A lungo ho viaggiato per ogni sorta di paesi, accompagnato dalla preghiera di Gesù, che mi dava forza e consolazione in tutti i miei viaggi, in ogni occasione e in ogni incontro. Alla fine mi parve che avrei fatto bene a fermarmi in qualche luogo per trovare una solitudine più piena e studiare la Filocalia, che fino allora avevo potuto leggere solo di sera, quando mi fermavo, o durante la siesta di mezzogiorno. Avevo un desiderio ardente di immergermi a lungo in quella lettura per attingervi con fede la dottrina vera della salvezza dell’anima con la preghiera del cuore. Purtroppo, per soddisfare il mio desiderio, non potevo impegnarmi in alcun lavoro manuale, perché fin dalla prima infanzia avevo perduto l’uso del braccio sinistro; così, nell’impossibilità di fissarmi in qualche luogo, mi diressi verso i paesi della Siberia, verso sant’Innocente d’Irkutsk pensando che, attraverso le pianure e le foreste della Siberia, avrei trovato un grande silenzio e mi sarei potuto dedicare con più agio alla lettura e alla preghiera. Mi misi in viaggio recitando senza posa la preghiera. Dopo un po’ di tempo sentii che la preghiera scorreva da sola nel mio cuore, o meglio, il mio cuore, battendo regolarmente, si metteva in certo qual modo a recitare da sé le parole sante a ogni battito; per esempio, 1: Signore, 2: Gesù, 3: Cristo, e via dicendo. Cessai di muovere le labbra e ascoltai attentamente quel che diceva il mio cuore, ricordandomi quanto fosse piacevole, secondo le parole dello starets defunto. Poi avvertii un lieve dolore al cuore e nello spirito un amore così grande per Gesù Cristo che, se l’avessi veduto, mi sarei gettato ai suoi piedi, li avrei stretti, baciati e bagnati di lacrime, ringraziandolo per la consolazione che egli ci dà con il suo nome, nella sua bontà e nel suo amore per la sua creatura colpevole e indegna. Si accese presto nel mio cuore un confortevole calore che si diffuse in tutto il petto. Questo mi portò in particolare a un’attenta lettura della Filocalia per verificare in essa queste mie sensazioni e studiare così lo sviluppo della preghiera interiore del cuore; senza questo controllo avrei avuto paura di cadere nell’illusione, di scambiare le azioni della natura per quelle della grazia e di inorgoglirmi così per quella rapida conquista della preghiera, come mi aveva ben spiegato il mio starets defunto. Per questo camminavo soprattutto durante la notte e passavo la giornata a leggere la Filocalia seduto nei boschi sotto gli alberi. Quante cose nuove, profonde e ignorate scoprii con quella lettura! In quella occupazione gustai una beatitudine più perfetta di quanto mai avessi potuto immaginare fino a quel momento. Senza dubbio, alcuni passi rimanevano incomprensibili al mio spirito limitato, ma gli effetti della preghiera del cuore illuminavano quello che non riuscivo a comprendere; per di più, vedevo talvolta in sogno il mio starets defunto che mi spiegava molte difficoltà e piegava sempre di più la mia anima verso l’umiltà. Trascorsi i due mesi della piena estate in questa perfetta felicità. Passavo specialmente per i boschi e per i viottoli di campagna; quando arrivavo a un villaggio, domandavo un sacco di pane, un pugno di sale e riempivo d’acqua la mia borraccia, quindi ripartivo per altre cento verste. Certamente per causa dei peccati commessi dalla mia anima incallita, o per il progresso della mia vita spirituale, verso la fine dell’estate si fecero sentire le tentazioni. Ecco come avvenne. Una sera che ero sbucato sulla via principale, incontrai due uomini che avevano un berretto militare sul capo; mi chiesero del denaro. Quando io risposi loro che non avevo un centesimo, non mi vollero credere e gridarono con violenza: – Non raccontarci storie; i pellegrini mettono sempre via un mucchio di soldi! Uno dei due aggiunse: – È inutile perder tempo a parlare! E mi colpì sul capo con il suo bastone: io ruzzolai per terra svenuto. Non so se rimasi così molto tempo, ma quando tornai in me, vidi che ero nel bosco vicino alla strada; ero tutto strappato e il mio sacco era scomparso; non c’erano più che i capi delle due cordicelle con le quali lo tenevo. Grazie a Dio, non mi avevano rubato il passaporto, che io serbavo nel mio vecchio berretto per poterlo esibire in fretta quando ce n’era bisogno. Rimesso in piedi, piansi amaramente non tanto per il dolore al capo, quanto piuttosto per i miei libri, la Bibbia e la mia Filocalia, che erano nel sacco rubato. Tutto il giorno, tutta la notte mi rammaricai e piansi. Dov’è finita la mia Bibbia, che leggevo da quando ero bambino e che avevo sempre portata con me? Dov’è la mia Filocalia, dalla quale traevo insegnamento e conforto? Infelice, ho perduto l’unico tesoro della mia vita, prima di essermene saziato fino in fondo. Sarebbe stato meglio morire che vivere così, senza nutrimento spirituale. Non li potrò mai comperare di nuovo. Per due giorni potei a malapena camminare tanto ero afflitto; il terzo giorno mi lasciai cadere stremato di forze presso un cespuglio e mi addormentai. Ecco che in sogno mi vedo nella cella del mio starets e gli racconto in lacrime la mia pena. Lo starets mi consola e mi dice: – Sia questa per te una lezione di distacco dalle cose terrene per andare più liberamente verso il cielo. Questa prova ti è stata mandata affinché tu non cada nella voluttà spirituale. Dio vuole che il cristiano rinunci alla sua volontà e a ogni attaccamento ad essa, al fine di affidarsi completamente alla volontà divina. Tutto quello che egli fa è per il bene e la salvezza dell’uomo. Egli vuole che tutti siano salvi (1Tm 2,4). Fatti animo, e credi che con la tentazione il Signore procurerà anche la via d’uscita (1Cor 10,13). Quanto prima tu riceverai una consolazione più grande di tutto il tuo dolore. A queste parole mi svegliai, sentii nel mio corpo delle forze nuove e nell’anima quasi un’aurora e una calma nuova. – Sia fatta la volontà del Signore! – dissi. Mi alzai, mi feci il segno della croce e partii. La preghiera agiva di nuovo nel mio cuore come un tempo e per tre giorni camminai serenamente. A un tratto incontro per la via una colonna di forzati, che venivano condotti con la scorta. Quando mi furono vicini, riconobbi tra loro i due che mi avevano derubato e, dato che camminavano a un lato della colonna, mi gettai ai loro piedi e li supplicai di dirmi dove erano i miei libri. In un primo momento essi finsero di non riconoscermi, poi uno di loro disse: – Se ci dai qualche cosa, ti diremo dove sono i tuoi libri. Vogliamo un rublo d’argento. Giurai che glielo avrei dato senz’altro, a costo di mendicare per metterlo insieme. – Prendete il mio passaporto, tenetelo come pegno. Mi dissero che i miei libri erano nei carri, insieme con gli altri oggetti rubati che avevano dovuto consegnare. – Come posso fare per riaverli?– Chiedili al capitano della scorta. Corsi dal capitano e gli spiegai la cosa in tutti i particolari. Così, parlando, egli mi chiese se sapevo leggere la Bibbia. – So leggere, non solo, ma anche scrivere; sulla Bibbia troverete una scritta di mio pugno, che prova che quel libro è mio; ed ecco qua sul passaporto il mio nome e il mio cognome. Il capitano mi disse: – Questi briganti sono dei disertori, vivevano in una capanna e depredavano i passanti. Un vetturino in gamba ieri li ha arrestati, mentre quelli cercavano di portargli via la troika. Non chiedo di meglio che di restituirti i tuoi liberi, se sono là dove ti hanno detto; ma bisogna che tu venga con noi fino alla prossima tappa; è solo a quattro verste di qui, non posso fermare tutto il convoglio per causa tua. Camminavo tutto lieto a fianco de cavallo del capitano e parlavo con lui. Vidi che era un brav’uomo e non più tanto giovane. Mi domando chi ero, da dove venivo e dove andavo. Gli risposi in tutta verità; e così arrivammo al luogo di tappa. Il capitano andò a cercare i miei libri e me li rese dicendo: – Dove vuoi andare, ora? È notte ormai. Ti conviene restare con noi. Rimasi. Ero così felice di aver ritrovato i miei libri che non sapevo come ringrazia Dio; li strinsi al mio cuore fino ad averne i crampi alle braccia. Lacrime di gioia inondavano i miei occhi e il cuore mi batteva di un palpito di gioia. Il capitano disse guardandomi: – Si vede che ti piace leggere la Bibbia! Nella mia gioia non riuscii a rispondere una sillaba. Non facevo che piangere. Il capitano continuò: – Anch’io, fratello, leggo ogni giorno con attenzione il Vangelo di Kiev che è rilegato in argento. Siediti