venerdì 30 gennaio 2015
STORIE E APOFTEGMI DEI GRANDI PADRI SPIRITUALI DEL MONACHESIMO RUMENO DETTI E GESTI DI INSEGNAMENTO DI PADRE CLEOPA DI SIHASTRIA
«Quando tu dici "Signore Gesù..." tutto l'inferno trema, se solo lo dici dal cuore»
«Devi avere nella mano destra il timore di Dio e nella mano sinistra la meditazione della morte. E poi nella mente e nel cuore la preghiera di Gesù. Così diventerai santo, fratello mio»
«Abbiate il cuore di un figlio verso Dio, verso il vostro prossimo il cuore di una madre e la mente di un giudice verso voi stessi»
«Che cos'è la preghiera pura?»
«Dirla con la bocca, comprenderla con la mente e sentirla nel cuore»
mercoledì 28 gennaio 2015
Ufficio del Mattutino La dodicesima Preghiera
Lodiamo, celebriamo, benediciamo te, Dio dei nostri padri, e ti rendiamo grazie, perché hai fatto passare il buio della notte e ci hai mostrato di nuovo la luce del giorno; imploriamo dunque la tua bontà: cancella i nostri peccati e accogli la nostra supplica, nella tua grande misericordia, poiché ci rifugiamo presso di te, Dio misericordioso e onnipotente. Fa' risplendere nei nostri cuori il vero sole della tua giustizia: illumina la nostra mente e custodisci tutti i sensi, perché, percorrendo nobilmente come alla luce del giorno la via dei tuoi precetti, raggiungiamo la vita eterna - poiché presso di te è la sorgente della vita - e siamo resi degni di godere della tua luce inaccessibile. Poiché sei tu il nostro Dio, e a te innalziamo la gloria: al Padre, e al Figlio, e al santo Spirito, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Amen.
Dodicesima preghiera del Mattutino
lunedì 26 gennaio 2015
St Jean Chrysostome (Sur la prière)
La
prière, c‘est la source du salut, pour l'âme le principe de
l'immortalité, pour l’Église un rempart indestructible, un fort
inébranlable : terrible au démon, elle est salutaire aux
cœurs religieux. C’est la prière qui donna la vie au prophète Samuel
tandis que la nature condamnait sa mère à la stérilité, la prière vint efficacement suppléer à l'impuissance de la nature (I
Reg. 1). Tel a été le fruit de la prière, tel est le prophète auquel la
prière a donné la vie. Aussi Samuel est-il devenu célèbre dans les
cieux, ayant imité les anges au delà des forces humaines. Tel devait
être cet épi de la prière; il devait s’élever au-dessus des autres par
son amour du bien, ses mœurs vertueuses; il devait se distinguer des
saints qui l'avaient précédé, comme on voit dans les moissons des épis
magnifiques se distinguer de tous les autres. C'est avec la prière que David vint heureusement à bout de si nombreuses et de si terribles guerres.
ll ne mettait pas les armes en mouvement, il n'agitait pas les
javelots, il ne brandissait pas le glaive; les prières étaient toute sa
défense. C’est avec la prière qu'Ézéchias mit en fuite la multitude des Perses.
Tandis que ceux-ci approchaient des murailles leurs machines de guerre,
Êzéchias n’avait pour défense que ses prières, et la prière terminait
la guerre sans l'intervention des armes, sans que le clairon sonnât,
sans que l'armée sortit de son repos, sans qu’elle usât de ses armes,
sans que la terre fût ensanglantée : il suffit de 1a prière pour frapper
les ennemis d'épousante.
C'est encore la prière qui sauva les Ninivites, qui détourna la
colère céleste prête à éclater sur eux, et qui les tira promptement de
la corruption où ils vivaient. Telles sont en effet, la vertu et la
puissance de la prière qu’à peine eut-elle pénétré dans cette ville
livrée depuis longtemps aux vices et aux turpitudes, qu’elle en changea
la face tout entière et qu’elle y introduisit avec elle la chasteté,
l'affection, la concorde, le soin des pauvres et toute sorte de biens.
