giovedì 28 maggio 2015

frammento svevo antica omelia di Pentecoste




l’unità può esserci solo con il dono dello Spirito di Dio, il quale ci darà un cuore nuovo e una lingua nuova, una capacità nuova di comunicare. E questo è ciò che si è verificato a Pentecoste. In quel mattino, cinquanta giorni dopo la Pasqua, un vento impetuoso soffiò su Gerusalemme e la fiamma dello Spirito Santo discese sui discepoli riuniti, si posò su ciascuno e accese in essi il fuoco divino, un fuoco di amore capace di trasformare. La paura scomparve, il cuore sentì una nuova forza, le lingue si sciolsero e iniziarono a parlare con franchezza, in modo che tutti potessero capire l’annuncio di Gesù Cristo morto e risorto. A Pentecoste dove c’era divisione ed estraneità, sono nate unità e comprensione.

E così diventa più chiaro perché Babele è Babele e la Pentecoste è la Pentecoste. Dove gli uomini vogliono farsi Dio, possono solo mettersi l’uno contro l’altro. Dove invece si pongono nella verità del Signore, si aprono all’azione del suo Spirito che li sostiene e li unisce.

Il racconto lucano della Pentecoste ci dice che Gesù prima di salire al cielo chiese agli Apostoli di rimanere insieme per prepararsi a ricevere il dono dello Spirito Santo. Ed essi si riunirono in preghiera con Maria nel Cenacolo nell’attesa dell’evento promesso (cfr At 1,14). Raccolta con Maria, come al suo nascere, la Chiesa anche quest’oggi prega: «Veni Sancte Spiritus! - Vieni, Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco del tuo amore!». Amen.

martedì 26 maggio 2015

antica omelia sulla Pentecoste di uno ieromonaco resosi eremita



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Cari fratelli e sorelle!

Lo Spirito Santo discese sui discepoli mentre erano tutti riuniti in uno stesso luogo; così ci racconta la lettura dagli Atti degli Apostoli che abbiamo appena ascoltato. Questo passo ci vuole dire qualcosa sul presupposto della sua venuta e insieme sui segni della sua vicinanza. Se leggiamo l'intero racconto nel suo contesto, veniamo a saperne molto di più.
Ci viene detto che, prima della separazione, Gesù ordinò ai discepoli innanzitutto di non fare nulla ognuno per proprio conto, ma di restare insieme e aspettare il dono dello Spirito Santo. E così si riunisce il piccolo stuolo di credenti insieme a Maria e agli Apostoli che nel frattempo, con la scelta di Mattia, erano tornati ad essere dodici.

Essi sapevano che il loro essere insieme, la loro concordia, era il presupposto della Pentecoste. E sapevano che presupposto della concordia era a sua volta la preghiera, perché solo la preghiera, e non la più raffinata tecnica psicologica, può liberare in noi quel principio interiore per cui veniamo in contatto uno con l'altro e in cui troviamo indulgenza reciproca.

La concordia è condizione del dono dello Spirito Santo e la preghiera è condizione della concordia. Ma lo è anche un'altra condizione che abbiamo ascoltato: l'essere vigili in attesa del Signore; vi appartiene. E proprio su questo punto mi sembra che la Chiesa nel nostro tempo abbia ancora qualcosa da imparare.

C'è davvero una grande attività nella Chiesa di oggi, un'operosità che coinvolge gli uomini ai limiti delle loro forze e spesso anche oltre.

Ma di quel silenzioso soffermarsi sulla parola di Dio, in cui il nostro volere e il nostro agire si distendono, e proprio in questo modo diventano liberi e fecondi, ce n'è ormai appena. Certo, il Signore ha bisogno della nostra opera e della nostra devozione; ma noi abbiamo bisogno della sua presenza. Dobbiamo imparare di nuovo il coraggio dell'inazione e l'umiltà dell'attesa della parola.