qui, ti racconterò come mai ho preso quest’abitudine. Olà! Portateci la cena! Ci sedemmo a tavola. Il capitano cominciò il suo racconto: – Dalla mia giovinezza in poi ho sempre servito nell’esercito e mai nella guarnigione. Conoscevo bene il servizio e i miei capi mi consideravano un soldato modello. Ma ero molto giovane e altrettanto giovani erano i miei amici; per mia disgrazia, imparai a bere e mi abbandonai a tal punto a questo piacere che finii per ammalarmi. Quando non bevevo, ero un ottimo ufficiale, ma anche una sola goccia di alcool voleva dire sei settimane di letto. Mi sopportarono un bel po’, ma alla fine, avendo io insultato un capo dopo aver bevuto, fui degradato e condannato a prestar servizio tre anni in guarnigione; se non avessi rinunciato a quel vizio, mi minacciavano pene anche più severe. In quella misera situazione ebbi un bel cercare di frenarmi, di farmi curare, non potei liberarmi dalla passione del bere, e fu deciso allora di inviarmi al battaglione di disciplina. Quando ne fui informato, mi abbandonai alla disperazione. Un giorno che ero seduto nella camera e ruminavo queste cose, ecco che viene un monaco a questuare per una chiesa. Ognuno dava quel che poteva. Arrivato vicino a me, mi chiese: "Perché sei così triste?" Parlai un po’ con lui e gli raccontai le mie disavventure. Il monaco mostrò molta comprensione per i miei guai e mi disse: "A mio fratello è successo lo stesso, e se l’è cavata in questo modo. Il suo padre spirituale gli diede un Vangelo e gli ordinò di leggere un capitolo ogni volta che avesse s desiderio di bere; e se il desiderio tornava, doveva leggere il capitolo successivo. Mio fratello mise in pratica il consiglio e di lì a qualche tempo la passione di bere cessò. Da quindici anni non assaggia una bevanda alcolica. Fa’ lo steso e ne proverai il beneficio anche tu. Ho un Vangelo, se vuoi te lo porterò". A queste parole gli dissi: "Cosa vuoi che faccia il tuo Vangelo, se i miei sforzi e i mezzi medici non sono serviti a nulla?" (parlavo così perché non avevo mai letto il Vangelo). "Non parlare così – replicò il monaco – ti assicuro che ne ricaverai un bene". L’indomani infatti il monaco mi portò questo Vangelo che ora vedi. Lo aprii, lo guardai, lessi qualche frase e dissi: "Non lo voglio, non ci capisco nulla; non ho l’abitudine di leggere i caratteri dei libri di chiesa". Il monaco continuò a persuadermi dicendo che nelle parole del Vangelo c’è una forza benefica, perché sono parole che Dio stesso ha pronunciato. "Non importa se non capisci nulla, basta che tu legga con attenzione.
Un santo ha detto: "Se tu non capisci la parola di Dio, i diavoli però capiscono quel che tu leggi e tremano (cfr. Gc 2,19), e certamente il desiderio di bere è pure l’opera dei demòni. E ti dico anche questo: Giovanni Crisostomo scrive che anche il posto in cui viene tenuto il Vangelo sgomenta gli spiriti delle tenebre e serve di ostacolo ai loro complotti". Ora non ricordo bene; mi pare di aver dato qualcosa a quel monaco; presi il suo Vangelo e lo ficcai in un baule con le cose mie, ma ben presto lo dimenticai completamente. Qualche tempo dopo giunse il momento di bere; morivo dalla voglia e aprii il mio baule per prendere il denaro e correre alla mescita. Mi cadde sotto l’occhio il Vangelo, e mi tornò in mente immediatamente tutto quello che il monaco mi aveva detto. Lo aprii e cominciai a leggere il primo capitolo di Matteo. Lessi fino in fondo, senza capirci nulla. Ma mi ricordai quello che aveva detto il monaco: non importa se non capisci, basta che tu lo legga con attenzione. Bene – dissi tra me – leggiamone un altro capitolo. La lettura mi sembrò più chiara. Ecco già il terzo: non l’avevo cominciato che squillò il segnale della ritirata. Non c’era più modo di uscire dalla caserma, e rimasi senza bere. Il mattino dopo, mentre stavo per uscire a cercare un po’ d’acquavite, mi dissi: e se leggessi un altro capitolo del Vangelo? Stiamo un po’ a vedere. Lessi e non mi mossi di là. Un’altra volta ancora mi venne voglia di bere dell’alcool, ma mi misi a leggere e mi sentii rinfrancato. Ne fui tutto riconfortato, e a ogni richiamo del mio vizio, mi precipitavo su un capitolo del Vangelo. Più il tempo passava e meglio andavano le cose. Quando ebbi finito i quattro Vangeli, la mia passione per il vino era completamente scomparsa; ero diventato di sasso a tal riguardo. Ed ecco, da più di vent’anni non assaggio più una bevanda alcolica. Tutti furono stupiti del mio mutamento. In capo a tre anni fui riammesso nel corpo ufficiali, percorsi i gradi successivi e divenni capitano. Presi moglie, capitai in una bravissima donna; abbiamo messo da parte qualcosa e ora, grazie a Dio, le cose vanno benino; aiutiamo i poveri come possiamo e ospitiamo i pellegrini. Ho un figlio che è già ufficiale, un gran bravo ragazzo. Ebbene vedi, dopo la mia guarigione, mi sono ripromesso di leggere ogni giorno, per tutta la mia vita, uno dei quattro Vangeli per intero, e non c’è ostacolo che valga. Quando sono carico di lavoro e mi sen spossato, mi corico e prego mia moglie o mio figlio di leggere il Vangelo accanto a me, così non vengo meno al mio impegno. In testimonianza di riconoscenza e per la gloria di Dio, ho fatto rilegare il Vangelo in argento massiccio e lo porto sempre sul mio petto. Ascoltai con vivo piacere i propositi del capitano e gli dissi: – Ho conosciuto un caso analogo al vostro; nel mio villaggio, alla fabbrica, c’era un bravissimo operaio che sapeva molto bene il suo mestiere; ma per sua disgrazia gli piaceva bere, e spesso. Un uomo devoto gli consigliò, ogni qualvolta avesse voglia di acquavite, di recitare trentatré preghiere di Gesù in onore della santissima Trinità e degli anni di vita terrena di Gesù. Egli eseguì il consiglio e smise di bere. E non è tutto; dopo tre anni, entrò in un monastero. – E che cosa vale di più, la preghiera di Gesù o il Vangelo? Chiese il capitano. – È una cosa sola, risposi. Il Vangelo è come la preghiera di Gesù, perché il nome divino di Gesù Cristo racchiude in sé tutte le verità evangeliche. I Padri dicono che la preghiera di Gesù è la sintesi di tutto il Vangelo. Poi recitammo le preghiere; il capitano cominciò a leggere dall’inizio il Vangelo secondo Marco e io lo ascoltai pregando entro il mio cuore. Il capitano terminò la lettura alle due del mattino e ci andammo a coricare. Secondo la mia abitudine, mi alzai presto il mattino; dormivano tutti; l’alba spuntava allora e io mi immersi nella lettura della mia diletta Filocalia. Con quale gioia l’apersi! Mi pareva di aver ritrovato un padre dopo una lunga assenza o un amico risuscitato da morte. Baciai il libro e ringrazia Dio di avermelo restituito; quindi cominciai a leggere Teolepto di Filadelfia nella seconda parte della Filocalia. Fui meravigliato di vedere che egli propone di dedicarsi contemporaneamente a tre ordini di attività: seduto a tavola – egli dice – da’ nutrimento al tuo corpo, al tuo spirito la lettura e al tuo cuore la preghiera. Ma il ricordo della benefica seta trascorsa mi spiegò praticamente questo pensiero. Fu allora che compresi il mistero della differenza tra il cuore e lo spirito. Quando il capitano si svegliò, andai a ringraziarlo della sua bontà e a dirgli addio. Mi versò il tè, mi diede un rublo d’argento e ci separammo. Io ripresi la mia via di buonumore. Dopo la prima versta, mi ricordai che avevo promesso ai soldati un rublo e ora possedevo proprio un rublo. Dovevo darglielo o no? Da un lato – mi dicevo – essi ti hanno bastonato e derubato, e non possono farti niente perché sono in arresto. Ma d’altro canto ricordati quel che scrive la Bibbia: Se il tuo nemico ha fame dagli da mangiare (Rm 12,20), e Cristo stesso ha detto: Amate i vostri nemici (Mt 5,44) e anche: Se qualcuno vuole portarti via la tua veste, dagli anche il mantello (Mt 5,40). Così persuaso, tornai sui miei passi e giunsi alla stazione di tappa proprio mentre il convoglio si stava rimettendo in marcia; corsi verso i due malfattori e feci scivolare in mano a uno di loro il mio rublo, dicendo: – Pregate e fate penitenza; Gesù Cristo è l’amico degli uomini. Non vi abbandonerà! Con queste parole mi allontanai e ripresi la mia strada nell’opposta direzione. Dopo aver percorso una cinquantina di verste sulla strada principale, mi addentrai per i viottoli di campagna più solitari e più adatti alla lettura. Girovagai a lungo per i boschi; ogni tanto incontravo un piccolo villaggio. Spesso mi fermavo tutta la giornata