lunedì 27 dicembre 2021

SALMO RESPONSORIALE: strofa VII nella traduzione del poeta Lorenzo Morandotti, in POETI CRISTIANI LATINI DEI PRIMI SECOLI (a cura di V.G.), Casa Editrice Mimep-Docete, 2017.




SALMO RESPONSORIALE

https://antemp.com/2021/12/27/salmo-responsoriale-strofa-vii-che-viene-riportata-nella-traduzione-del-poeta-lorenzo-morandotti-segnalato-da-vincenzo-guarracino-il-27-dic-21/

Il “Salmo responsoriale” (Psalmus responsorius) è un inno anonimo, scoperto nel 1965 in un codice papiraceo in Egitto e conservato a Barcellona (Pap.Barcinonensis 149b-153).

Composto molto probabilmente nella prima metà del IV secolo, se non addirittura molto prima, come ipotizzano alcuni studiosi (cosa che ne farebbe una delle più antiche manifestazioni della poesia cristiana), il Salmo è un’importante testimonianza del culto della Madonna, la cui figura campeggia in tutte le strofe in cui scorrono i fatti salienti della vita di Maria, dalla sua nascita fino al “primo miracolo” del Cristo alle nozze di Cana.

In questo senso può davvero ritenersi un testo fondamentale, non tanto dal punto di vista letterario, quanto perché interpreta e incanala la devozione popolare nei confronti della Madre di Dio, segnando in un certo senso la nascita della Mariologia, destinata a trovare nei secoli successivi straordinario impulso e sviluppo (si pensi a Paolino di Nola, specialmente nei Carmina VI e XXV).

Dal punto di vista strutturale, il testo, incompleto, è un carme abecedario in prosa ritmica, di evidente funzione liturgica, composto di dodici strofe, precedute da quattro versi, una responsio, che costituisce una sorta di refrain ad uso dei fedeli in risposta ad ogni strofa iniziante con lettera alfabetica successiva, intonata dal corista. Dal punto di vista linguistico e stilistico, infine, il salmo rivela un livello culturale abbastanza basso, anche se non è privo di una certa sensibilità poetica.

Qui, nella strofa VII che viene riportata (nella traduzione del poeta Lorenzo Morandotti), c’è il racconto della Nascita di Gesù.

VII

Gioiosa fu Maria, per sempre…

Gli sposi durante il cammino

arrivarono in un campo.

“Aiuto, Giuseppe – disse lei –

ciò che porto in grembo vuole uscire”.

Lui cercò un luogo adatto, vide una grotta.

Era quasi buia, ma entrò.

Subito si udì il vagito di un neonato

e si vide enorme una luce fortissima,

un segno scendeva dal cielo

e annunciava la nascita di Cristo.


in POETI CRISTIANI LATINI DEI PRIMI SECOLI (a cura di V.G.), Casa Editrice Mimep-Docete, 2017

lunedì 8 novembre 2021

Mi faccio un regalo :PICCOLA REGOLA della PICCOLA FAMIGLIA DELL'ANNUNZIATA scritta da Don Giuseppe Dossetti nel 1955



https://ora-et-labora.net/regolapiccolafamiglia.html


Pubblico  i  punti 12  e 13


12. Il voto e la virtù della castità ci portano:

- a fare governare dall'obbedienza ogni nostro rapporto;

- a mantenere il cuore distaccato da ogni affetto, anche il più santo, dalla stessa comunità;

- ad accogliere con gioia e gratitudine un'obbedienza per terre lontane e genti straniere alla nostra cultura e mentalità;

- e a sperare di essere scelti per la solitudine totale dello spirito, come pegno benedetto di una fecondità sovrannaturale nei confronti di molte anime.

13. Il voto e la virtù della povertà ci impegnano:

- a non avere nessuna proprietà, e a rinunciare secondo le indicazioni dell'obbedienza a quelle che comunque sopravvenissero;

- a lavorare per vivere e a versare alla comunità ogni nostro provento, ricevendo da essa il vitto, il vestito, l'abitazione ed ogni oggetto d'uso;

- a consegnare totalmente l'impiego del tempo, che deve essere ritenuto non nostro, ma di Dio e della Chiesa;

- a desiderare ardentemente e a sperare, non solo per ognuno singolarmente, ma anche per la famiglia nel suo insieme e per sempre, il dono della povertà evangelica, che spoglia da ogni ricchezza materiale ed intellettuale, e accomuna ai minimi e ai poveri di Gesù.