Perché molto spesso qualche ora ad ascoltare in silenzio la parola di Dio farebbe meglio che non tutti i convegni, le riunioni e le discussioni; e un momento di preghiera sarebbe più fruttuoso di una pila di documenti.

Si ha talvolta l'impressione che, dietro la crescente frenesia della nostra attività, stia la sfiducia nei confronti della forza di Dio; e dietro il moltiplicarsi del nostro fare, un indebolimento della nostra fede, mentre in fondo abbiamo fiducia solo in ciò che noi stessi concludiamo e realizziamo. Ma noi non operiamo solo attraverso ciò che facciamo, non meno che attraverso ciò che siamo, se siamo maturi e liberi e ci realizziamo ponendo le radici del nostro essere nel fecondo silenzio di Dio.

Nella lettura di oggi, lo Spirito Santo è rappresentato soprattutto da due immagini: quella della tempesta e quella del fuoco.

La tempesta è innanzitutto espressione di potenza – per il mondo antico un segno della potenza divina, che fa roteare il mondo e muove le stelle come fossero granelli di sabbia. Ma in questa immagine della tempesta si nasconde anche un secondo significato; essa è infatti anche espressione di uno dei quattro elementi – l'aria, che distingue la nostra Terra da tutti gli altri astri e ne fa la stella della vita. Solo dov'è l'aria, hanno senso i polmoni, solo dov'è l'aria si può respirare e esserci la vita. Ciò che significa per la vita biologica il misterioso elemento dell'aria, è ciò che il Sacro, lo Spirito Santo, significa per ciascuno spirito. Solo dove si respira può sussistere l'essere umano, l'umanità, e lo spirito vivere davvero. Oggi sui giornali si parla molto dell'inquinamento atmosferico prodotto dalla nostra civiltà; e nelle nostre città e possiamo rendercene conto in prima persona, insieme all'aria, elemento vitale, inspiriamo anche i veleni che distruggono la vita. Ma dell'inquinamento spirituale, che distrugge l'atmosfera in cui può vivere lo spirito, non si parla; e l'avvelenamento del cuore e dello spirito, è assai più allarmante dei mali causati dall'inquinamento atmosferico. Oggi si assiste di frequente anche a disturbi di comportamento nei bambini che non possono respirare quell'amore che è l'elemento originario di cui l'uomo ha bisogno per crescere ed esistere. Che nel mondo occidentale film pieni di violenza e di disprezzo nei confronti dell'uomo appaiano cose normali, è segno di come ormai siamo abituati a infangare l'uomo, a schernire e calpestare la sua alta dignità. Ci diciamo che anche questa è libertà. Ma che sia diventato abituale considerare normali la crudeltà e il conculcare la dignità umana e che ci costruiamo perciò bei pretesti ideologici, non cambia di nulla il fatto che l'atmosfera spirituale che siamo costretti a respirare ne sia avvelenata.

Certo, porre divieti laddove è dall'interno che la dignità umana non viene protetta contro questi abusi è assurdo. Ma tanto più in quanto cristiani dobbiamo considerare come nostra missione lo sforzo per purificare l'aria dello Spirito Santo, per contrastare l'inquinamento spirituale e per creare nella comunità dei credenti oasi di respiro e di sollievo per il cuore e per l'anima.
La seconda immagine usata nella lettura odierna per lo Spirito Santo è il fuoco. Se nel mondo antico l'aria appariva come l'elemento fondamentale della vita, il fuoco era ciò su cui si basava la civiltà; era dunque il presupposto perché noi stessi potessimo coltivare, manipolare e trasformare la terra. Il fuoco è luce, calore, movimento, potere di trasformazione. Ma nello stesso tempo, quando cade fuori dal nostro controllo, è elemento di distruzione, di rovina. Nel mondo antico era considerato una parte del sole, l'elemento della potenza divina. Che l'uomo possa disporne l'ha portato a considerarsi simile a Dio. Il mondo greco ha creato il mito di Prometeo, che combatte contro gli dei, ruba il fuoco dal cielo, lo porta sulla terra e dà inizio a un nuovo mondo. Goethe ha messo in versi questo pathos nelle parole scandalose del suo Prometeo: "Io sto qui e creo uomini / a mia immagine e somiglianza, / una stirpe simile a me, / fatta per soffrire e per piangere, / per godere e gioire / e non curarsi di te, / come me!".