nella foresta a leggere la Filocalia; vi attingevo insegnamenti stupendi e profondi. Il mio cuore era infiammato dal desiderio di unirsi a Dio con la preghiera interiore, che mi sforzavo di studiare e verificare nella Filocalia; nello stesso tempo ero afflitto di non aver trovato un ricovero dove potermi dedicare alla lettura in pace e senza interruzioni. In quel tempo leggevo anche la mia Bibbia e sentivo che cominciavo a comprenderla meglio; non vi trovavo più tanti passi oscuri. I Padri hanno ragione di dire che la Filocalia è la chiave che scopre i misteri sepolti nella Scrittura. Sotto la sua guida cominciai a comprendere il senso segreto della parola di Dio: scoprii che cosa significa l’uomo interiore nel profondo del suo cuore (1Pt 3,4), la preghiera vera, l’adorazione in spirito (Gv 4,23), il regno all’interno di noi (Lc 17,21), l’intercessione dello Spirito Santo (Rm 8,26); comprendevo il significato di queste parole: Voi siete in me (Gv 15,4), dammi il tuo cuore (Pr 23,26) essere rivestito di Cristo (Rm 13,14 e Gal 3,27), le nozze dello Spirito nei nostri cuori (Ap 22,17), l’invocazione Abba Pater (Rm 8,15-16) e molte altre. Quando nello stesso tempo io pregavo nel profondo del cuore, tutto quello che mi circondava mi appariva sotto un aspetto meraviglioso: alberi, erbe, uccelli, terra, aria, luce, tutto mi sembrava dirmi che essi esistono per l’uomo, che attestano l’amore di Dio per l’uomo; tutto pregava, tutto cantava gloria al Signore. Capivo così quel che la Filocalia chiama "la conoscenza del linguaggio della creazione" e vedevo com’è possibile conversare con le creature di Dio. Feci così una lunghissima macia. Alla fine giunsi in una zona così desolata che per tre giorni non riuscii a incontrare un villaggio. Avevo finito il pane e mi chiedevo con inquietudine come non morire di fame. Ma appena cominciai a pregare nel mio cuore, ogni preoccupazione sparì e mi affidai alla volontà di Dio; divenni così lieto e tranquillo. Avevo percorso un breve tratto della via che attraversava un’immensa foresta, quando scorsi davanti a me un cane da guardia che sbucava da una macchia; lo chiamai e quello venne, tutto festoso, a farsi carezzare. Mi rallegrai e dissi tra me: è proprio un segno della bontà di Dio! Vi è certo un gregge in questa foresta, ed è il cane del pastore, o forse un cacciatore sta inseguendo per questa via la sua preda; in ogni modo, poteri chiedere un po’ di pane, perché sono già due giorni che non mangio, o informarmi se non sia un villaggio poco lontano. Il cane, dopo aver gironzolato intorno a me, vedendo che non c’era nulla da mangiare, scappò nel folto per lo stesso viottolo dal quale era sbucato sulla via. Lo seguii; dopo un duecento metri, scorsi tra gli alberi il cane che da una tana sporgeva solo il muso e abbaiava. Vidi avvicinarsi tra gli alberi un contadino magro e pallido, di mezza età. Mi chiese come fossi arrivato fin là. Io a mia volta gli domandai che cosa facesse lui in un luogo così desolato; e scambiammo così qualche frase amichevole. Il contadino mi pregò di entrare nella sua capanna e mi spiegò che era guardiaboschi e sorvegliava la foresta che doveva essere tutta tagliata. Mi offrì pane e sale, e la conversazione si fece serrata. – Io invidio la vita solitaria che conduci – gli dissi –, non è come la mia, sempre errante e a contatto con tutti. – Se vuoi – mi disse – puoi vivere benissimo qui; c’è poco lontano una vecchia capanna che era servita alla guardia forestale di prima. È un po’ malconcia, ma per l’estate uno può arrangiarsi alla meglio. Hai un passaporto. C’è pane abbastanza per due; me ne portano ogni settimana dal nostro villaggio, e il ruscello qui accanto non manca mai d’acqua. Quanto a me, fratello, sono dieci anni che non mangio altro che pane e non bevo altro che acqua. Solo in autunno, quando i lavori dei campi saranno finiti, verranno qui duecento uomini per il taglio della foresta; io non avrò più nulla da fare qui, e non sarà nemmeno a te di rimanere. A queste parole mi invase una gioia così grande che per poco non mi gettai ai suoi piedi. Non sapevo come ringraziare Dio della sua bontà verso di me. Tutto quello che desideravo e per cui mi affannavo l’avevo improvvisamente raggiunto. Prima della metà dell’autunno c’erano ancora due mesi, e durante quel periodo potevo approfittare del silenzio e della pace per studiare con l’aiuto della Filocalia la preghiera perpetua nell’intimo del cuore. Così decisi di accomodarmi alla meglio nella capanna. Continuammo a parlare, e quell’uomo semplice mi raccontò la sua vita e le sue idee. – Nel mio villaggio – disse – non ero mica l’ultimo arrivato; avevo un mestiere, tingevo i tessuti in rosso e blù; vivevo benino, ma da peccatore: ingannavo volentieri i miei clienti e bestemmiavo a ogni occasione; ero volgare, ubriacone e attaccabrighe. In quel villaggio c’era un cantastorie che possedeva un libro vecchio sul Giudizio finale e spesso egli andava per le case dei fedeli ortodossi a leggerne dei passi, e gli si dava un po’ di denaro. Veniva anche da me. Di solito gli si dava cinque soldi e quello rimaneva a leggere fino al canto del gallo. Una volta che, pur prestando orecchio alla lettura, io stavo lavorando, egli lesse un passo sui tormenti dell’inferno e sulla risurrezione dei morti, come Dio verrà a giudicare, come gli Angeli faranno squillare le trombe, e il fuoco e la pece che vi saranno, e i vermi che divoreranno i peccatori. A un tratto provai uno spavento terribile, e mi dissi: "Io non me la cavo, no certo! Questi tormenti sono anche per me. Qua è meglio che mi metta a salvare l’anima mia e forse riuscirò a farmi perdonare i miei peccati". Ci pensai su a lungo e alla fine decisi di abbandonare il mio mestiere; vendetti casa e bottega, e dal momento che non avevo famiglia, divenni guardaboschi, non chiedendo per salario che il pane, qualcosa per coprirmi e qualche cero da accendere durante la preghiera. Sono qui ormai da più di dieci anni. Non mangio che una volta al giorno e mi accontento di pane e acqua. Ogni notte mi alzo al canto del gallo e fino alle prime luci del giorno faccio le mie genuflessioni e i miei inchini fino a terra; quando prego; accendo sette ceri davanti all’icona. Di giorno, quando percorro la foresta, porto sulla pelle delle catene di settanta libbre. Non bestemmio, non bevo birra né alcool, non litigo con alcuno; delle donne ho sempre fatto a meno. All’inizio ero piuttosto contento di vivere così, ma a lungo andare per forza sono assalito da considerazioni che non posso mandar via. Dio solo sa se io riscatterò i miei peccati, ma intanto questa vita è proprio dura. E poi, è vero quello che il libro racconta? Come fa l’uomo a risuscitare? Quelli che sono morti da cent’anni e più sono polvere ed è sparita anche quella. E poi, ci sarà o non ci sarà un inferno? In ogni caso, nessuno è mai tornato dall’altro mondo; quando l’uomo muore, si putrefà e non ne rimangono più tracce. Questo libro forse l’hanno scritto i preti per far paura a noi ignoranti, e per tenerci più sottomessi. Così si vive male, senza un po’ di consolazione su questa terra, e poi nell’altro mondo non troveremo nulla! Allora ne vale proprio la pena? Non è meglio avere un bel po’ di tempo subito? Queste idee non mi danno pace – aggiunse – e ho paura di dover riprendere il mio vecchio mestiere. Ero pieno di pietà per lui e mi dicevo: "Si dice che solo i sapienti e gli intellettuali diventano liberi pensatori e non credono più a nulla, ma i nostri fratelli, i semplici contadini, sanno fabbricarsi da sé una bella incredulità! Certamente il mondo delle tenebre fa presa su tutti e forse più facilmente ancora sui semplici. Bisogna ragionare fin dove è possibile e fortificarsi contro il nemico con la parola di Dio". Così per sostenere un poco il fratello e rinsaldare la sua fede, trassi dal sacco la Filocalia e l’aprii al capitolo 109 del beato Esichio. Glielo lessi, e spiegai che non ci si astiene dal peccare solo per timore del castigo, perché l’anima non può liberarsi dai pensieri colpevoli che con la vigilanza dello spirito e la purità del cuore. Tutto si acquista con la preghiera interiore. Se qualcuno si mette sulla via dell’ascetica, non solo per timore dei tormenti dell’inferno ma anche per desiderio del Regno celeste – aggiunsi – i Padri paragonano la sua azione a quella di un mercenario. Ma Dio vuole che noi veniamo a Lui come figli, vuole che l’amore e lo zelo ci spingano a comportarci in modo degno e che godiamo