Nota integrante della Regola per quel che riguarda i nostri quattro santi e il rapporto con i loro scritti. – (aggiunta del maggio 1983)




L 'Evangelo e il Corpo e il Sangue del Signore ci debbono portare a un desiderio sempre più forte ed efficace di povertà effettiva, personale e comunitaria, e di spogliazione e sottomissione a tutti per conformità d'amore al Crocifisso. Questo libererà il nostro cuore da ogni creatura, per poi tutte riceverle trasfigurate nella lode pura dell'Altissimo Signore, lode vissuta e comunicata a tutti gli uomini, a tutti i popoli, specialmente ai popoli non cristiani



Alcune informazioni sull'esperienza di questa comunità 

 Essere monaci nella Chiesa locale di Mario Torcivia


https://ora-et-labora.net/monachesimochiesalocale.html

mercoledì 3 novembre 2021

Dal Libro del Profeta Isaia. 44;9-20--Quelli che fabbricano immagini



https://www.larecherche.it/testo_poesia_settimanale.asp?Id=634&Tabella=Poesia_settimanale


Quelli che fabbricano immagini scolpite sono tutti vanità;

i loro idoli più cari non giovano a nulla;

i loro propri testimoni non vedono, non capiscono nulla,

perché essi siano coperti di vergogna.

Chi è che fabbrica un dio o fonde

un’immagine perché non gli serve a nulla?

Ecco, tutti quelli che vi lavorano saranno confusi,

e gli artefici stessi non sono che uomini!

Si radunino tutti, si presentino!…

Saranno spaventati e coperti di vergogna tutti insieme.

Il fabbro lima il ferro, lo mette nel fuoco,

forma l’idolo a colpi di martello,

e lo lavora con braccio vigoroso;

soffre perfino la fame, e la forza gli viene meno;

non beve acqua, e si stanca.

Il falegname stende la sua corda,

disegna l’idolo con la matita,

lo lavora con lo scalpello, lo misura col righello,

e ne fa una figura umana, una bella forma d’uomo,

perché abiti in una casa.

Si tagliano degli alberi di cedro,

si prendono degli elci, delle querce,

si fa la scelta fra gli alberi della foresta,

si piantano dei pini che la pioggia fa crescere.

Poi tutto questo serve all’uomo per far del fuoco,

ed ei ne prende per riscaldarsi,

ne accende anche il forno per cuocere il pane;

e ne fa pure un dio e l’adora;

ne scolpisce un’immagine dinanzi alla quale si prostra.

Ne brucia la metà nel fuoco, con l’altra metà allestisce la carne,

ne cuoce l’arrosto, e si sazia.

Ed anche si scalda e dice:

“Ah! mi riscaldo, godo di veder questa fiamma!”.

E con l’avanzo si fa un dio, il suo idolo,

gli si prostra davanti, l’adora, lo prega e gli dice:

“Salvami, poiché tu sei il mio dio!”.

Non sanno nulla, non capiscono nulla;

hanno impiastrato loro gli occhi

perché non vedano e il cuore perché non comprendano.

Nessuno rientra in se stesso

ed ha conoscimento e intelletto per dire:

“Ne ho bruciata la metà nel fuoco,

sui suoi carboni ho fatto cuocere il pane,

vi ho arrostito la carne che ho mangiata,

e farò col resto un’abominazione?

e mi prostrerò davanti ad un pezzo di legno?”.

Un tal uomo si pasce di cenere,

il suo cuore sedotto lo travia,

cosicché lui non può liberare l’anima sua e dire:

“Questo che tengo nella mia destra non è una menzogna?”.


****

Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

mercoledì 16 giugno 2021

sermone del pastore Martin Niemöller--Prima vennero...





Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller (Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984) è stato un teologo e pastore protestante tedesco, oppositore del nazismo

Già nel settembre 1933, come reazione all'introduzione del paragrafo sull'arianità con il quale gli ebrei battezzati venivano dichiarati non ariani e si decretava che fossero espulsi dalla Chiesa Evangelica, alcuni parroci berlinesi fra i quali Martin Niemöller e Dietrich Bonhoeffer costituirono d'urgenza un'associazione, la quale da un lato dichiarò che il suddetto paragrafo era incompatibile con la fede cristiana, dall'altro organizzò l'assistenza alle persone colpite dalle misure razziali.