Proprio questo è divenuto il programma della modernità: non voler più essere ad immagine di Dio, ma di noi stessi; conferire a noi stessi il potere sul mondo, non rispettare più il potere di Dio e non aspettarsi nulla da Lui. Ma ora che siamo riusciti a strappare il fuoco al cielo e alla profondità della terra, alla materia degli atomi, ora si apre il problema se la terra non s'incendi, se l'elemento della civiltà e della creatività non si trasformi nelle nostre mani in distruzione ed annientamento.

La Pentecoste ci dice che lo Spirito Santo è il fuoco e che Cristo è il vero Prometeo che ha preso il fuoco dal cielo. Certo, l'uomo deve avere il fuoco, non deve vegetare in un'esistenza oziosa, egli è stato creato per essere simile a Dio; ma questo fuoco che è forza di salvezza non lo porta il titano che mette Dio da parte, ma il Figlio che si espone al fuoco dell'amore e abbatte il muro dell'ostilità, facendo del fuoco un potere di trasformazione, di amore, e rinnovando il mondo.

Il cristianesimo è fuoco, non una faccenda noiosa, un pio profluvio di parole grazie al quale possiamo attaccarci a qualsiasi treno, pur di esserci. Il cristianesimo pretende da noi la passione della fede, che partecipa alla Passione di Cristo e con essa rinnova il mondo.

Muoviamo infine ancora dalle immagini e dai significati dei brani della Pentecoste: lo Spirito Santo vince la paura. I discepoli, che poc'anzi si nascondevano dietro le porte chiuse per timore degli ebrei, i quali avevano crocifisso il loro Signore e avrebbero potuto arrestarli e giustiziarli, escono fuori senza timore e annunciano il messaggio di Cristo Crocifisso, senza alcuna paura, perché sanno di essere nelle mani del più forte.

Una volta lessi che un prete, che aveva potuto trascorrere qualche tempo in una regione dell'Africa che era appena venuta in contatto con il cristianesimo e con la civiltà europea, ebbe a dire che la cosa che più lo colpì e commosse di quell'esperienza fu il terrore paralizzante che dominava interamente la vita di questi uomini, il segno distintivo del paganesimo in cui l'unico Dio non si è ancora manifestato. Essi temevano gli spiriti dei morti, gli spiriti sconosciuti e l'imprevedibilità degli spiriti sconosciuti. La vita intera è un calcolo basato sulla paura, sulla possibilità di scampare a forze ostili di fronte alle quali l'uomo è quasi inerme. Lo Spirito, ripetiamolo, vince la Paura, ogni paura!

Il mondo dello Spirito Santo non è segnato da spiriti e forze sconosciuti, bensì dallo Spirito che è amore e in quanto amore è onnipotenza. Perciò l'assenza di timore è il segno dello Spirito Santo, che ci mette nelle mani dell'amore onnipotente. Perciò anche la fede, se integra, può fronteggiare senza timore le forze del mondo, in quanto si sa guidata e protetta da colui che, più forte, ha legato l'uomo forte ("Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte: allora ne saccheggerà la casa". Mc 3,27). E non è, come si vorrebbe far credere, che in un mondo in cui la fede si fa definitivamente da parte sorgono finalmente la pura ragione e la pura temerarietà. Dove la fede viene meno, l'uomo necessariamente ricomincia a temere le forze sconosciute del destino, del futuro, della natura, che egli non si può scongiurare, ma solo Colui che le ha create e che le guida.

