Non
a tutti, miei cari, compete di parlare di Dio, non a tutti: non si tratta di
una capacità che si acquista a basso prezzo né che appartiene a quanti
procedono senza staccarsi da terra. Voglio aggiungere che non si può fare
sempre, né davanti a tutti, né riguardo a ogni argomento, ma c’è un tempo
opportuno, un uditorio opportuno e ci sono argomenti opportuni.
Non compete a
tutti, ma a quelli che si sono esercitati e hanno fatto progressi nella
contemplazione, e che prima di tutto hanno purificato anima e corpo, o, più
esattamente, li purificano. Chi non è puro non può senza pericolo venire a
contatto con la purezza, come il raggio del sole non può senza danno
raggiungere occhi malati. E quando lo può fare? Quando noi ci allontaniamo
dal fango esteriore e dal disordine, e quando la parte direttrice che è in
noi non viene confusa da immagini malvagie e deviate, come una bella
scrittura mescolata a lettere di cattiva qualità, o un buon profumo
mescolato al puzzo della melma. Bisogna realmente starsene liberi, infatti,
per conoscere Dio, e “quando ci troveremo nella circostanza favorevole,
giudicare” l’esattezza della teologia. Con chi bisogna parlarne? Con coloro
dai quali l’argomento è affrontato con impegno e non come uno dei tanti
argomenti inutili che con piacere si discutono dopo le corse dei cavalli,
dopo gli spettacoli teatrali, dopo i canti, dopo aver accontentato il ventre
e ciò che sta al di sotto del ventre: per queste persone è un piacere
ciarlare su simili argomenti e mostrarsi abili nelle controversie.
Su cosa
dobbiamo meditare e in quale misura? Sulle cose a noi accessibili, e fin
dove arrivano la disposizione e la capacità degli ascoltatori. Questo per
evitare che, come i suoni e gli alimenti in eccesso danneggiano l’udito o i
corpi o, se preferisci, come i carichi troppo pesanti affaticano chi li
sostiene, o le piogge troppo impetuose devastano la terra, così anche chi
ascolta, pressato e gravato dalle parti più consistenti, per così dire, dei
discorsi, venga a perdere anche la forza che prima possedeva.
E non dico che
non bisogna ricordare affatto Dio non mi attacchino nuovamente quelli che
sono proclivi e pronti a tutto!
Infatti,
bisogna ricordarsi di Dio più spesso di quanto respiriamo, e, se è possibile
dirlo, non bisogna fare altro che questo. Anche io sono tra quelli che
approvano le parole che prescrivono di “esercitarsi giorno e notte”, di
“raccontarlo a sera, al mattino e a mezzogiorno” e di “benedire il Signore
in ogni circostanza”; se bisogna anche ripetere le parole di Mosè, “quando
riposiamo a letto, quando ci alziamo e quando siamo in viaggio” mentre
facciamo qualunque altra cosa, conformandosi alla purezza ricordandoci di
Lui.
Quindi io non
vieto di ricordare Dio continuamente, ma di disputare su Dio; e non
proibisco la teologia in quanto cosa empia, ma in quanto cosa inopportuna;
io non proibisco l’insegnamento, ma la mancanza di misura. Riempirsi di
miele fino a sazietà provoca il vomito, anche se si tratta di miele: allo
stesso modo “per ogni cosa c’è il suo tempo”, come sembra a Salomone e a me,
e il bello non è più bello, quando non si produce in maniera bella, come il
fiore che è in inverno è completamente fuori stagione, o come
un’acconciatura maschile è inopportuna per le donne e una femminile lo è per
gli uomini, o, ancora, come la geometria è inopportuna in un lutto e le
lacrime in un banchetto. Non terremo in considerazione, dunque, il momento
opportuno proprio laddove esso deve essere tenuto nella massima
considerazione?
(Orazione
27, II-IV)
http://oodegr.co/italiano/tradizione_index/insegnamenti/parlpurifgregteol.htm
http://www.decanati.it/doc/nazianzeno.S.%20Gregorio%20Nazianzeno%20Poesie.pdf