario impulso e sviluppo (si pensi a Paolino di Nola, specialmente nei Carmina VI e XXV).

Dal punto di vista strutturale, il testo, incompleto, è un carme abecedario in prosa ritmica, di evidente funzione liturgica, composto di dodici strofe, precedute da quattro versi, una responsio, che costituisce una sorta di refrain ad uso dei fedeli in risposta ad ogni strofa iniziante con lettera alfabetica successiva, intonata dal corista. Dal punto di vista linguistico e stilistico, infine, il salmo rivela un livello culturale abbastanza basso, anche se non è privo di una certa sensibilità poetica.

Qui, nella strofa VII che viene riportata (nella traduzione del poeta Lorenzo Morandotti), c’è il racconto della Nascita di Gesù.

VII

Gioiosa fu Maria, per sempre…

Gli sposi durante il cammino

arrivarono in un campo.

“Aiuto, Giuseppe – disse lei –

ciò che porto in grembo vuole uscire”.

Lui cercò un luogo adatto, vide una grotta.

Era quasi buia, ma entrò.

Subito si udì il vagito di un neonato

e si vide enorme una luce fortissima,

un segno scendeva dal cielo

e annunciava la nascita di Cristo.


in POETI CRISTIANI LATINI DEI PRIMI SECOLI (a cura di V.G.), Casa Editrice Mimep-Docete, 2017

lunedì 8 novembre 2021

Mi faccio un regalo :PICCOLA REGOLA della PICCOLA FAMIGLIA DELL'ANNUNZIATA scritta da Don Giuseppe Dossetti nel 1955



https://ora-et-labora.net/regolapiccolafamiglia.html


Pubblico  i  punti 12  e 13


12. Il voto e la virtù della castità ci portano:

- a fare governare dall'obbedienza ogni nostro rapporto;

- a mantenere il cuore distaccato da ogni affetto, anche il più santo, dalla stessa comunità;

- ad accogliere con gioia e gratitudine un'obbedienza per terre lontane e genti straniere alla nostra cultura e mentalità;

- e a sperare di essere scelti per la solitudine totale dello spirito, come pegno benedetto di una fecondità sovrannaturale nei confronti di molte anime.

13. Il voto e la virtù della povertà ci impegnano:

- a non avere nessuna proprietà, e a rinunciare secondo le indicazioni dell'obbedienza a quelle che comunque sopravvenissero;

- a lavorare per vivere e a versare alla comunità ogni nostro provento, ricevendo da essa il vitto, il vestito, l'abitazione ed ogni oggetto d'uso;

- a consegnare totalmente l'impiego del tempo, che deve essere ritenuto non nostro, ma di Dio e della Chiesa;

- a desiderare ardentemente e a sperare, non solo per ognuno singolarmente, ma anche per la famiglia nel suo insieme e per sempre, il dono della povertà evangelica, che spoglia da ogni ricchezza materiale ed intellettuale, e accomuna ai minimi e ai poveri di Gesù.


Nota integrante della Regola per quel che riguarda i nostri quattro santi e il rapporto con i loro scritti. – (aggiunta del maggio 1983)




L 'Evangelo e il Corpo e il Sangue del Signore ci debbono portare a un desiderio sempre più forte ed efficace di povertà effettiva, personale e comunitaria, e di spogliazione e sottomissione a tutti per conformità d'amore al Crocifisso. Questo libererà il nostro cuore da ogni creatura, per poi tutte riceverle trasfigurate nella lode pura dell'Altissimo Signore, lode vissuta e comunicata a tutti gli uomini, a tutti i popoli, specialmente ai popoli non cristiani



Alcune informazioni sull'esperienza di questa comunità 

 Essere monaci nella Chiesa locale di Mario Torcivia


https://ora-et-labora.net/monachesimochiesalocale.html

mercoledì 3 novembre 2021

Dal Libro del Profeta Isaia. 44;9-20--Quelli che fabbricano immagini



https://www.larecherche.it/testo_poesia_settimanale.asp?Id=634&Tabella=Poesia_settimanale


Quelli che fabbricano immagini scolpite sono tutti vanità;

i loro idoli più cari non giovano a nulla;

i loro propri testimoni non vedono, non capiscono nulla,

perché essi siano coperti di vergogna.