Preghiamo dunque in questo giorno di Pentecoste che lo Spirito Santo discenda su di noi e rinnovi la faccia della terra. Amen!

domenica 24 maggio 2015

Preghiera allo Spirito Santo (Sant'Isidoro di Siviglia)


Preghiera allo Spirito Santo (Sant'Isidoro di Siviglia)  
Siamo qui dinanzi a te, o Spirito Santo;
sentiamo il peso delle nostre debolezze,
ma siamo tutti riuniti del tuo nome;
vieni a noi, assistici, vieni nei nostri cuori;
insegnaci tu ciò che dobbiamo fare,
mostraci tu il cammino da seguire,
compi tu stesso quanto da noi richiesto.
Sii tu solo a suggerire e a guidare le nostre decisioni,
perché tu solo, con Dio Padre e con il Figlio suo, hai un nome santo e glorioso;
non permettere che sia lesa da noi la giustizia, tu che ami l’ordine e la pace;
non ci faccia sviare l’ignoranza;
non ci renda parziali l’umana simpatia, non ci influenzino cariche e persone;
tienici stretti a te e in nulla ci distogliamo dalla verità;
fa’ che riuniti nel tuo santo nome, s
appiamo contemperare bontà e fermezza insieme,
così da fare tutto in armonia con te,
nell’attesa che per il fedele compimento del dovere
ci siano dati in futuro i beni eterni. Amen.

venerdì 22 maggio 2015

il credo Niceno Costantinopolitano Ogni tanto fa bene farne memoria




Credo in un solo Dio Padre, onnipotente Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
E in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli; Luce da Luce, Dio vero da Dio vero; generato, non creato; consustanziale al Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create.
Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo. Fu pure crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, e patì e fu sepolto e il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture. È salito al cielo e siede alla destra del Padre. E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti: e il suo regno non avrà fine.
E nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato: e ha parlato per mezzo dei profeti.
In una, santa, cattolica e apostolica Chiesa.
Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.
Aspetto la resurrezione dei morti e la vita dell'era ventura.
Amìn.

sabato 16 maggio 2015

Sant'Agostino OMELIA 44 Guarigione di un cieco nato.






Sant'Agostino OMELIA 44

Guarigione di un cieco nato.


Domanda a uno: Sei cristiano? Se è pagano o giudeo ti risponderà di no; ma se ti risponderà di sì, domandagli ancora: Sei catecumeno o fedele? Se ti risponde che è catecumeno, vuol dire che i suoi occhi sono stati spalmati di fango, ma che ancora non è stato lavato. In che senso gli sono stati spalmati gli occhi di fango? Domandaglielo e te lo dirà. Domandagli in chi crede, ed egli, per il fatto che è catecumeno, dirà: In Cristo. Io sto parlando ora a dei fedeli e a dei catecumeni. Cosa ho detto a proposito della saliva e del fango? Che il Verbo si fece carne. Ciò è noto anche ai catecumeni. Non è sufficiente che i loro occhi siano stati spalmati di fango; si affrettino a lavarsi, se vogliono vedere.


giovedì 14 maggio 2015

San Massimo di Torino -Da Pasqua verso l'Ascensione



Dai «Discorsi» di san Massimo di Torino, vescovo (Disc. 53, 1-2. 4;
CCL 23, 214-216)