De même qu'une reine entrant dans une ville attire à sa suite une foule
de richesses ainsi la prière lorsqu'elle entre dans une âme, y est
suivie de toutes les vertus. Ce que
l'édifice est aux fondements, l’âme l'est à la prière. À nous donc de
l'établir solidement dans nos âmes comme une racine et un fondement,
puis d’élever avec ardeur la tempérance, la mansuétude, la justice,
le soin des pauvres, et toutes les lois du Christ, afin de
vivre désormais conformément à ce qu’elles prescrivent et d’obtenir les
biens célestes par la grâce et la charité de Notre-Seigneur
Jésus-Christ, par lequel et avec lequel gloire et puissance soient au
Père, en l'unité du Saint Esprit, dans les siècles des siècles.
domenica 25 gennaio 2015
La croce di Cristo, nostra salvezza (S. Teodoro Studita, abate, Discorso sull'adorazione della croce; PG 99, 691-694, 695. 698-699)
La croce di Cristo, nostra salvezza
(S. Teodoro Studita, abate, Discorso sull'adorazione della croce; PG 99,
691-694, 695. 698-699)
O dono preziosissimo della croce! Quale splendore appare alla vista! Tutta
bellezza e tutta magnificenza. Albero meraviglioso all'occhio e al gusto e non
immagine parziale di bene e di male come quello dell'Eden.
E' un albero che dona la vita, non la morte, illumina e non ottenebra, apre
l'udito al paradiso, non espelle da esso.
Su quel legno sale Cristo, come un re sul carro trionfale. Sconfigge il diavolo
padrone della morte e libera il genere umano dalla schiavitù del tiranno. Su
quel legno sale il Signore, come un valoroso combattente. Viene ferito in
battaglia alle mani, ai piedi e al divino costato. Ma con quel sangue guarisce
le nostre lividure, cioè la nostra natura ferita dal serpente velenoso.
Prima venimmo uccisi dal legno, ora invece per il legno recuperiamo la vita.
Prima fummo ingannati dal legno, ora invece con il legno scacciamo l'astuto
serpente. Nuovi e straordinari mutamenti! Al posto della morte ci viene data la
vita, invece della corruzione l'immortalità, invece del disonore la gloria.
Perciò non senza ragione esclama il santo Apostolo: «Quanto a me non ci sia
altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della
quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo» (Gal 6, 14).
Quella somma sapienza che fiorì dalla croce rese vana la superba sapienza del
mondo e la sua arrogante stoltezza. I beni di ogni genere, che ci vennero dalla
croce, hanno eliminato i germi della cattiveria e della malizia. All'inizio del
mondo solo figure e segni premonitori di questo legno notificavano ed indicavano
i grandi eventi del mondo. Stai attento, infatti tu, chiunque tu sia, che hai
grande brama di conoscere. Noè non ha forse evitato per sé, per tutti i suoi
familiari ed anche per il bestiame, la catastrofe del diluvio, decretata da Dio,
in virtù di un piccolo legno? Pensa alla verga di Mosè. Non fu forse un simbolo
della croce? Cambiò l'acqua in sangue, divorò i serpenti fittizi dei maghi,
percosse il mare e lo divise in due parti, ricondusse poi le acque del mare al
loro normale corso e sommerse i nemici, salvò invece coloro che erano il popolo
legittimo. Tale fu anche la verga di Aronne, simbolo della croce, che fiorì in
un solo giorno e rivelò il sacerdote legittimo. Anche Abramo prefigurò la croce
quando legò il figlio sulla catasta di legna.
La morte fu uccisa dalla croce e Adamo fu restituito alla vita. Della croce
tutti gli apostoli si sono gloriati, ogni martire ne venne coronato, e ogni
santo santificato. Con la croce abbiamo rivestito Cristo e ci siamo spogliati
dell'uomo vecchio. Per mezzo della croce noi, pecorelle di Cristo, siamo stati
radunati in un unico ovile e siamo destinati alle eterne dimore.
