Un giorno, sempre a Iona, Columba chiama un fratello e gli dice: «La mattina del terzo giorno da questa data devi sederti e aspettare sulla costa dal lato occidentale di quest’isola, perché una gru, che è straniera in queste regioni settentrionali ed è stata spinta qui dai venti, verrà, stanca e affaticata, dopo l’ora nona, e si coricherà davanti a te sulla spiaggia, completamente esausta». Pertanto Columba incarica il monaco di trovare un ricovero adatto, dove l’animale (che il santo sa essere irlandese, conterraneo), nutrito, possa riprendersi e poi ripartire. Naturalmente, «come il santo aveva predetto, così avvenne». La gru arriva, stremata, viene raccolta («dolcemente»), curata, sfamata; infine si riprende e il terzo giorno (!) si alza in volo e «diresse la sua corsa attraverso il mare fino all’Irlanda, andando sempre dritto, come si vola in una giornata tranquilla».
giovedì 20 novembre 2025
domenica 31 agosto 2025
Fabrizio De André -Fiume Sand Creek
Questo brano fa parte dell'album "Fabrizio De Andrè", pubblicato nel 1981.
La canzone narra del massacro di Sand Creek (chiamato anche massacro di Chivington o battaglia di Sand Creek) che si verificò il 29 novembre 1864, nell'ambito dei più vasti eventi della guerra del Colorado e delle guerre indiane negli Stati Uniti d'America.
Un accampamento di circa 600 nativi americani membri delle tribù Cheyenne meridionali e Arapaho, situato in un'ansa del fiume Big Sandy Creek (oggi nella Contea di Kiowa nella parte orientale dello Stato del Colorado), fu attaccato da 700 soldati della milizia statale comandati dal colonnello John Chivington, a dispetto dei vari trattati di pace firmati dai capi tribù locali con il governo statunitense. Visto lo scarso numero di guerrieri armati e capaci di difendersi presenti nel campo, l'attacco dei soldati si tradusse in un massacro indiscriminato di donne e bambini, con un numero di morti tra i nativi stimato tra le 125 e le 175 vittime (oltre ad altri 24 morti e 52 feriti tra gli stessi militari attaccanti); come riferito da molti testimoni oculari, i corpi dei nativi uccisi furono scalpati e in molti casi ripetutamente mutilati da parte dei soldati.
Inizialmente dipinti come una "vittoriosa battaglia" contro nativi ribelli, i fatti di Sand Creek furono poi oggetto di varie investigazioni da parte dell'Esercito statunitense e del Congresso, le quali espressero un severo giudizio sull'operato di Chivington e dei suoi uomini; a dispetto di ciò, tuttavia, nessuna misura punitiva fu presa nei confronti di alcuno dei partecipanti al massacro. I fatti di Sand Creek provocarono attacchi di rappresaglia da parte dei nativi contro gli insediamenti degli invasori europei, nonché un esodo di massa delle tribù native dal Colorado orientale.
***
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di vent'anni
occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent'anni
figlio d'un temporale
c'è un dollaro d'argento sul fondo del Sand Creek.
I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte
e quella musica distante diventò sempre più forte
chiusi gli occhi per tre volte
mi ritrovai ancora lì
chiesi a mio nonno è solo un sogno
mio nonno disse sì
a volte i pesci cantano sul fondo del Sand Creek
Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso
il lampo in un orecchio nell'altro il paradiso
le lacrime più piccole
le lacrime più grosse
quando l'albero della neve
fiorì di stelle rosse
ora i bambini dormono nell letto del Sand Creek
Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte
c'erano solo cani e fumo e tende capovolte
tirai una freccia in cielo
per farlo respirare
tirai una freccia al vento
per farlo sanguinare
la terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di vent'anni
occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent'anni
figlio d'un temporale
ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek.
https://www.youtube.com/watch?v=PXhYK4j2d84&t=1s
All'alba del 29 novembre 1864, il colonnello Chivington fece circondare l'accampamento e, nonostante gli accordi presi in precedenza con gli indiani, comandò l'attacco contro una popolazione inerme che quasi niente fece per reagire. Gli uomini vennero scalpati e orrendamente mutilati, i bambini usati per un macabro tiro al bersaglio, le donne oltraggiate e uccise.
Si racconta inoltre che, appena uditi i colpi dei primi proiettili, il capo della tribù issò una bandiera americana e un vessillo bianco per segnalare agli aggressori che gli indiani non intendevano difendersi. Tale gesto venne completamente ignorato da Chivington e dai suoi uomini che continuarono il massacro.