dell’unione perfetta con Lui nell’anima e nel cuore. Puoi fare quel che vuoi; logorarti, importi le prove e le penitenze fisiche più dure, ma se non hai Dio sempre nello spirito e la preghiera di Gesu nel cuore, non sarai mai al riparo dai cattivi pensieri; sarai sempre pronto a peccare alla prima occasione. Mettiti dunque, fratello, a recitare senza posa la preghiera di Gesù; ti sarà facile farlo in questa solitudine; ti accorgerai presto del suo benefico effetto. Le idee empie spariranno, la fede e l’amore per Gesù Cristo si riveleranno a te; capirai come i morti possono risuscitare e il Giudizio ultimo ti apparirà quello che realmente è. E nel tuo cuore ci sarà tanta leggerezza e tata gioia che ne sarai meravigliato; non ti sentirai più stanco o turbato per la tua vita di penitenza! Gli spiegai poi come meglio potevo il modo di recitare la preghiera di Gesù, secondo il comandamento divino e gli insegnamenti dei Padri. Il guardaboschi non chiedeva di meglio e la sua inquietudine diminuì. Allora, congedandomi da lui, entrati nella vecchia capanna che mi aveva indicata. Lavori spirituali Mio Dio, che gioia, che consolazione, che rapimento provai nel varcare la soglia di quel ricovero, o per meglio dire, di quella tomba; mi apparve come un magnifico palazzo pieno di letizia e mi dissi: bene, ora in questa calma e in questa pace bisogna lavorare seriamente e pregare il Signore di illuminare la mia mente.Così cominciai a leggere la Filocalia dal principio alla fine con grande attenzione. Dopo un certo tempo, terminata la lettura, mi resi conto della saggezza, della santità e della profondità di quel libro. Ma dato che vi erano trattati argomenti diversi, non potevo capire tutto, né raccogliere le forze del mio spirito sul solo insegnamento della preghiera interiore per arrivare alla preghiera spontanea e perpetua nell’intimo del cuore. Ne avevo però un vivo desiderio, secondo il comando divino trasmesso dall’Apostolo: Cercate i doni più perfetti (1Cor 12,31), e anche: Non spegnete lo spirito (1Ts 5,19).Ma per quanto riflettessi, non sapevo cosa fare. Non ho un’intelligenza tanto acuta e non c’era nessuno che mi potesse aiutare.
Cercherò di annoiare il buon Dio a forza di preghiere, e allora Lui illuminerà la mia mente. Passai così una giornata a pregare senza fermarmi un solo istante; i miei pensieri si calmarono e mi addormentai; ed ecco che in sogno mi vedo nella cella del mio starets ed egli mi spiega la Filocalia dicendo: "Questo santo libro è pieno di grande saggezza. È per questo che voi, spiriti semplici, non dovete leggere i libri dei Padri tutti di seguito come sono esposti qui. Questa è una disposizione conforme alla teologia; ma colui che non è istruito e vuole imparare la preghiera interiore nella Filocalia deve attenersi a quest’ordine: leggere per prima cosa il libro del monaco Niceforo (nella seconda parte) poi il libro di Gregorio il Sinaita per intero, salvo i capitoli brevi, poi le tre forme della preghiera di Simeone il Nuovo Teologo e il suo trattato sulla fede, infine il libro di Callisto e Ignazio. In questi testi si trova l’insegnamento completo della preghiera interiore del cuore, alla portata di tutti.Se vuoi un testo ancora più comprensibile, prendi nella quarta parte lo schema della preghiera di Callisto, patriarca di Costantinopoli. E io, come se avessi avuto in mano la Filocalia, cercavo il passo indicato senza riuscire a trovarlo. Lo starets allora, sfogliando qualche pagina, mi disse: – Eccolo, te lo segno! E raccolto un pezzo di carbone da terra, fece una riga sul bordo della pagina, accanto al passo indicato. Ascoltai con attenzione tutte le parole dello starets e cercai di fissarle nella memoria con fermezza e in ogni particolare.Mi svegliai e, visto che ancora non era giorno, rimasi disteso, richiamando alla memoria tutto quel che avevo veduto in sogno e ripetendo quel che mi aveva detto lo starets. Poi mi misi a riflettere: Dio sa se è l’anima del mio defunto starets che mi appare così o le mie idee che prendono tale forma, perché io penso spesso e a lungo alla Filocalia e allo starets!Mi alzai in questa incertezza di spirito; cominciava ad albeggiare. Ad un tratto vedo sulla pietra che mi serviva da tavolo la Filocalia aperta alla pagina indicata dallo starets e segnata con un tratto di carbone, proprio come nel sogno; il carbone era ancora lì vicino al libro. Ne fui colpito, perché mi ricordai che il libro la sera non era sulla pietra; l’avevo messo, chiuso, accanto a me prima di prendere sonno, e mi ricordai anche che in quella pagina non c’era alcun segno. Questo fatto mi diede fede nella verità dell’apparizione e mi garantì della santità della memoria del mio starets. Così ricominciai a leggere la Filocalia secondo l’ordine indicato. Lessi una volta, poi un’altra, e questa lettura infiammò il mio zelo e il desiderio di provare coi fatti tutto quello che avevo letto. Scoprii chiaramente il senso della preghiera interiore, i mezzi per arrivarci e i suoi effetti; compresi che essa riscalda l’anima e il cuore, e che si può distinguere se questa felicità viene da Dio, dalla natura sana o dall’illusione.Cercai per prima cosa di scoprire il luogo del cuore, secondo l’insegnamento di san Simeone il Nuovo Teologo. Chiusi gli occhi e diressi il mio sguardo verso il cuore, cercando di rappresentarmelo com’è, nella parte sinistra del petto, e ascoltando attentamente il suo battito. Ripetei questo esercizio prima per mezz’ora, molte volte al giorno; all’inizio non vedevo che tenebre; presto però il mio cuore apparve e sentii il suo movimento profondo; poi arrivai a introdurre nel mio cuore la preghiera di Gesù e a farvela uscire, seguendo il ritmo del respiro, secondo l’insegnamento di san Gregorio il Sinaita, di Callisto e di Ignazio; perciò, guardando con lo spirito nel mio cuore, inspirai l’aria e la tenni nel petto, dicendo: Signore Gesù Cristo, e la espirai dicendo: abbiate pietà di me. Mi esercitai per un’ora o due, nei primi tempi, poi mi applicai con sempre maggiore frequenza a questa occupazione, e infine passai così quasi tutta la giornata. Quando mi sentivo pesante, stanco o inquieto, leggevo subito nella Filocalia i passi che trattano dell’attività del cuore, e il desiderio e lo zelo per la preghiera rinascevano in me. In capo a tre settimane, avvertii un dolore al cuore, e poi un tepore gradevole e un sentimento di consolazione e di pace. Questo mi infuse maggior forza per esercitarmi nella preghiera a cui i miei pensieri si riferivano, e cominciai a provare una gioia immensa. Da quel momento provai di volta in volta diverse sensazioni nuove nel cuore e nello spirito. Talvolta c’era nel mio cuore come un fervore e una leggerezza, una libertà, una gioia così grandi che ne ero trasformato e mi sentivo in estasi. A volte, sentivo un amore ardente per Gesù Cristo e per tutta la creazione divina. Talvolta le mie lacrime fluivano da sole per riconoscenza al Signore che aveva avuto pietà di me, peccatore indurito. Talvolta il mio spirito angusto si illuminava in modo tale che io comprendevo chiaramente quello che un tempo non avrei potuto nemmeno concepire. Talvolta il dolce calore del mio cuore si diffondeva in tutto il mio essere e sentivo con emozione la presenza infinita del Signore. Provavo certe volte una gioia potente e profonda nell’invocare il nome di Gesù Cristo e comprendevo quel che significa la sua parola: Il Regno di Dio è dentro di voi (Lc 17,21).In mezzo a tali benefiche consolazioni, notai che gli effetti della preghiera del cuore si manifestano sotto tre forme: nello spirito, per esempio, la dolcezza dell’amore di Dio; nei sensi il gradevole calore del cuore, la pienezza di dolcezza nelle membra, il fervore della gioia nel cuore, la leggerezza, il vigore di vita, l’insensibilità alle malattie o alle pene; nell’intelligenza l’illuminazione della ragione, la comprensione della sacra Scrittura, la conoscenza del linguaggio della creazione, il distacco dalle vane cure, la coscienza della dolcezza della vita interiore, la certezza della vicinanza di Dio e del suo amore per noi.Dopo cinque mesi solitari in queste occupazioni e in questa beatitudine, mi abituai così bene alla preghiera del cuore che la praticavo senza posa e alla fine si compiva da sola senza alcuna attività da parte mia; nasceva nel mio spirito e nel mio cuore non solo allo stato di veglia, ma anche durante il sonno e non si interrompeva più un solo minuto. La mia anima ringraziava il Signore e il mio cuore esultava di una gioia incessante.Venne il tempo del taglio, i taglialegna si riunirono e dovetti lasciare la mia silenziosa dimora. Ringraziato il guardaboschi e recitata una preghiera, baciai quell’angolo di terra in cui il Signore aveva voluto manifestarmi la sua bontà e partii. Camminai e camminai, percorsi molti paesi prima di entrare in Irkutsk. La preghiera spontanea del cuore fu la mia consolazione durante tutto il cammino, e non cessò mai di confortarmi, anche se a gradi diversi; mai e in nessun luogo mi ha dato noia, nulla ha potuto menomarla. Se io lavoro, la preghiera agisce da sola nel mio cuore e il lavoro va avanti più svelto; se ascolto o leggo qualcosa con attenzione, la preghiera non si interrompe, e io sento l’una e l’altra insieme, come se fossi sdoppiato o se nel mio corpo si trovassero due anime. Mio Dio, com’è misterioso l’uomo!