La risurrezione di Cristo apre l'inferno. I neofiti della Chiesa
rinnovano la terra. Lo Spirito Santo dischiude i cieli. L'inferno,
ormai spalancato, restituisce i morti. La terra rinnovata rifiorisce
dei suoi risorti. Il cielo dischiuso accoglie quanti vi salgono.
Anche il ladrone entra in paradiso, mentre i corpi dei santi fanno
il loro ingresso nella santa città. I morti ritornano tra i vivi;
tutti gli elementi, in virtù della risurrezione di Cristo, si
elevano a maggiore dignità.
L'inferno restituisce al paradiso quanti teneva prigionieri. La
terra invia al cielo quanti nascondeva nelle sue viscere. Il cielo
presenta al Signore tutti quelli che ospita. In virtù dell'unica ed
identica passione del Signore l'anima risale dagli abissi, viene
liberata dalla terra e collocata nei cieli.
La risurrezione di Cristo infatti è vita per i defunti, perdono per
i peccatori, gloria per i santi. Davide invita, perciò, ogni
creatura e rallegrarsi per la risurrezione di Cristo, esortando
tutti a gioire grandemente nel giorno del Signore.
La luce di Cristo è giorno senza notte, giorno che non conosce
tramonto. Che poi questo giorno sai Cristo, lo dice l'Apostolo: «La
notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rm 13, 12). Dice: «avanzata»;
non dice che debba ancora venire, per farti comprendere che quando
Cristo ti illumina con la sua luce, devi allontanare da te le
tenebre del diavolo, troncare l'oscura catena del peccato, dissipare
con questa luce le caligini di un tempo e soffocare in te gli
stimoli delittuosi.
Questo giorno è lo stesso Figlio, su cui il Padre, che è giorno
senza principio, fa splendere il sole della sua divinità.
Dirò anzi che egli stesso è quel giorno che ha parlato per mezzo di
Salomone: «Io ho fatto sì che spuntasse in cielo una luce che non
viene meno» (Sir 24, 6 volg.). Come dunque al giorno del cielo non
segue la notte, così le tenebre del peccato non possono far seguito
alla giustizia di Cristo. Il giorno del cielo infatti risplende in
eterno, la sua luce abbagliante non può venire sopraffatta da alcuna
oscurità. Altrettanto deve dirsi della luce di Cristo che sempre
risplende nel suo radioso fulgore senza poter essere ostacolata da
caligine alcuna. Ben a ragione l'evangelista Giovanni dice: La luce
brilla nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta (cfr. Gv
1, 5).
Pertanto, fratelli, tutti dobbiamo rallegrarci in questo santo
giorno. Nessuno deve sottrarsi alla letizia comune a motivo dei
peccati che ancora gravano sulla sua coscienza. Nessuno sia
trattenuto dal partecipare alle preghiere comuni a causa dei gravi
peccati che ancora lo opprimono. Sebbene peccatore, in questo giorno
nessuno deve disperare del perdono. Abbiamo infatti una prova non
piccola: se il ladro ha ottenuto il paradiso, perché non dovrebbe
ottenere perdono il cristiano?




sabato 9 maggio 2015

10 MAGGIO SANTI FRATELLI ALFIO,FILADELFO E CIRINO, MARTIRI A LENTINI Canone del tono IV ( senza acrostico) Di San Bartolomeo il Giovane da Rossano




10 MAGGIO
 
SANTI FRATELLI ALFIO,FILADELFO E CIRINO, MARTIRI A LENTINI
 
 
 
Canone del tono IV ( senza acrostico)
 Di San Bartolomeo il Giovane  da Rossano
 
 
ODE  I
 
O gloriosissima triade di SS. Martiri, voi illuminati dalla triluce solare  ( della SS. Trinità)
 diradate  la folta nebbia delle mie passioni e fugate le tenebre della mia ignoranza.
 
  Voi appariste quali astri dalle molti luci per fugare le tenebre  dell'ateismo, o Beatissimi (   Servi) di Dio, poichè annunziaste  dinanzi ai dominatori  della terra il grande Nome di Cristo.
 
   Disseccando, o Martiri invitti, con le effusioni copiose  del vostro sangue  l'abisso corruttore  delle anime, il culto bugiardo degli idoli,  voi fosti nella chiesa di Cristo come una fonte  di divine guarigioni.
 
 
Theot. : Orsù inneggiamo tutti alla Tuttasanta  Maria, Lei che sola è l'ornamento dell'umanità, poichè generò il Dio Incarnato, rimanendo pur tuttavia Vergine incorrotta.

 
 
 
ODE III
 
 
La bellissima terna dei Martiri Fratelli apparve come tre germogli di una gloriosa radice, che fiorirono e maturarono il frutto vago del martirio.
 