Tale gruppo costituì con la Jungreformatorische Bewegung (Movimento neoriformatore) uno dei precursori della Chiesa confessante, la quale fu ufficialmente costituita con il sinodo del 29/31 maggio 1934 a Wuppertal-Barmen. Fu in tale occasione che venne formulata la dichiarazione teologica di Barmen (Barmer Theologische Erklärung) che avrebbe costituito il fondamento teologico della Chiesa confessante.

https://paroleortodosse.blogspot.com/2019/07/1934-la-dichiarazione-teologica-del.html


è stata spesso erroneamente attribuita a Bertolt Brecht sin dagli anni settanta,

I versi originari di Martin Niemöller recitano: «Quando i nazisti presero i comunisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero comunista./ Quando rinchiusero i socialdemocratici/ io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico./ Quando presero i sindacalisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero sindacalista./ Poi presero gli ebrei,/ e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere me./ E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa»


Il testo più conosciuto


"Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. 

Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. 

Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. 

Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. 

Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare".



Nel 1991 il duo musicale scozzese Hue and Cry parafrasò la poesia in una canzone registrata al Cirque Royale di Bruxelles. La porzione rilevante della canzone era:

Quando vennero per gli ebrei e i neri, distolsi gli occhi

Quando vennero per gli scrittori e i pensatori e i radicali e i dimostranti, distolsi gli occhi

Quando vennero per gli omosessuali, per le minoranze, gli utopisti, i ballerini, distolsi gli occhi

E poi quando vennero per me mi voltai e mi guardai intorno, non era rimasto più nessuno...

martedì 18 maggio 2021

Salmo 136(137) Là, presso i fiumi di Babilonia,



1 Là, presso i fiumi di Babilonia,

sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion.

2 Ai salici delle sponde avevamo appeso le nostre cetre.

3 Là ci chiedevano delle canzoni quelli che ci avevano deportati,

dei canti di gioia

quelli che ci opprimevano, dicendo:

«Cantateci canzoni di Sion!»

4 Come potremmo cantare i canti del SIGNORE

in terra straniera?

5 Se ti dimentico, Gerusalemme,

si paralizzi la mia destra;

6 resti la mia lingua attaccata al palato,

se io non mi ricordo di te,

se non metto Gerusalemme

al di sopra di ogni mia gioia.

7 Ricòrdati, SIGNORE, dei figli di Edom,

che nel giorno di Gerusalemme

dicevano: «Spianatela, spianatela,

fin dalle fondamenta!»

8 Figlia di Babilonia, che devi essere distrutta,

beato chi ti darà la retribuzione del male che ci hai fatto!

9 Beato chi afferrerà i tuoi bambini

e li sbatterà contro la roccia!

venerdì 5 marzo 2021

Antonio Gramsci Odio gli Indifferenti



Nel 1917 Antonio Gramsci pubblicava una rivista cui diede un titolo
evocativo, civile e poetico: “La città futura”. In quella rivista era
contenuto, fra gli altri, uno scritto che giunge fino a noi con i toni
laicamente epici di un grande manifesto politico e morale:
“Contro gli indifferenti.”



Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire

essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei

alla città.


Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. 

Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. 


Perciò odio gli indifferenti.


L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il

novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più

splendenti, E’ la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio

delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché

inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e

qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica.


L’indifferenza opera potentemente nella storia. 

Opera passivamente, ma opera.

E’ la fatalità; e ciò su cui non si può contare; e ciò che sconvolge i

programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si

ribella all’intelligenza» e la strozza. Ciò che succede, il male che si

abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale)

può generare, non e tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, 

quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non 

avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la 

massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i 

nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi 

solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo 

un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la 

storia non e altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, 

di  questo assenteismo.

Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun 

controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non 

se ne preoccupa. I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle 

visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di

piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne

preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela

tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a

travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno

naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi 

ha  voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e

chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle

conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non é

responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente,

ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se

avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe

successo ciò che e successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro

indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro

attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male,

combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano. I più di costoro,

invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di

programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano

cosi la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro

nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime

soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia

preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni

rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva

non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale,

non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi

nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere.