…Le tue opere sono grandi, Signore; tu hai fatto tutto con saggezza (Sal 104,24). Ho avuto nel mio cammino molte straordinarie avventure. Se dovessi raccontarle tutte, non basterebbero delle giornate. Ecco, per esempio: una sera d’inverno passavo solo per una foresta, e volevo andare a dormire a due verste di là, in un villaggio di cui si scorgevano già le prime luci. A un tratto mi si avventò contro un grosso lupo. Tenevo in mano il rosario del mio starets – lo portavo sempre con me –. Respinsi il lupo con il rosario. E – lo credereste? – il rosario mi scappò di mano e si attorcigliò intorno al collo della belva. Il lupo balzò indietro e, saltando attraverso i pruni, le zampe posteriori si impigliarono tra le spine, mentre il rosario si impigliava nel ramo secco di un albero. Il lupo si dibatteva con tutte le sue forze, ma non riusciva a liberarsi perché il rosario gli serrava la gola. Mi feci con fede il segno di croce e avanzai per liberare il lupo; soprattutto temevo che mi strappasse il rosario e portasse via con sé quell’oggetto tanto prezioso. Mi ero appena avvicinato e avevo messo la mano sul rosario che il lupo lo strappò davvero e fuggì via senza troppi complimenti. Così, ringraziando il Signore e ripensando al mio santo starets, arrivai senza fatica al villaggio; mi diressi all’albergo e chiesi da dormire. Entrai in casa. Due viaggiatori erano seduti a una tavola d’angolo, uno già avanti negli anni, l’altro d’età matura e robusto. Bevevano del tè. Chiesi chi fossero al contadino che custodiva i loro cavalli. Mi spiegò che il vecchio era istitutore e l’altro cancelliere del giudice di pace: tutti e due di origine nobile: – Li conduco alla fiera a venti verste da qui.Dopo essermi riposato qualche istante, chiesi alla padrona un ago e un po’ di filo. Mi avvicinai alla candela e cominciai a cucire il mio rosario. Il cancelliere mi lanciò un’occhiata e disse:– Ne hai fatte di riverenze, per strappare in quel modo il tuo rosario!– Non l’ho rotto io, signore, fu un lupo…– Guarda, anche i lupi ora si mettono a pregare… rispose con una risata il cancelliere.Raccontai allora l’avventura nei suoi particolari e spiegai come quel rosario fosse prezioso per me. Il cancelliere ricominciò a ridere e disse:– Per voi creduloni, son tutti miracoli! Cosa c’è di misterioso nella tua storia? Tu hai gettato semplicemente qualcosa al lupo, questi ha avuto paura ed è scappato. Cani e lupi hanno sempre paura dei gesti, e non è difficile impigliarsi le zampe tra i pruni; non bisogna mica credere che ogni cosa che capita nella vita sia un miracolo!– L’istitutore allora cominciò a discutere con lui:– Non parlate così, signore! Voi non siete profondo in queste questioni… Dal canto mio, io vedo nella storia di questo contadino un duplice mistero, sensibile e spirituale…– Come come? – chiese il cancelliere.– Ecco: senza avere un’istruzione superiore, voi avrete certamente studiato la storia sacra in domande e risposte, nell’edizione per le scuole. Vi ricordate che quando il primo uomo, Adamo, era nello stato d’innocenza, tutti gli animali erano sottomessi a lui. Si avvicinavano a lui con timore ed egli dava loro il nome. Lo starets, al quale è appartenuto questo rosario, era un santo: e che cos’è la santità? Null’altro che la risurrezione nell’uomo peccatore dello stato d’innocenza del primo uomo. Ecco il mistero della natura spirituale! Questa forza è avvertita naturalmente da tutti gli animali e specie attraverso l’odorato; il naso è l’organo essenziale dei sensi nell’animale. Ecco il mistero di natura sensibile…– Per voi sapienti non ci sono che forze e storie simili; ma noi, noi vediamo le cos in modo più semplice: versarsi un bicchiere e tracannarlo, ecco che cosa dà forza, disse il cancelliere dirigendosi verso l’armadio.– A voi spetta quello, affare vostro – rispose l’istitutore; ma in questo caso lasciate a noi le nozioni un po’ dotte.– Le parole dell’istitutore mi erano piaciute; mi avvicinai a lui e gli dissi:– Permettetemi di raccontarvi ancora qualche cosa e proposito del mio starets. Gli spiegai come mi fosse apparso in sogno e dopo avermi istruito, avesse fatto un segno sulla Filocalia. L’istitutore ascoltò il mio racconto con attenzione. Il cancelliere invece, steso su una panca, brontolava:– È vero che si diventa matti a tenere sempre il naso incollato sulla Bibbia. Basta veder questo bel tipo! Qual è il lupo mannaro che si diverte a sporcarti i libri durante la notte? Avrai fatto cadere il tuo scartafaccio per terra rigirandoti nel sonno ed è finito nella cenere… E questo è un miracolo?! Questi bricconi! Li conosco, caro mio, quelli della tua risma!Dopo aver brontolato in questo modo, il cancelliere si rigirò verso il muro e si addormentò. A queste parole mi chinai verso l’istitutore e gli dissi: Se volete, vi farò vedere il libro che porta veramente il segno, e non tracce di cenere. Estrassi la Filocalia dal sacco e gliela mostrai dicendo: mi meraviglio che sia possibile a un’anima incorporea prendere un carbone e scrivere…L’istitutore guardò il segno sul libro e disse:– Questo è il mistero degli spiriti. Te lo spiegherò. Quando gli spiriti appaiono a un uomo sotto forma corporea, compongono il loro corpo visibile di luce e di aria, utilizzando per questo gli elementi dai quali era stato tratto il loro corpo mortale. E come l’aria è dotata di elasticità, l’anima che ne è rivestita può agire, scrivere o afferrare degli oggetti. Ma che libro hai dunque? Fammi vedere.Lo aprì e capitò sul discorso e il trattato di Simeone il Nuovo Teologo.– Ah! È certamente un libro di teologia. Non lo conosco…– Questo libro, piccolo padre, contiene quasi unicamente l’insegnamento della preghiera interiore del cuore al nome di Gesù Cristo; è esposto qui in modo particolareggiato da venticinque Padri.– Ah! La preghiera interiore… So che cosa è – disse l’istitutore.– Mi piegai ancor più verso di lui e lo pregai di dirmi qualche parola sulla preghiera interiore.– Ebbene, nel Nuovo Testamento si dice che l’uomo e tutta la creazione sono soggetti non per volontà propria alla vanità e che tutto sospira e tende verso la libertà dei figli di Dio (Rm 8,19-20); questo misterioso movimento della creazione, questo desiderio innato nelle anime è la preghiera interiore. Non la si può imparare, perché essa è in tutti e in tutto!– Ma come acquistarla, scoprirla e sentirla nel nostro cuore? Come prenderne coscienza e accoglierla volontariamente, giungere a che essa agisca attivamente, riscaldando, illuminando e salvando l’anima? – chiesi.– Non so se i trattati di teologia ne parlano – rispose l’istitutore.