O degnissimi di ogni lode, Voi condotti al macello  come agnelli del Buon Pastore  Cristo, diveniste vittime gradite alla Mensa Celeste.
 
Coll’aver sofferto per amor di Cristo  ogni sorta  di tormenti foste fatti degni di guarire i
dolori delle anime nostre .
 
 
Theoth. : Il potere della morte, che aveva signoreggiato fino alla tua comparsa, O Tuttasanta, fu distrutto quando cozzò contro il tuo Figlio, per cui noi giustamente Ti celebriamo  come il principio della nostra nostra immortr
alità
 
 

CATHISMA  DEL TONO IV

 
 
 
Voi, o SS. Martiri, brillaste nel firmamento della Chiesa Cristo come stelle risplendenti della luce della divina Sapienza, per cui vi preghiamo di fugare da noi, che che celebriamo  con fede la santissima ed insigne vostra memoria, la nebbia delle passioni e le tenebre del peccato.
 
 
 

ODE IV

 
 
 
Quanto sono belli i piedi dei SS Martiri, poiché essi sono infilzati in calzari di ferro e battono la via dei comandamenti  di Cristo. Degnamente, come meritano, onoriamoli.

   Carichi el peso della croce e dei tormenti subiti, e reputando ad onore l’ignominiosa rasatura  della testa, i Martiri ad alta voce esclamano: noi, o Signore, corriamo la via del tuo Martirio.

    Dopo aver attraversato, senza essere sommersi, il fiume dell’empietà , o beati, col vostro prezioso sangue  ne sottometteste  i campioni difensori, gridando: a Dio sia gloria.

    Voi fioriste nel giardino dei Martiri come rose di divina pietà mandando ovunque un divino profumo, o celebratissimi Martiri, e spezzando il fetore  degli idoli bugiardi
 
 
Theotok:  verginalmente partoristi, o Vergine, e dopo il parto rimani vergine; per cui con voci incessanti e con lode incoccussa, a te, o Signora, gridiamo Gioisci 
 
 
 
 

ODE V

 
 
 
Mossa dall’amore per Te, o Salvatore , la triade dei Martiri ebbe in odio l’empio errore  dei molti idoli bugiardi e Ti annunziò vero Dio

   O Santi Giovanetti, o vittime a Dio gradite, o Santi Filadelfo, Cirino e Alfio, pregate dio perché siamo salvi.

    O triluce lampada, o trono abitacolo santissimo della Trinità, o belli campioni di Cristo, liberateci dai pericoli.

     L’arena dei vostri numerosi combattimenti fiorì e fruttificò un’abbondante messe ed una grande moltitudine di Santi Martiri, che versarono il sangue  per Cristo.
 
 
Theotok.: In Te, o Santissima Madre di Dio, noi poniamo a nostra difesa un’arma invincibile contro i nostri nemici; in Te possediamo l’àncora e la speranza della nostra salvezza
 
 
 
 

ODE VI

 
 
Illuminati dai dardeggianti raggi dei vostri prodigi, o Combattenti , coloro che senza la legge  erano schiavi dell’ombra  della legge, abbracciarono la luce della grazia

    Per mezzo dei patimenti e della morte, serbando vergine dalle passioni l’anima vostra, voi presentaste per dono a Cristo la veneranda vergine Eutalia insieme con Epifania.

    La morte del SS. Martiri fu preziosa davanti al Signore, tanto che, benchè morti, si offrono a noi viventi, e liberano i fedeli da terribili mali.

    Alfio ed insieme Cirillo e Filadelfo, il bellissimi Martiri, astri splendenti della Chiesa, illuminano il mondo coi raggi dei loro prodigi.
 
 
Theotok.: O prodigio, il più inaudito dei prodigi! Ecco che una Vergine concepisce  verginalmente nel suo seno Colui che contiene l’universo, e non va soggetta a ristrettezza di spazio.
 