sabato 24 gennaio 2015
25 gennaio 2015 -Domenica di Zaccheo..Le letture bibliche della Divina Liturgia
Domenica di Zaccheo..Le letture bibliche della Divina Liturgia
Luca 19,1-10
Zaccheo
1 Poi Gesù, entrato in Gerico, l'attraversava; 2 ed ecco un uomo, chiamato Zaccheo, il quale era il capo dei pubblicani ed era ricco. 3 Egli cercava di vedere chi fosse Gesù, ma non poteva a motivo della folla, perché era piccolo di statura. 4 Allora corse avanti e salì su un sicomoro per vederlo, perché egli doveva passare di là. 5 E, quando Gesù arrivò in quel luogo, alzò gli occhi, lo vide e gli disse: «Zaccheo, scendi giù subito, perché oggi devo fermarmi in casa tua». 6 Ed egli scese in fretta e lo ricevette con gioia. 7 Vedendo ciò, tutti mormoravano, dicendo: «Egli è andato ad alloggiare in casa di un uomo peccatore». 8 Ma Zaccheo si alzò e disse al Signore: «Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e, se ho defraudato qualcuno di qualcosa, gli restituirò quattro volte tanto». 9 E Gesù gli disse: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anche costui è figlio d'Abrahamo. 10 Perché il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
1 Poi Gesù, entrato in Gerico, l'attraversava; 2 ed ecco un uomo, chiamato Zaccheo, il quale era il capo dei pubblicani ed era ricco. 3 Egli cercava di vedere chi fosse Gesù, ma non poteva a motivo della folla, perché era piccolo di statura. 4 Allora corse avanti e salì su un sicomoro per vederlo, perché egli doveva passare di là. 5 E, quando Gesù arrivò in quel luogo, alzò gli occhi, lo vide e gli disse: «Zaccheo, scendi giù subito, perché oggi devo fermarmi in casa tua». 6 Ed egli scese in fretta e lo ricevette con gioia. 7 Vedendo ciò, tutti mormoravano, dicendo: «Egli è andato ad alloggiare in casa di un uomo peccatore». 8 Ma Zaccheo si alzò e disse al Signore: «Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e, se ho defraudato qualcuno di qualcosa, gli restituirò quattro volte tanto». 9 E Gesù gli disse: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anche costui è figlio d'Abrahamo. 10 Perché il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
1Timoteo 4,9-15
9 Questa parola è sicura e degna di essere accettata in ogni maniera. 10 Per
questo infatti ci affatichiamo e siamo vituperati, poiché abbiamo
sperato nel Dio vivente, il quale è il Salvatore di tutti gli uomini e principalmente dei credenti. 11 Comanda queste cose ed insegnale. 12 Nessuno
disprezzi la tua giovinezza, ma divieni esempio ai fedeli nella parola,
nella condotta, nell'amore, nello Spirito, nella fede e nella castità. 13 Applicati alla lettura, all'esortazione e all'insegnamento, finché io venga. 14 Non trascurare il dono che è in te, che ti è stato dato per profezia, con l'imposizione delle mani da parte del collegio degli anziani. 15 Adoperati per queste cose e dedicati ad esse interamente, affinché il tuo progresso sia manifesto a tutti.
martedì 20 gennaio 2015
meditazioni di san Massimo il confessore
"Soprattutto il grande, il primo rimedio
per la nostra salvezza, l’eredità luminosa della fede, è quella di confessare
di cuore e con le labbra quanto i Padri ci hanno insegnato, di seguire coloro
che sono stati testimoni oculari e ministri del Verbo sin dall’inizio".
Io –
proclama Massimo – non ho dogmi particolari, se non ciò che
è comune alla Chiesa cattolica. Non ho mai alzato la voce per affermare un
dogma che mi era particolare”
Quando superò l'età dell'allattamento e compì tre anni, i suoi beati genitori la portarono al tempio di Dio e la consacrarono quale offerta, secondo la promessa che avevano fatto prima che nascesse. La condussero con gloria e onore, come era giusto; molte vergini la precedevano e l'accompagnavano con lampade accese, come aveva preannunciato un giorno il re profeta [Davide], antenato della Vergine immacolata, dicendo: È presentata al re in preziosi ricami; con lei le vergini compagne a te sono condotte (Sal 44 [45] 15). Il profeta aveva detto questo in precedenza, a proposito della presentazione al tempio e delle vergini che la precedevano e l'accompagnavano.
Tuttavia, questa profezia non riguarda solamente quelle vergini, ma si riferisce anche alle anime vergini che seguirono i loro passi, anime che il profeta ha chiamato “suoi amici". Anche se tutti sono inferiori a Lei nell'amicizia e nella somiglianza, tuttavia, per grazia e bontà di suo Figlio, il Signore, le anime dei santi sono chiamate “suoi amici"; d'altra parte, lo stesso Signore e Creatore dell'universo non ha considerato indegno chiamare “fratelli" quelli che gli sono grati e lo imitano. In realtà, tutte le anime dei giusti che arriveranno ad essere “suoi amici" mediante l'esercizio della santità, godranno del suo aiuto, saranno spiritualmente unite al Signore suo Figlio e saranno introdotte nel Santo dei Santi celeste».