– Ma qui tutto questo sta scritto – esclamai.L’istitutore prese una matita, annotò il titolo della Filocalia e disse: "Voglio farmi venire questo libro a Tobolsk e lo leggerò.Ci salutammo, e ognuno andò per i fatti suoi. Andandomene ringraziai Dio per la conversazione con l’istitutore e pregai il Signore che permettesse al cancelliere di leggere di leggere un giorno la Filocalia e di comprenderne il senso per il bene dell’anima sua.Un altra volta, a primavera, giunsi in una borgata e mi fermai in casa di un prete. Era un uomo d’oro, che viveva da solo. Passai tre giorni con lui. Dopo avermi attentamente osservato per tutto quel tempo, alla fine mi disse: "Rimani con me, io ti darò un salario; ho bisogno di un uomo fidato. Avrai visto che si sta costruendo una nuova chiesa in pietra accanto a quella vecchia che è di legno. Non riesco a trovare una persona coscienziosa che mi sorvegli gli operai e che stia nella cappella a raccogliere le offerte per la costruzione; vedo che tu ne saresti capace e che questa vita sarebbe adatta per te; vedo che tu saresti capace e che questa vita sarebbe adatta per te; tu saresti da solo nella cappella a pregare Dio, c’è là uno sgabuzzino isolato nel quale puoi stabilirti a tuo agio. Rimani, te ne prego, almeno fino a che la chiesa sia costruita". Mi difesi per un bel po’, ma alla fine dovetti cedere alla preghiera insistente del sacerdote. Rimasi dunque tutta l’estate fino all’autunno e mi installai nella cappella. All’inizio fui lasciato tranquillo e mi potei esercitare nella preghiera, ma specialmente nei giorni di festa venivano molte persone, alcune per pregare, altre per sbadigliare, altre ancora per piluccare qualche soldo nella cassetta delle elemosine. E quando vedevano me intento a leggere la Bibbia o la Filocalia, alcuni visitatori intavolavano discorsi con me, altri mi chiedevano di leggere loro qualche brano. Dopo un po’ di tempo notai che una fanciulla del paese veniva spesso nella cappella e vi rimaneva a lungo in preghiera. Tendendo l’orecchio a quello che la fanciulla bisbigliava, mi accorsi che recitava delle curiose preghiere, e certe erano addirittura travisate. Le chiesi: – Chi ti ha insegnato queste parole? – Mi rispose che era stata sua madre che era ortodossa, mentre suo padre era uno scismatico della setta dei senza-preti. La sua situazione mi impietosì e le consigliai di recitare le preghiere correttamente, secondo la tradizione della santa Chiesa. Le insegnai il Padre Nostro e l’Ave Maria. Alla fine le dissi: – Recita soprattutto la preghiera di Gesù; essa ci avvicina a Dio più di ogni altra preghiera e tu ne ricaverai la salvezza dell’anima tua. La fanciulla mi ascoltò con attenzione e agì con molta semplicità, secondo i miei consigli. Lo credereste? Dopo un po’ di tempo mi annunciò che si era abituata alla preghiera di Gesù, che sentiva il desiderio di ripeterla senza posa se fosse stato possibile; quando pregava, sentiva il gusto della preghiera e infine la gioia e insieme il desiderio di continuare a pregare sempre di più, invocando il nome di Gesù Cristo. La fine dell’estate si avvicinava; molti visitatori della cappella venivano a trovarmi, non più soltanto per chiedermi un consiglio o una lettura, ma per raccontare le loro pene domestiche e anche per sapere come ritrovare gli oggetti smarriti; evidentemente alcuni di loro mi prendevano per un mago. Un giorno infine la –fanciulla accorse tutta disperata per chiedermi che cosa doveva fare. Suo padre voleva sposarla contro voglia a uno scismatico come lui e l’officiante sarebbe stato un contadino. – Ma è un vero matrimonio, questo? – diceva angosciata – È concubinato e basta! Io voglio scappare di casa, seguendo lo sguardo dei miei occhi! Le dissi allora: e dove andrai? Ti potranno sempre raggiungere. Con i tempi che corrono, non potrai mai nasconderti senza documenti, e si arriverà facilmente a riacciuffarti; è meglio che tu preghi Dio con fervore affinché spezzi con le sue vie la risoluzione di tuo padre e salvi la tua anima dal peccato e dall’eresia. Questo è meglio del tuo progetto di fuga. Il tempo passava, il rumore e le distrazioni mi riuscivano sempre più penose. L’estate finì, e decisi di lasciare la cappella e riprendere la mia vita come un tempo. Andai dal prete e gli dissi: – Padre mio, voi conoscete le mie intenzioni. Ho bisogno di calma per dedicarmi alla preghiera, e qui non trovo che distrazioni e fastidi. Ho fatto quello che mi avevate chiesto, sono rimasto tutta l’estate; ora lasciatemi partire e benedite la mia strada. Il prete non voleva lasciarmi andare e cercò di insistere ancora: – Chi ti impedisce di pregare anche qui? Non hai che da rimanere nella cappella e trovi il pane bell’è pronto. Prega notte e giorno là, se tu vuoi; vivi con Dio! Tu sei capace e utile qui, non dici sciocchezze con i visitatori, sei fedele e onesto e assicuri le entrate alla chiesa di Dio! È meglio agli occhi del Signore che non la tua preghiera solitaria. Perché rimanere così solo? Con gli altri si prega molto meglio. Dio non ha creato l’uomo perché egli non conosca che se stesso, ma perché ognuno aiuti il suo prossimo, guidandoci l’un l’altro verso la salvezza, ciascuno secondo le sue forze. Guarda i santi e i dottori ecumenici, erano giorno e notte in movimento e in daffare per la Chiesa, predicavano dovunque e non rimanevano in solitudine a nascondersi ai loro fratelli. – Ciascuno riceve da Dio il dono che conviene, padre mio; molti hanno predicato alle folle, e molti sono vissuti nella solitudine. Ciascuno agiva secondo la sua inclinazione e credeva che fosse la via della salvezza indicata da Dio. Ma come spiegate che tanti santi hanno abbandonato tutte le dignità e gli onori della Chiesa e si sono rifugiati nel deserto per non essere tentati dal mondo? Sant’Isacco il Siriaco ha abbandonato così i suoi fedeli e il beato Atanasio l’Atonita ha lasciato il suo monastero; essi consideravano quei luoghi troppo pericolosi e credevano veramente alla parola di Cristo: Che serve all’uomo acquistare il mondo, se perde la sua anima? (Mt 16,26). – Ma essi erano dei grandi santi – replicò il prete. – Se i santi si guardassero con tanta cura dal venire a contatto con gli uomini – gli risposi – cosa non dovrebbe fare un povero peccatore! Infine dissi addio al buon prete e ci separammo da amici. Percorsi dieci verste e mi fermai per trascorrere la notte in un villaggio. Viveva là un contadino gravemente ammalato. Consigliai alla famiglia di farlo comunicare pensando ai santi misteri di Cristo, e la mattina essi mandarono a cercare il prete del villaggio. Io rimasi per inginocchiarmi davanti ai santi doni e per pregare durante la somministrazione del Sacramento. Ero seduto su una panca davanti alla casa e guardavo se il prete arrivava. All’improvviso vedo correre verso di me la fanciulla che avevo visto in preghiera nella cappella. – Come hai fatto a venire qui? – Le dissi. – In casa mia tutto era disposto ormai per le nozze con quello scismatico, e io sono scappata. Poi, gettandosi ai miei piedi, gridò: – Per pietà, prendimi con te e conducimi in un convento, da queste parti, non voglio marito, voglio vivere in un convento recitando la preghiera di Gesù. Ti ascolteranno là, e mi accetteranno. – Di’ un po’, dove vuoi che ti conduca? Non conosco nemmeno un convento, da queste parti, e come potrei prenderti con me senza passaporto? Non potrai fermarti mai in nessun posto. Ti scopriranno subito; sarai ricondotta a casa tua e punita per la tua scappata. Ritorna invece a casa e prega il Signore; e se non ti vuoi sposare, inventa qualche scusa. Questa sarà una "bugia pietosa". Così hanno agito la santa madre di Clemente, la beata Marina, che salvò la sua anima in un monastero di uomini, e tante altre. Mentre noi stavamo così parlando, vedemmo quattro contadini in un biroccino che trottavano dritti verso di noi. Acciuffarono la ragazza e la caricarono sulla carretta: uno di loro partì con lei, gli altri tre mi legarono le mani e mi condussero al borgo nel quale avevo passato l’estate. A tutte le mie spiegazioni essi rispondevano con grida: – Imparerai, santoccio, a sedurre le ragazze! – Verso sera, mi condussero alla prigione, mi fecero mettere i ferri ai piedi e mi fecero rinchiudere in attesa del giudizio per l’indomani. Il prete, avendo saputo che ero in prigione, venne a trovarmi, mi portò la cena, mi consolò e disse che avrebbe preso le mie difese dichiarando, come mio confessore, che io non avevo assolutamente quelle tendenze che mi venivano attribuite. Si trattenne un po’ di tempo con me, poi se ne andò. Sul far della notte passò di là il commissario di polizia del distretto e gli fu raccontata la storia. Egli ordinò che si riunisse il consiglio comunale e si conducesse me al commissariato. Noi entrammo e rimanemmo in piedi ad aspettare. Ad un tratto, ecco il commissario già piuttosto eccitato; sedette al tavolo col suo berrettone ben calato sul capo e disse a voce molto alta: – Ehi, Epifanio, questa ragazza qui, tua figlia, non ha portato via niente da casa? – Nulla, piccolo padre. – Ha fatto qualche stupidaggine con questo scimunito? – No, piccolo padre. – Allora la questione è giudicata e si decide: con tua figlia, regolati tu come vuoi; e questo bel muso, lo pregheremo di svignarsela domattina, dopo una solida correzione che gli levi la voglia di tornare da queste parti. Via! Con queste parole il commissario si alzò in piedi e andò a dormire; io fui ricondotto in prigione. L’indomani mattina, per tempo, vennero due contadini che mi sferzarono di santa ragione e poi mi lasciarono andare; e io partii di là ringraziando il Signore per avermi permesso di soffrire in nome suo. Questo mi consolava e mi incitava anche di più a pregare. Tutti questi incidenti però non mi avevano abbattuto: era come se fossero toccati a un altro e io ne fossi solo lo spettatore; anche durante le sferzate riuscivo a sopportare il dolore; la preghiera, che illuminava il mio cuore, non mi dava tempo per accorgermi di alcun’altra cosa. Dopo quattro verste, incontrai la madre della ragazza che tornava dal mercato. Si fermò e mi disse: – Il fidanzato ci ha piantati. Si è arrabbiato con Akulka, capisci?; perché lei è scappata! –. Poi mi diede del pane e un biscotto, e io ripresi la mia strada. Il tempo era asciutto e non avevo voglia di chiedere ospitalità per la notte in un villaggio: scorsi due mucchi di fieno nel bosco e mi aggiustai là, per passare la notte. Mi addormentai e mi misi a sognare che stavo camminando per la via, e leggevo i capitoli di sant’Antonio il Grande nella Filocalia.