 
 

ODE  VII

 
 
Il  vile persecutore  straziato nel profondo abisso del suo cuore, fece gettare in un pozzo profondo  e disseccato i corpi dei Martiri da lui uccisi, ma il Signore li assunse  per farli abitare seco nella celeste dimora.

    Con la gloria del martirio gli ispirati giovinetti ricevettero dall’Altissimo Dio il dono della fortezza, dimostrando anche con segni meravigliosi il vincolo della loro fratellanza.

    Dopo che i santi giovinetti ebbero consumato il loro martirio , la veneranda Tecla e la saggia Giustina  con sollecitudine ne presero seco i corpi e li seppellirono  con ogni magnificenza là, dove aveva la dimora  l’incontaminata gente dei viventi.
 
 
Theotok.: Salve, o Tabernacolo santificato dall’Altissimo, poiché per mezzo tuo, o Madre di Dio, è donata la grazia a noi, che a Te acclamiamo: benedetta sei Tu tra le donne, o TuttaSanta 
 
 

ODE VIII

 
 
O Martiri insigni, voi, armate le vostre pure mani  con le teribili spade ricevute dalla grazia di Dio, virilmente rendeste vani e rintuzzaste la bocca, gli omeri ed il cuore dell’impuro tiranno, gridando: opere tutte del Signore, benedite il Signore.

     Prima della fine Alfio si era mostrato mite, imitando la mansuetudine di Cristo, ma ora diventò terribile al nemico; rivestito infatti della tremenda potenza di Dio, mise ignominiosamente a tacere la bocca intemperante  e gonfia di superbia di lui, così che più non si gloriasse senza misura.

    Tertullo, l’ordinatore di insidie, dimostrò con cuore duro nel tormentare duramente  l’erede di Cristo, ma ne fu punito senza rimedio, perché ebbe a trovare  un deciso avversario in Filadelfo, che distrusse e mandò a vuoto gli insidiosi suoi piani di guerra contro i Martiri.
 
 
Theotok.: Avendo generato realmente Dio, o Purissima, tu realmente sei madre di Dio, poiché Tu hai, per riguardo del tuo Figlio, una dignità divina; per cui noi fedeli, o Tuttasanta  Signora, Ti glorifichiamo con vera fede qual Madre di Dio.
 
 
 

ODE IX

 
 
Con la tua vivificante ispirazione, o Alfio, tu attiri a celebrare  la memoria gioiosa del giorno della tua dipartita coloro che se ne astengono, mentre li liberi dalla seduzione della colpa.

    Serbando, o Filadelfo, di proposito l’affezione fraterna verso il prossimo, ed avendo ricevuto giustamente in ricompensa dei tuoi travagli la potente confidenza  presso il Divin Giudice, rendiLo a noi propizio con le tue preghiere.

    Mirabile anche agli Angeli fu la tua pazienza nei tormenti, o Cirino, e potente il tuo influsso nell’attirare gli altri al culto del vero Dio, e perciò noi ti chiamiamo  beato qual servo caro al Signore.

    Tutta la vostra energia, o SS. Martiri, fu da voi impegnata nel dominare le passioni irrazionali. Deh! Con la vostra carità proteggete dal cielo noi, che siamo stati mossi da vera dilazione a cantare le vostre lodi.
 
 
Theotok.:  O Vergine Madre di Dio, Che sola hai generato la Fonte della Misericordia, sciogli ora le catene dei miei falli e riempimi , o Beatissima, di gioia,  affinchè io Ti magnifichi.