Questo infame avvenimento costrinse il Congresso ad aprire una inchiesta (1865). I colpevoli non furono però mai puniti e la strage non venne ufficialmente condannata. L'episodio innescò dodici anni di Guerre Indiane che ebbero il loro culmine con l'uccisione del generale George A. Custer a Little Big Horn.
Dopo 136 anni, nel 2000, il congresso americano si scusò con gli indiani per il terribile massacro. Sul luogo della strage verrà posta una lapide per commemorare le vittime.
sabato 30 agosto 2025
Giorgio Gaber. Far finta di essere sani
Vivere, non riesco a vivere
ma la mente mi autorizza a credere
che una storia mia, positiva o no
è qualcosa che sta dentro la realtà.
Nel dubbio mi compro una moto
telaio e manubrio cromato
con tanti pistoni, bottoni e accessori più strani
far finta di essere sani.
Far finta di essere insieme a una donna normale
che riesce anche ad esser fedele
comprando sottane, collane, creme per mani
far finta di essere sani.
Far finta di essere...
Liberi, sentirsi liberi
forse per un attimo è possibile
ma che senso ha se è cosciente in me
la misura della mia inutilità.
Per ora rimando il suicidio
e faccio un gruppo di studio
le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani
far finta di essere sani.
Far finta di essere un uomo con tanta energia
che va a realizzarsi in India o in Turchia
il suo salvataggio è un viaggio in luoghi lontani
far finta di essere sani. Far finta di essere...
Vanno, tutte le coppie vanno
vanno la mano nella mano
vanno, anche le cose vanno
vanno, migliorano piano piano
le fabbriche, gli ospedali
le autostrade, gli asili comunali
e vedo bambini cantare
in fila li portano al mare
non sanno se ridere o piangere
batton le mani.
Far finta di essere sani.
Far finta di essere sani.
Far finta di essere sani
https://www.youtube.com/watch?v=-cGMRHkv458
https://www.giorgiogaber.org/archivio/index.php-44.htm?page=s_far-finta-di-essere-sani
martedì 3 giugno 2025
“Cuore in cellla” un libro che racconta una storia dove tante possono specchiarsi ma anche tanti uomini veri
La prima volta che entri in carcere non la dimentichi più…
Un ragazzo si è tagliato le braccia con una lametta.
Non per morire.
Per sentirsi.
Perché a un certo punto, lì dentro, anche il dolore diventa un modo per ricordarti che sei vivo.
Le ferite erano linee rosse sottili, parallele, precise.
Come se avesse scritto qualcosa.
Un codice segreto inciso sulla pelle.
Un messaggio al mondo:
“Guardami.”
Lo guardo.
Ha diciotto anni.
Nessuno viene a trovarlo. Nessuno lo chiama.
Ha una madre tossica, un padre in carcere.
Ogni tanto ride, ma solo con i denti. Gli occhi sono vuoti.
Dice di star bene, ma nel frattempo nasconde pezzi di vetro sotto al materasso.
Farfuglia qualcosa in arabo, non sa che lo capisco.
Conosco un po’ l’arabo perché me lo hanno insegnato i miei amici alle scalette di via Marsala,
ma faccio finta di non capire.
E mentre un altro parla, io non respiro.
Non posso.
Perché in quei racconti non c’è aria.
Solo umidità e ruggine.
⸻
Il primo giorno che entro in carcere non è l’inizio di un progetto.
È un crollo.
Un’invasione.
È come se avessi scavalcato un confine invisibile tra i vivi e i dimenticati.
E lo sanno bene tutte le donne, le madri, le figlie e le sorelle che vanno ai colloqui.
Questa non è la realtà patinata di Mare Fuori che ci propinano le serie TV.
Questa è la realtà cruda che ho vissuto lì dentro.
I detenuti, quelli veri, non sono come nei film.
Non sono tutti tatuati, palestrati, minacciosi.
Ce n’è uno magrissimo, con un libro di Bukowski.
Uno con la kefiah legata al braccio.
Uno che parla con le formiche.
Poi ci sono quelli che dettano legge.
Ma in silenzio.
Basta un sopracciglio alzato per far abbassare lo sguardo agli altri.
——
Avevo creato questo progetto di volontariato in carcere per rivedere Hamza.
Un corso di rap, una proposta ufficiale, notti passate a scrivere piani didattici per i detenuti.
Tutto solo per poter rivedere il mio migliore amico.
L’unico uomo che, nella mia vita, mi abbia mai portato rispetto senza chiedere niente in cambio.
Ma quando entro… Hamza non c’è.
Non lo trovo.