A un tratto mi apparve lo starets e mi disse: – Non è là che devi leggere – e mi indicò il capitolo 35 di Giovanni di Karpathos, nel quale è scritto: "Talvolta il discepolo è dato in pasto alla vergogna e sopporta prove per coloro che ha aiutato spiritualmente". E mi mostrò anche il capitolo 41 in cui si dice: "Tutti coloro che si dedicano più ardentemente alla preghiera sono preda di tentazioni terribili e logoranti" Poi aggiunse: – Fatti coraggio e non abbatterti mai. Ricorda le parole dell’Apostolo: Colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo (1Gv 4,4). Tu ora hai conosciuto per esperienza che non c’è tentazione che sia superiore alle forze dell’uomo. Perché con la tentazione Dio prepara anche una via d’uscita (1Cor 10,13). E dalla speranza nell’aiuto del Signore sono stati sostenuti i Santi che non hanno trascorso la loro vita soltanto a pregare, ma hanno cercato, per amore, di insegnare e di illuminare gli altri. Ecco quanto ha detto in proposito san Gregorio di Tessalonica: "Non ci basta pregare senza posa secondo il comandamento divino, ma bisogna che esponiamo quest’insegnamento a tutti, monaci, laici, gente istruita o gente semplice, uomini, donne o bambini, onde risvegliare in loro lo zelo per la preghiera interiore". Il beato Callisto Telicoudas si esprime nello stesso modo: "L’attività spirituale (ossia la preghiera interiore), dice, la conoscenza contemplativa e i mezzi per elevare l’anima non debbono essere tenuti per noi, ma bisogna comunicarli con la scrittura o con il discorso per il bene e l’amore di tutti. E la parola di Dio dichiara che il fratello aiutato dal fratello è come una città alta e forte (Pr 18,19). Bisogna soltanto fuggire con tutte le nostre forze la vanità e vegliare perché il buon grano dell’insegnamento divino non sia disperso dal vento". Al risveglio sentii nel mio cuore una gioia immensa e nell’anima una forza nuova. E ripresi la mia strada. Molto tempo dopo ebbi un’altra avventura; e se volete, ve la racconterò. Un giorno, il 24 marzo, sentii il bisogno veramente invincibile di comunicarmi ai santi misteri di Cristo nel giorno consacrato alla Madre di Dio, in ricordo della sua annunciazione divina. Chiesi se da quelle parti ci fosse una chiesa; mi fu detto che vene era una a trenta verste da lì. Camminai tutto quel giorno e la notte successiva per arrivare all’ora di mattutino. Era un tempo da lupi, pioggia, neve, vento e gelo. La strada attraversava un ruscello e non avevo fatto che pochi passi quando il ghiaccio scricchiolò e cedette sotto il mio piede, così caddi in acqua fino alla cintola. Arrivai al mattutino tutto inzuppato, ma riuscii almeno ad ascoltare le preghiere e la messa, durante la quale il Signore mi permise di ricevere la comunione. Per passare quel giorno in pace, senza che nulla venisse a turbare la gioia dello spirito, chiesi a un custode di lasciarmi fino all’indomani nella celletta di guardia. Passai tutta quella notte in una gioia indicibile e nella pace del cuore; ero steso su una panca in quella capannetta non riscaldata, come se riposassi sul seno d’Abramo: la preghiera agiva con forza. L’amore per Gesù Cristo e per la Madre di Dio attraversava il mio cuore con onde benefiche e immergeva l’anima mia in un’estasi consolatrice. Stava scendendo la notte, quando avvertii nelle gambe un improvviso dolore, acutissimo, e mi ricordai allora che erano bagnate. Ma ricacciando il pensiero, mi immersi di nuovo nella preghiera e non avvertii più alcun dolore. Quando al mattino mi volli alzare, non riuscivo più a muovere le mie povere gambe. Erano inerti e molli come uno stoppino; il guardiano mi tirò giù dalla panca e rimasi così due giorni senza muovere un dito. Il terzo giorno il guardiano mi cacciò via dalla baracca dicendo: – Se morrai qui, bisognerà poi correre in giro e darsi da fare per te –. Riuscii a trascinarmi sulle mani fino alla scalinata della chiesa e vi rimasi disteso. Trascorsi così due giorni circa; le persone che passavano non prestavano alcuna attenzione né a me né alle mie domande. Finalmente un contadino mi si avvicinò e si mise a chiacchierare. Dopo un po’, mi disse: – Cosa mi dai? Ti voglio guarire. Anch’io ho avuto questo stesso male e conosco un buon rimedio. – Non ho nulla da darti – gli risposi. – Cosa hai nel tuo sacco? – Null’altro che del pane raffermo e dei libri. – Bene, tu lavorerai da me per un’estate se ti guarisco. – Non posso nemmeno lavorare, vedi che ho un braccio che non serve.– Cosa sai fare, insomma? – Niente, salvo leggere e scrivere. – Scrivere? Benissimo. Insegnerai a scrivere a mio figlio, che sa già leggere un pochino e voglio che impari anche a scrivere. Ma i maestri chiedono troppo, venti rubli per insegnare tutto l’alfabeto. Mi misi d’accordo con lui e, con l’aiuto del custode, fui trasportato in casa del contadino, dove venni sistemato in un vecchio bagno in fondo al suo podere. Cominciò allora a curarmi. Raccolse dai campi, dai cortili e dagli immondezzai delle vecchie ossa di animali, di uccelli e di che altro ancora: li lavò, li frantumò in piccolissimi pezzi con un sasso e li mise in una grossa pentola; la incappucciò con un coperchio forato e rovesciò il tutto dentro un vaso che aveva interrato. Spalmò con gran cura il fondo della pentola con uno spesso strato di creta e la coprì di ceppi che lasciò bruciare per più di ventiquattro ore. Mentre disponeva i ceppi, diceva: – Tutto questo farà un bel pastone di ossa. Il giorno dopo dissotterrò il vaso nel quale, attraverso l’orificio del coperchio, era colato quasi un litro di un liquido spesso, rossastro, oleoso e dall’odore di carne fresca; le ossa rimaste nella pentola, da nere e marce, erano diventate di un colore bianco e trasparente quanto la madreperla. Per cinque volte al giorno io mi dovevo frizionare le gambe con quel liquido. Lo credereste? Il giorno dopo mi accorsi che potevo muovere le dita; il terzo potevo piegare le gambe; il quinto mi reggevo in piedi e camminavo per il cortile appoggiandomi a un bastone. In una settimana le gambe erano tornate normali. Ne ringraziai Dio e dicevo tra me: la sapienza di Dio si manifesta nelle sue creature. Delle ossa spolpate e marce, già quasi ritornate alla terra, conservano in sé la forza vitale, un colore e un odore; esercitano un’azione sui corpi vivi, ai quali possono ridare la vita! È un pegno della risurrezione futura. Se avessi potuto far sapere questo portento al guardaboschi con il quale avevo vissuto e che dubitava della risurrezione e dei corpi! Così guarito, cominciai a occuparmi del ragazzo. Scrissi come modello la preghiera di Gesù e gliela feci ricopiare, mostrandogli come vergare le lettere in modo ordinato. Era molto riposante per me, perché il ragazzo prestava servizio tutta la giornata presso il castaldo e veniva da me solo quando il castaldo dormiva, ossia il mattino per tempo. Il fanciullo era sveglio e in poco tempo imparò a scrivere quasi correttamente. Il castaldo, che lo vide scrivere, gli chiese: – Chi ti istruisce? – Il ragazzo rispose che era il pellegrino monco, che viveva da loro nel vecchio bagno. Il castaldo curioso, era un polacco, venne a trovarmi e mi trovò intento a leggere la Filocalia. Parlò un poco con me e mi chiese: – Cosa leggi di bello? Gli mostrai il libro. – Ah, è la Filocalia – disse. Ho veduto questo libro dal curato, quando abitavo a Vilna. Ma ho sentito dire che contiene strane formule e modi