Odio gli indifferenti anche per ciò che mi da noia il loro piagnisteo di

eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito

che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e

specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di

non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie

lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte

già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E

in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non

è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non

c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si

sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in

agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e

sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è

riuscito nel suo intento.


Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli

indifferenti.”


http://www.spartaco.eu/2016/12/odio-gli-indifferenti-il-testo-integrale-di-antonio-gramsci/




Gustave Courbet, Lo spaccapietre

lunedì 18 gennaio 2021

I Quaranta Giorni

Genesi 7

Il diluvio

1 Il SIGNORE disse a Noè: «Entra nell'arca tu con tutta la tua famiglia, perché ho visto che sei giusto davanti a me, in questa generazione. 2 Di ogni specie di animali puri prendine sette paia, maschio e femmina; e degli animali impuri un paio, maschio e femmina. 3 Anche degli uccelli del cielo prendine sette paia, maschio e femmina, per conservarne in vita la razza sulla faccia di tutta la terra; 4 poiché di qui a sette giorni farò piovere sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti: sterminerò dalla faccia della terra tutti gli esseri viventi che ho fatto».

10 Trascorsi i sette giorni, le acque del diluvio vennero sulla terra. 11 Il seicentesimo anno della vita di Noè, il secondo mese, il diciassettesimo giorno del mese, in quel giorno tutte le fonti del grande abisso eruppero e le cateratte del cielo si aprirono. 12 Piovve sulla terra quaranta giorni e quaranta notti.

17 Il diluvio venne sopra la terra per quaranta giorni, e le acque crebbero e sollevarono l'arca, che fu elevata in alto al di sopra della terra

Genesi 8

1 Poi Dio si ricordò di Noè, di tutti gli animali e di tutto il bestiame che era con lui nell'arca; e Dio fece passare un vento sulla terra e le acque si calmarono; 2 le fonti dell'abisso e le cateratte del cielo furono chiuse, e cessò la pioggia dal cielo; 3 le acque andarono via via ritirandosi di sulla terra, e alla fine di centocinquanta giorni cominciarono a diminuire. 4 Nel settimo mese, il diciassettesimo giorno del mese, l'arca si fermò sulle montagne dell'Ararat. 5 Le acque andarono diminuendo fino al decimo mese. Nel decimo mese, il primo giorno del mese, apparvero le vette dei monti.

6 Dopo quaranta giorni, Noè aprì la finestra che aveva fatta nell'arca 


Esodo 34,28

E Mosè rimase lì con il SIGNORE quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua. E il SIGNORE scrisse sulle tavole le parole del patto, i dieci comandamenti.


1Re 19,8

Elia si alzò, mangiò e bevve; e per la forza che quel cibo gli aveva dato, camminò quaranta giorni e quaranta notti fino a Oreb, il monte di Dio.


Giona 3


1 La parola del SIGNORE fu rivolta a Giona, per la seconda volta, in questi termini:
2 «Àlzati, va' a Ninive, la gran città, e proclama loro quello che io ti comando». 3 Giona partì e andò a Ninive, come il SIGNORE aveva ordinato. Ninive era una città grande davanti a Dio; ci volevano tre giorni di cammino per attraversarla. 4 Giona cominciò a inoltrarsi nella città per una giornata di cammino e proclamava: «Ancora quaranta giorni, e Ninive sarà distrutta!»


Il Monte della Quarantena (Deserto della Giudea), dove, secondo la tradizione, Gesù passò i 40 giorni di digiuno


Luca 4

Tentazione di Gesù Cristo

1 Gesù, pieno di Spirito Santo, ritornò dal Giordano, e fu condotto dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni, dove era tentato dal diavolo. 2 Durante quei giorni non mangiò nulla; e quando furono trascorsi, ebbe fame


Atti 1


1 Nel mio primo libro, o Teofilo, ho parlato di tutto quello che Gesù cominciò a fare e a insegnare, 2 fino al giorno che fu elevato in cielo, dopo aver dato mediante lo Spirito Santo delle istruzioni agli apostoli che aveva scelti.
3 Ai quali anche, dopo che ebbe sofferto, si presentò vivente con molte prove, facendosi vedere da loro per quaranta giorni, parlando delle cose relative al regno di Dio.