Non lo nominano.
E io non oso chiedere.
Perché in carcere il silenzio è la forma più diffusa di protezione.
⸻
Il primo cancello si apre come una porta all’inferno.
Un gemito di ferro.
Una resa.
E io non sono più una libera.
Sono un corpo in prestito.
Lì dentro la luce non scalda.
Ti brucia.
È bianca, sparata in faccia.
Ti espone.
Ti ispeziona.
Come se anche il neon volesse sapere da che parte stai.
Mi aspettavo le sbarre, i muri scrostati, i passi lenti.
Ma il carcere non è una scenografia. È un ecosistema.
Un mondo parallelo in cui tutto si contrae: lo spazio, il tempo, la dignità.
I corridoi odorano di candeggina, urina, paura.
Sudore vecchio.
Sogni rotti.
Chi lavora in carcere impara presto a spegnere le parole,
come si spengono le sigarette nei cessi rotti.
Cammino.
Conta dei passi: 37.
Sono i primi metri di mondo che non mi appartengono.
Dietro di me, il vuoto.
Davanti a me, un’umanità compressa come tabacco da contrabbando.
La guardia mi guarda storto.
«Se un detenuto ti fissa, non ricambiare lo sguardo.
E non dare pile a nessuno, se le ingoiano per andare in ospedale.»
Sorrido lo stesso a un ragazzo che passa con le manette, la guardia e il suo avvocato affianco.
Perché nella vita mi è stato tolto tutto, ma non la voglia di sorridere.
Lui ricambia.
È come se avessi acceso una sigaretta in una stanza piena di gas.
Mi chiamano “Miss”.
Ma mi danno del lei, i detenuti.
Per rispetto.
E io li chiamo tutti “bro”, perché è per un bro che sono qui.
Ed in quel momento si sciolgono, perché sentono che forse, lì dentro, c’è una sorella.
Mi chiedono da dove vengo.
Non vogliono sapere la città.
Vogliono la mia storia.
Perché in carcere o sei vera, o sei fottuta.
E io sono vera.
Vera come la rabbia che sento quando vedo uno di loro accarezzare una foto accartocciata.
Vera come le rime scritte sui fogli strappati dal libretto delle istruzioni della lavatrice.
⸻
E allora la vedi, la verità.
Uno ha i denti mangiati dal metadone.
Uno si è cucito la bocca con ago e filo da cucito.
Uno dorme con le scarpe perché ha paura che lo sveglino a calci.
Uno mi mostra la foto del figlio, ma non sa se è ancora vivo.
Tra di loro c’è un assassino.
Me lo dice lui, senza mezzi termini.
Gli altri lo evitano, lo temono, è evidente.
Il mio compito lì non è giudicare — lo so —
ma una parte di me in quel momento si incrina.
Crepe sottili, invisibili agli altri, ma profonde.
Dicono che dalle crepe entri la luce.
Spero arrivi presto.
I suoi occhi hanno qualcosa in comune con quelli di mio marito.
Non il colore.
Ma il modo in cui guardano.
Come se ti stessero sempre sfidando a dimostrare il contrario.
Mi destabilizza.
Eppure è uno dei più coinvolti al corso.
È anche uno dei più talentuosi.
Scrive rime come se gli servissero per respirare.
Poi ne arriva un altro.
E lui… non è come gli altri.
Si fa chiamare “Double F”.
Succede qualcosa al mio cuore.
Una vibrazione, una risonanza profonda, inspiegabile.
È come se lo conoscessi da sempre.
E allo stesso tempo… non so nulla di lui.
Arriva Ava.
Maglietta dell’Inter, sorriso gigante, due occhi blu che sembrano il mare quando il mare è felice.
Si affaccia nella stanza con l’aria di uno che ha sbagliato pianeta.
“È qui il corso di ballo?”
Lo guardo per un attimo. Ha la faccia da chi non si arrende mai, nemmeno davanti a un equivoco.
“No, fratè, qui insegno rap.”
Lui ci pensa mezzo secondo. Poi sorride di nuovo.
“Mi va bene uguale.”
Scoppio a ridere. “Ok bro, sei dei nostri.”
E tu pensavi di insegnargli a fare rap.
Ma loro ti insegnano la fame.
Quella di voce.
Di contatto.
Di speranza.
⸻
Il carcere non rieduca.
Il carcere sospende.
Ferma la vita come un respiro trattenuto troppo a lungo.
E poi ti lascia lì, a marcire nel tempo.
Il carcere isola.
Incatena.
Deforma.
Non ci sono psicologi per tutti.
Non ci sono progetti per tutti.