Chi è che fabbrica un dio o fonde

un’immagine perché non gli serve a nulla?

Ecco, tutti quelli che vi lavorano saranno confusi,

e gli artefici stessi non sono che uomini!

Si radunino tutti, si presentino!…

Saranno spaventati e coperti di vergogna tutti insieme.

Il fabbro lima il ferro, lo mette nel fuoco,

forma l’idolo a colpi di martello,

e lo lavora con braccio vigoroso;

soffre perfino la fame, e la forza gli viene meno;

non beve acqua, e si stanca.

Il falegname stende la sua corda,

disegna l’idolo con la matita,

lo lavora con lo scalpello, lo misura col righello,

e ne fa una figura umana, una bella forma d’uomo,

perché abiti in una casa.

Si tagliano degli alberi di cedro,

si prendono degli elci, delle querce,

si fa la scelta fra gli alberi della foresta,

si piantano dei pini che la pioggia fa crescere.

Poi tutto questo serve all’uomo per far del fuoco,

ed ei ne prende per riscaldarsi,

ne accende anche il forno per cuocere il pane;

e ne fa pure un dio e l’adora;

ne scolpisce un’immagine dinanzi alla quale si prostra.

Ne brucia la metà nel fuoco, con l’altra metà allestisce la carne,

ne cuoce l’arrosto, e si sazia.

Ed anche si scalda e dice:

“Ah! mi riscaldo, godo di veder questa fiamma!”.

E con l’avanzo si fa un dio, il suo idolo,

gli si prostra davanti, l’adora, lo prega e gli dice:

“Salvami, poiché tu sei il mio dio!”.

Non sanno nulla, non capiscono nulla;

hanno impiastrato loro gli occhi

perché non vedano e il cuore perché non comprendano.

Nessuno rientra in se stesso

ed ha conoscimento e intelletto per dire:

“Ne ho bruciata la metà nel fuoco,

sui suoi carboni ho fatto cuocere il pane,

vi ho arrostito la carne che ho mangiata,

e farò col resto un’abominazione?

e mi prostrerò davanti ad un pezzo di legno?”.

Un tal uomo si pasce di cenere,

il suo cuore sedotto lo travia,

cosicché lui non può liberare l’anima sua e dire:

“Questo che tengo nella mia destra non è una menzogna?”.


****

Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

mercoledì 16 giugno 2021

sermone del pastore Martin Niemöller--Prima vennero...





Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller (Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984) è stato un teologo e pastore protestante tedesco, oppositore del nazismo

Già nel settembre 1933, come reazione all'introduzione del paragrafo sull'arianità con il quale gli ebrei battezzati venivano dichiarati non ariani e si decretava che fossero espulsi dalla Chiesa Evangelica, alcuni parroci berlinesi fra i quali Martin Niemöller e Dietrich Bonhoeffer costituirono d'urgenza un'associazione, la quale da un lato dichiarò che il suddetto paragrafo era incompatibile con la fede cristiana, dall'altro organizzò l'assistenza alle persone colpite dalle misure razziali.


Tale gruppo costituì con la Jungreformatorische Bewegung (Movimento neoriformatore) uno dei precursori della Chiesa confessante, la quale fu ufficialmente costituita con il sinodo del 29/31 maggio 1934 a Wuppertal-Barmen. Fu in tale occasione che venne formulata la dichiarazione teologica di Barmen (Barmer Theologische Erklärung) che avrebbe costituito il fondamento teologico della Chiesa confessante.

https://paroleortodosse.blogspot.com/2019/07/1934-la-dichiarazione-teologica-del.html


è stata spesso erroneamente attribuita a Bertolt Brecht sin dagli anni settanta,

I versi originari di Martin Niemöller recitano: «Quando i nazisti presero i comunisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero comunista./ Quando rinchiusero i socialdemocratici/ io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico./ Quando presero i sindacalisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero sindacalista./ Poi presero gli ebrei,/ e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere me./ E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa»


Il testo più conosciuto


"Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. 

Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. 

Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. 

Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. 

Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare".



Nel 1991 il duo musicale scozzese Hue and Cry parafrasò la poesia in una canzone registrata al Cirque Royale di Bruxelles. La porzione rilevante della canzone era:

Quando vennero per gli ebrei e i neri, distolsi gli occhi

Quando vennero per gli scrittori e i pensatori e i radicali e i dimostranti, distolsi gli occhi

Quando vennero per gli omosessuali, per le minoranze, gli utopisti, i ballerini, distolsi gli occhi

E poi quando vennero per me mi voltai e mi guardai intorno, non era rimasto più nessuno...

martedì 18 maggio 2021

Salmo 136(137) Là, presso i fiumi di Babilonia,



1 Là, presso i fiumi di Babilonia,

sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion.

2 Ai salici delle sponde avevamo appeso le nostre cetre.

3 Là ci chiedevano delle canzoni quelli che ci avevano deportati,

dei canti di gioia

quelli che ci opprimevano, dicendo:

«Cantateci canzoni di Sion!»

4 Come potremmo cantare i canti del SIGNORE

in terra straniera?

5 Se ti dimentico, Gerusalemme,

si paralizzi la mia destra;

6 resti la mia lingua attaccata al palato,

se io non mi ricordo di te,

se non metto Gerusalemme

al di sopra di ogni mia gioia.

7 Ricòrdati, SIGNORE, dei figli di Edom,

che nel giorno di Gerusalemme

dicevano: «Spianatela, spianatela,

fin dalle fondamenta!»

8 Figlia di Babilonia, che devi essere distrutta,

beato chi ti darà la retribuzione del male che ci hai fatto!

9 Beato chi afferrerà i tuoi bambini

e li sbatterà contro la roccia!

venerdì 5 marzo 2021

Antonio Gramsci Odio gli Indifferenti



Nel 1917 Antonio Gramsci pubblicava una rivista cui diede un titolo
evocativo, civile e poetico: “La città futura”. In quella rivista era
contenuto, fra gli altri, uno scritto che giunge fino a noi con i toni
laicamente epici di un grande manifesto politico e morale:
“Contro gli indifferenti.”



Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire

essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei

alla città.


Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. 

Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. 


Perciò odio gli indifferenti.


L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il

novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più

splendenti, E’ la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio

delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché

inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e

qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica.


L’indifferenza opera potentemente nella storia. 

Opera passivamente, ma opera.

E’ la fatalità; e ciò su cui non si può contare; e ciò che sconvolge i

programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si

ribella all’intelligenza» e la strozza. Ciò che succede, il male che si

abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale)

può generare, non e tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, 

quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non 

avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la 

massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i 

nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi 

solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo 

un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la 

storia non e altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, 

di  questo assenteismo.

Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun 

controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non 

se ne preoccupa. I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle 

visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di

piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne

preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela

tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a

travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno

naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi 

ha  voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e

chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle

conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non é

responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente,

ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se

avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe

successo ciò che e successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro

indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro

attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male,

combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano. I più di costoro,

invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di

programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano

cosi la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro

nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime

soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia

preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni

rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva

non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale,

non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi

nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.


Odio gli indifferenti anche per ciò che mi da noia il loro piagnisteo di

eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito

che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e

specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di

non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie

lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte

già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E

in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non

è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non

c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si

sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in

agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e

sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è

riuscito nel suo intento.


Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli

indifferenti.”


http://www.spartaco.eu/2016/12/odio-gli-indifferenti-il-testo-integrale-di-antonio-gramsci/




Gustave Courbet, Lo spaccapietre