per pregare, inventati da certi monaci greci sullo stampo dei santoni indiani e di Buchara, che gonfiano i loro polmoni e credono ciecamente, quando riescono a sentire un pizzicorino nel cuore, che questa sensazione naturale sia una preghiera data da Dio. Bisogna pregare semplicemente, per compiere il nostro dovere verso Dio; quando ci si alza il mattino, si recita il Pater come ha insegnato Gesù Cristo; e questo basta per tutta la giornata. Ma a forza di ripetere sempre la stessa preghiera, si corre il rischio di diventare matti e di guastarsi il cuore. – Non parlate in tal modo di questo santo libro, piccolo padre. Non sono dei semplici monaci che l’hanno scritto, ma antichi e santi personaggi che la vostra Chiesa venera, come Antonio il Grande, Macario il Grande, Marco l’Asceta, Giovanni Crisostomo e altri. I monaci dell’India e di Buchara hanno preso la loro tecnica dalla preghiera del cuore, ma l’hanno deformata e guastata, come mi ha spiegato il mio starets. Nella Filocalia tutti gli insegnamenti sulla preghiera interiore sono tratti dalla Parola divina, dalla santa Bibbia, nella quale Gesù Cristo, pur dicendo di dire il Padrenostro, ha affermato anche che bisognava pregare senza posa, dicendo: Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima (Mt 22,37); osservate, vegliate e pregate (Mc 13,33); voi sarete in me e io in voi (Gv 15,4). E i santi Padri, citando la testimonianza di Davide nei salmi: Gustate e vedete quanto è buono il Signore (Sal 34,9), lo interpretano dicendo che il cristiano deve fare di tutto per conoscere la dolcezza della preghiera, deve senza tregua cercarvi consolazione e non accontentarsi di recitare una volta il Padrenostro. Sentite. Vi leggo quello che i Padri dicono di coloro che non cercano di studiare la benefica preghiera del cuore. Dichiarano che essi commettono un triplice peccato perché, per prima cosa, si mettono in contraddizione con la santa Scrittura; in secondo luogo, non ammettono che vi sia per l’anima uno stato superiore e perfetto: accontentandosi delle virtù esteriori, ignorano la fame e la sete della giustizia e si privano della beatitudine in Dio; in terzo luogo poi, considerando le loro virtù esteriori, cadono spesso nella soddisfazione di sé e nella vanità. – Tu leggi certo cose molto elevate – disse il castaldo – ma come possiamo, noi laici, seguire simile via? – Ecco, ora vi leggo come degli uomini dabbene hanno potuto, anche se laici, imparare la preghiera perpetua. Presi nella Filocalia il trattato di Simeone il Nuovo Teologo sul giovane Giorgio e mi misi a leggere. Il brano piacque al castaldo che mi disse: – Dammi quel libro e lo leggerò nei miei momenti liberi. – Se volete, ve lo posso lasciare per un giorno, ma non di più, perché io lo leggo di continuo e non posso farne a meno. – Ma tu potresti almeno copiarmi quel passo; ti darò del denaro. – Non ho bisogno di denaro, ma lo copierò volentieri, sperando che Dio vi dia l’ardore per la preghiera. Copiai immediatamente il passo che avevo letto. Egli lo lesse a sua moglie e tutti e due lo trovarono molto bello. Da quel giorno essi mi mandarono ogni tanto a chiamare. Io leggevo ed essi stavano a sentire, mentre bevevano il tè. Un giorno mi trattennero a pranzo. La moglie del castaldo, una simpatica vecchia signora, stava con noi e, mentre mangiava del pesce ai ferri, inghiottì una lisca. Malgrado tutti i nostri sforzi, non riuscimmo a liberarla; ed essa accusava un forte male alla gola e dopo un paio d’ore dovette mettersi a letto. Si mandò a cercare un medico a trenta verste da lì, e io tornai nella mia stanza piuttosto rattristato. Durante la notte io, che avevo il sonno molto leggero, sentii la voce del mio starets, ma non vidi alcuno. La voce mi diceva: – Il tuo padrone ti ha guarito e tu non puoi far nulla per il castaldo? Dio ci ha ordinato di andare incontro al nostro prossimo che soffre. – Lo aiuterei più che volentieri, ma in che modo? Non so proprio alcun rimedio. – Ecco che cosa bisogna fare: essa ha sempre avuto una ripugnanza fortissima per l’olio di ricino; basta l’odore per provocarle la nausea; se tu le dai un cucchiaio di olio di ricino, lei vomiterà, uscirà la lisca e l’olio lenirà la ferità della gola; così quella povera signora guarirà. – E come potrò farglielo bere, se lei ha una ripugnanza così forte? – Prega il castaldo di tenerle ferma la testa e versale il liquido in bocca con mano ferma. – Mi scossi dal sonno e corsi dal castaldo, al quale narrai ogni cosa nei più minimi particolari. Egli mi disse: – Che vuoi che possa fare il tuo olio? Mia moglie ha già la febbre e sta delirando, il suo collo è tutto gonfio. In ogni modo si può tentare; se l’olio non le farà bene, non le potrà fare nemmeno male. Versò l’olio di ricino in un bicchierino e riuscimmo a farglielo ingoiare. Ella ebbe subito un conato di vomito e sputò la lisca con un po’ di sangue. Si sentì meglio e si addormentò profondamente. Il giorno dopo andai per sentire sue notizie e la trovai mentre col marito stava sorbendo il suo tè. Erano molto stupiti della sua guarigione, e soprattutto di quello che mi era stato detto in sogno sulla sua ripugnanza invincibile per l’olio di ricino, perché non ne avevano mai parlato con nessuno. In quel momento arrivò il medico: la signora gli raccontò come era stata guarita e io come il contadino mi aveva curato le gambe. Il medico dichiarò: – Non sono due casi straordinari. È una forza di natura che ha agito tutte e due le volte, ma me lo voglio segnare per ricordarmelo. Trasse una matita dalla tasca e scrisse alcuni appunti su un suo notes. Si diffuse rapidamente la voce che io ero un indovino, un guaritore e un mago; venivano a vedermi da ogni paese, per chiedermi consigli, per portarmi dei regali, e cominciavano a venerarmi come un santo. Allora, dopo una settimana di queste cose, io riflettei ben bene ed ebbi timore di cadere nella vanità e nella dissipazione. La notte dopo lasciai di nascosto io villaggio. Così ripresi ancora una volta la mia via solitaria, leggero come se una montagna mi fosse caduta dalle spalle. La preghiera mi consolava sempre di più; a volte il mio cuore traboccava di un amore infinito per Gesù Cristo, e da quella meravigliosa pienezza si spandevano in tutto il mio essere onde benefiche. L’immagine di Gesù Cristo era così impressa nella mia anima che, pensando agli avvenimenti del Vangelo, potevo dire di vederli proprio davanti ai miei occhi. Ero commosso e piangevo di gioia, e talvolta sentivo nel mio cuore una tale felicità che non la saprei descrivere. A volte restavo ben tre giorni lontano da ogni abitato umano e con estasi mi sentivo sulla terra solo, miserabile peccatore davanti a Dio misericordioso e amico degli uomini. Questa solitudine faceva la mia felicità e la dolcezza della preghiera era molto più sensibile che non il contatto con gli uomini. Infine arrivai ad Irkutsk. Dopo essermi inginocchiato davanti alle reliquie di sant’Innocente, mi chiesi dove potevo ormai andare. Non avevo voglia di rimanere a lungo nella città, perché era molto popolata. Camminavo per le vie e riflettevo tra me. A un tratto incontrai un mercante del paese che mi fermò e disse: – Sei un pellegrino? Perché non vieni a casa mia? Arrivammo nella sua magnifica casa. Mi domandò chi ero e gli raccontai del mio viaggio. A queste parole mi disse: – Dovresti andare fino all’antica Gerusalemme. Laggiù c’è una santità che non è pari a nessun’altra! – Vi andrei volentieri – gli risposi – ma non ho di che pagare la traversata, perché il denaro che ci vuole è molto. – Se vuoi, ti posso indicare un mezzo – disse il mercante –. L’anno scorso ho mandato laggiù un vecchio che era nostro amico. Caddi ai suoi piedi, ed egli soggiunse: – Stammi a sentire. Io ti darò una lettera per mio figlio che sta a Odessa e commercia con Costantinopoli; egli ha delle navi, ti farà imbarcare fino a Costantinopoli e di là le sue agenzie ti pagheranno il viaggio fino a Gerusalemme. Non è poi tanto caro. Ringraziai calorosamente, colmo di gioia, il benefattore e tanto più ringraziai Dio che manifestava il suo amore paterno per me, peccatore indurito, che non faceva alcun bene né a sé né agli altri e che mangiava inutilmente il pane altrui. Sono rimasto tre giorni con quel generoso mercante. Egli mi ha dato una lettera per suo figlio e ora sto andando a Odessa nella speranza di raggiungere la città santa di Gerusalemme. Ma non so se il Signore mi concederà di inginocchiarmi davanti al suo sepolcro di vita.