Non ci sono possibilità per chi non ha santi né avvocati.
Il carcere è l’arte della sopravvivenza quotidiana.
Togli a un uomo tutto e ti accorgerai che anche la follia ha dei rituali.
Ti spoglia di tutto.
Poi ti specchia.
E ti mostra la versione di te che il mondo ha scartato.
Il rap?
Il rap è solo un pretesto.
Per parlare.
Per piangere senza piangere.
Per dire “ci sono”, anche se nessuno ti sente.
Ti toglie i colori, i rumori, gli odori del mondo.
E ti restituisce versioni peggiori di te stesso.
Più arrabbiate.
Più violente.
Più sole.
Li dentro il tempo è un animale zoppo che si trascina.
Non scorre.
Si ripete.
Uguale.
Ogni ora. Ogni giorno.
Ogni stagione che non puoi sentire sulla pelle.
C’è chi studia.
Per restare sano.
C’è chi scrive lettere che non spedirà mai.
C’è chi si masturba per dimenticare.
Chi si buca per dormire.
Chi fa palestra per non pensare.
Chi canta per sopravvivere.
La mia aula è una stanza spoglia.
Un tavolo.
Delle sedie.
E le storie che portano.
Storie fatte di rapine, cocaina, madri che non ti rispondono più al telefono.
Storie senza finale.
O con un finale già scritto, in fondo al codice penale.
⸻
Uno mi dice:
«Miss, qui dentro o diventi un leone, o diventi carne.»
Lo guardo.
Ha gli occhi vivi.
Ma pieni di graffi.
«Io sono qui per i leoni», gli dico.
«E per quelli che non vogliono diventare carne.»
Un altro si avvicina.
«Miss, hai delle pile?»
«Le vuoi per ingoiarle o per ascoltare musica?»
«Giuro su Allah, per la musica.»
Annuisco.
Giuro anch’io.
Su quello che ho dentro.
Su un bisogno disperato di cambiare almeno una virgola in queste vite sgrammaticate.
⸻
Quella sera torno a casa con gli occhi che bruciano.
Non di pianto.
Di verità.
Perché là dentro ho visto che chi sbaglia paga.
Ma non tutti hanno fatto in tempo a imparare a non sbagliare.
Pensavo di essere entrata per rivedere Hamza.
E invece ho visto il Paese.
Nudo.
Marcio.
Segreto.
Il carcere non è il fondo.
È il ventre.
È dove lo Stato nasconde ciò che non vuole vedere.
È la pancia nera dell’Italia ben vestita.
Dove i mostri non sono quelli che ti raccontano nei telegiornali.
Ma quelli che abbiamo abbandonato da bambini.
E che ora si sono fatti grandi.
Dietro le sbarre.
Con la rabbia tra i denti.
E ancora, un disperato, disperatissimo bisogno d’amore.
Hamza non l’ho visto.
Ma ho visto molto di più.
Niente manette.
Ma catene, sì. Le portano nel cuore.
E io pure.
Siamo più simili di quanto sembri,
solo che le mie catene hanno le chiavi nel cassetto della cucina.
Anche io vivo in una gabbia.
La mia ha lenzuola pulite e vista mare.
Niente sbarre alle finestre.
Ma abbastanza spazio per sentirsi intrappolata lo stesso con un comandante che chiamo con il nome di marito.
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I PADRI/LE MADRI DELLA CHIESA ..meditazioni
lunedì 26 maggio 2025
C’erano un uomo, il suo cavallo e il suo cane”-Il brano che segue è tratto da Il diavolo e la signorina Prym di Paulo Coelho
Paulo Coelho non risulta essere presente in nessun elenco di chiese cristiane come Padre e Dottore della Chiesa/delle Chiese.
Ma in questo blog dedicato ai Padri e alle Madri della Chiesa/delle Chiese pubblico ugualmente il racconto
“C’erano un uomo, il suo cavallo e il suo cane”
mercoledì 21 maggio 2025
Notizie dal deserto ...Arsenio, l'arcivescovo e il magistato importante
L'arcivescovo Teofilo, di beata memoria, venne un giorno con un
magistrato importante dall'abate Arsenio. L'arcivescovo lo interrogò
per ascoltare la sua parola. L'anziano stette un momento in silenzio,
poi disse: « Se vi dico una parola, voi la osserverete? ». Lo
promisero. L'anziano disse allora: « Se voi sentite dire: là sta
Arsenio, non andatevi! ».
venerdì 9 maggio 2025
Contro la ferocia di ogni potere, il mio e il nostro compreso

mercoledì 7 maggio 2025
Notizie dal deserto... Le Rose
Due monaci coltivavano rose. Il primo si perdeva nella contemplazione della bellezza e del profumo delle sue rose. Il secondo tagliava le rose più belle e le donava ai passanti.