Saints ALPHUS, PHILADELPHE, CYPRIN (CYRIN), ONESIME, ERASME et leurs QUATORZE compagnons, martyrs en Sicile sous Dèce (250 ou 251). 

http://oca.org/saints/lives/2014/05/10/101339-martyr-philadelphus-and-18-others-in-sicily

SANTI ALFIO, FILADELFO E CIRINO, FRATELLI MARTIRI


Le notizie che possediamo sulla vita e sul martirio dei tre fratelli, Alfio, Filadelfo e Cirino, il cui culto è molto diffuso in quasi tutta la Sicilia Orientale fin dall'alto medioevo, sono tutte contenute in un documento, che gli studiosi delle vite dei Santi fanno risalire al secondo decennio della seconda metà del secolo X, al 960 circa: si tratta di una lunga e minuziosa narrazione scritta da un monaco, certamente orientale , di nome proprio Basilio, e con verosimiglianza a Lentini in provincia di Siracusa, come si evince dalla precisa indicazione dei luoghi, delle tradizioni e dei costumi della comunità là esistente. Il manoscritto, che si compone di più parti, alla fine della terza parte si chiude con questo periodo, ovviamente in greco: "Con l'aiuto di Dio venne a fine il libro dei SS. Alfio, Filadelfo e Cirino, scritto per mano del monaco Basilio". Il prezioso scritto si conserva nella Biblioteca Vaticana, segnato col numero 1591, proveniente dal monastero di Grottaferrata, nei pressi di Roma. 
Secondo il manoscritto citato i nostri Santi hanno subito il martirio nella persecuzione di Valeriano e precisamente nel 253.I tre fratelli sono nati a Vaste, in provincia di Lecce, il padre Vitale apparteneva a famiglia patrizia e la madre, Benedetta, affrontò direttamente e spontaneamente l'autorità imperiale per manifestare la propria fede e sottoporsi al martirio. Il prefetto Nigellione, giunto a Vaste per indagare sulla presenza di cristiani, compie i primi interrogatori e, viste la costanza e la fermezza dei tre fratelli, decide di inviarli a Roma insieme con Onesimo, loro maestro, Erasmo, loro cugino, ed altri quattordici. Da Roma, dopo i primi supplizi, vengono mandati a Pozzuoli, dal prefetto Diomede, il quale sottopone alla pena di morte Erasmo, Onesimo e gli altri quattordici e invia i tre fratelli in Sicilia da Tertullo, a Taormina; qui vengono interrogati e tormentati e poi mandati a Lentini, sede ordinaria del prefetto, con l'ordine che il viaggio sia compiuto con una grossa trave sulle spalle. I tre giovani sono liberati dalla trave da una forte tempesta di vento; passano da Catania, dove vengono rinchiusi in una prigione, che ancora oggi è indicata con la scritta "Sanctorum Martyrum Alphii Philadelphi et Cyrini carcer", in una cripta sotto la chiesa dei Minoritelli; in questo viaggio, secondo un'antica tradizione molto diffusa, confortata peraltro da un culto mai interrotto, sono passati per Trecastagni, perché la normale via lungo la costa era impraticabile a causa di una eruzione dell'Etna. Nel cammino da Catania a Lentini avvengono vari prodigi e conversioni: si convertono addirittura i venti soldati di scorta e il loro capo Mercurio, che Tertullo fa battere aspramente e uccidere. Entrando in Lentini i tre fratelli liberano un bambino ebreo indemoniato e ammalato, convertono alla fede molti ebrei che abitano in quella città e che successivamente sono condannati alla lapidazione. Presentati a Tertullo sono sottoposti prima a lusinghe e poi ad ogni genere di supplizi: pece bollente sul capo rasato, acutissimi chiodi ai calzari, strascinamento per le vie della città sotto continue battiture. Sono prodigiosamente guariti dall'apostolo Andrea e operano ancora miracoli e guarigioni fino a quando Tertullo non ordina che siano sottoposti al supplizio finale: Alfio con lo strappo della lingua, Filadelfo posto su una graticola rovente e Cirino immerso in una caldaia di pece bollente. I loro corpi, trascinati in un luogo detto Strobilio vicino alle case di Tecla e Giustina, e gettati in un pozzo, ricevono dalle pie donne sepoltura in una grotta, ove in seguito viene edificata una chiesa.

http://www.santiebeati.it/dettaglio/90308