"Ma che fai?", lo rimproverava il primo; "come puoi privarti così della gioia e del profumo delle tue rose?".
"Le rose lasciano molto profumo sulle mani di chi le regala!", rispose pacatamente il secondo
mercoledì 23 aprile 2025
dal deserto... prendere su di sè la fatica del proprio vivere e dare ascolto a se stessi
Abba Isaia, monaco all’inizio del XIII secolo, compone un florilegio di storie, detti e insegnamenti tratti dalle raccolte tradizionali dei Padri del deserto:
"Chi è il monaco vero, sincero e saggio? È colui che è riuscito a serbare una cordialità inestinguibile fino al suo ultimo giorno, che con pazienza ha portato fino alla morte il fardello della vita, che ha dato sempre ascolto a se stesso aggiungendo fervore a fervore, fuoco dell’anima a fuoco dell’anima, sforzo a sforzo."
Gli insegnamenti dell’abba Isaia alla beata monaca Teodora, 155, in Meterikon. I detti delle madri del deserto, a cura di L. Coco, traduzione di A. Sivak, Garzanti 2024, p. 168.
lunedì 14 aprile 2025
Non perché ce ne manchino le forze, ma semplicemente perché non sappiamo cosa proporre
giovedì 23 gennaio 2025
la vescova Budde a Trump.
“Mi permetta, signor Presidente, di fare un ultimo appello. Milioni di persone hanno riposto la loro fiducia in Lei e, come ha detto ieri alla nazione, ha sentito la mano provvidenziale di un Dio amorevole. Nel nome del nostro Dio, Le chiedo di avere pietà delle persone nel nostro Paese che ora sono spaventate. Ci sono bambini gay, lesbiche e transgender in famiglie democratiche, repubblicane e indipendenti, alcuni dei quali temono per la propria vita. Le persone responsabili per i nostri raccolti e puliscono i nostri uffici, che lavorano negli allevamenti di pollame e negli stabilimenti di confezionamento della carne, che lavano i piatti dopo che abbiamo mangiato nei ristoranti e lavorano nei turni di notte negli ospedali, potrebbero non essere cittadini o avere i documenti di residenza legale, ma la stragrande maggioranza degli immigrati non sono criminali. Pagano le tasse e sono buoni vicini. Sono membri fedeli delle nostre chiese, moschee, sinagoghe, gurdwara e templi. Le chiedo di avere pietà, signor Presidente, di coloro nelle nostre comunità i cui figli temono che i loro genitori vengano portati via, e di aiutare coloro che fuggono dalle zone di guerra e dalle persecuzioni nelle loro terre a trovare compassione e accoglienza qui. Il nostro Dio ci insegna che dobbiamo essere misericordiosi con lo straniero, perché un tempo eravamo tutti stranieri in questa terra. Che Dio ci possa concedere la forza e il coraggio di onorare la dignità di ogni essere umano, di dire la verità l’uno all’altro con amore e di camminare umilmente l’uno con l’altro e con il nostro Dio, per il bene di tutte le persone, il bene di tutte le persone in questa nazione e nel mondo. Amen”.
domenica 19 gennaio 2025
L'ottimo Pelagio monaco esperto in santa perfidia e sacro spernacchiamento *
Truly you must follow humility, not the kind that is displayed and simulated by bodily gesture or by subduing the utterance of one’s words but that which is expressed in the natural disposition of one’s heart. For it is one thing to pursue the shadow of things, another the reality. The pride which hides beneath outward signs of humility is made much more ugly thereby. For, by some means or other, vices are more unsightly when they are concealed behind an outward semblance of virtue.“ (Trans by Rees)
In verità devi seguire l'umiltà, non quella che viene mostrata e simulata con gesti corporei o sottomettendo l'espressione delle proprie parole, ma quella che è espressa nella disposizione naturale del proprio cuore. Perché una cosa è inseguire l'ombra delle cose, un'altra la realtà. L'orgoglio che si nasconde sotto i segni esteriori dell'umiltà è reso molto più brutto da ciò. Perché, in un modo o nell'altro, i vizi sono più sgradevoli quando sono nascosti dietro un'apparenza esteriore di virtù". (Traduzione di Rees)
https://newedenministry.com/2024/12/29/resolutions-2/
https://it.wikipedia.org/wiki/Pelagio_(teologo)*