Vita di Maria, attribuita a San Massimo il Confessore (VII secolo).
Dalle «Risposte a Talassio» di san Massimo il Confessore, abate
(Risp. 63; PG 90, 667-670)
(Risp. 63; PG 90, 667-670)
Luce che illumina ogni uomo
La
lampada posta sul candelabro è la luce del Padre, quella vera, che
illumina ogni uomo che viene al mondo (Cfr. Gv 1,9). È il Signore nostro
Gesù Cristo che, prendendo da noi la nostra carne, divenne e fu
chiamato lampada, cioè sapienza e parola connaturale del Padre. È questa
lampada che la Chiesa di Dio mostra con fede e amore nella
predicazione, e che viene tenuta alta e splende agli occhi dei popoli
nella vita santa dei fedeli e nella loro condotta ispirata ai
comandamenti. Essa fa luce a tutti quelli della casa cioè a tutti gli
uomini di questo mondo e perciò la stessa divina parola dice: «Né si
accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere
perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5,15). Il
Verbo chiama se stesso lucerna in quanto, essendo Dio per natura, si
fece uomo per dispensare la sua luce.Ed anche il grande Davide comprese tutto questo, io penso, quando chiamò il Signore lucerna dicendo: «Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Sal 118,105). Infatti il mio salvatore e mio Dio sa disperdere le tenebre dell'ignoranza e del vizio, ed anche per questo la Scrittura lo chiamò lucerna.
Egli con la sua potenza e sapienza ha dissipato, come fa il sole, ogni nebbia di ignoranza e di vizio, e guida coloro che camminano con lui sulla via della giustizia e dei comandamenti divini.
Chiamò lucerniere la santa Chiesa, perché in essa risplende la parola di Dio mediante la predicazione, e così, con i bagliori della verità, illumina quanti si trovano in questo mondo come in una casa, arricchendo le intelligenze con la conoscenza di Dio.
Questa parola annunziata dalla Chiesa esige di essere posta sulla sommità del lucerniere cioè all'apice dell'onore e dell'impegno di cui la Chiesa è capace. Infatti finché la parola è nascosta dalla lettera della legge come da un moggio, lascia tutti privi della luce eterna. Essa non può trasmettere la visione spirituale a chi non si sforzi di togliere il velo del senso materiale che trae in inganno e può addirittura fuorviare verso l'errore e la falsità. Invece va posta sul lucerniere della Chiesa. Ciò significa che la parola rivelata va intesa nel senso interiore e spirituale, spiegato dalla Chiesa stessa. Solo così potrà veramente illuminare ogni uomo che si trova nel mondo. Se infatti la Scrittura non viene intesa spiritualmente, mostra solo un significato superficiale e parziale e non può far giungere al cuore tutta la sua ricca sostanza. Guardiamoci dunque dal porre sotto il moggio la lucerna, che accendiamo con la contemplazione e la pratica coerente della parola, cioè non mortifichiamo quella sua energia potente che dà luce e conoscenza. Non riduciamo colpevolmente la indescrivibile vitalità della sapienza a causa della lettera; ma poniamo la lucerna sopra il lucerniere cioè sulla santa Chiesa, di modo che dall'alta cima di una interpretazione autentica ed esatta, mostri a tutti lo splendore delle verità divine.
venerdì 16 gennaio 2015
la pericope evangelica dei 10 lebbrosi
Luca 17,11-19
Guarigione di dieci lebbrosi11 Or avvenne che, nel suo cammino verso Gerusalemme, egli passò attraverso la Samaria e la Galilea. 12 E, come egli entrava in un certo villaggio, gli vennero incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono a distanza, 13 e alzarono la voce, dicendo: «Maestro, Gesù, abbi pietà di noi». 14 Ed egli, vedutili, disse loro: «Andate a mostrarvi ai sacerdoti». E avvenne che, mentre se ne andavano, furono mondati. 15 E uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro glorificando Dio ad alta voce. 16 E si gettò con la faccia a terra ai piedi di Gesù, ringraziandolo. Or questi era un Samaritano. 17 Gesù allora prese a dire: «Non sono stati guariti tutti e dieci? Dove sono gli altri nove? 18 Non si è trovato nessuno che sia ritornato per dare gloria a Dio, se non questo straniero?». 19 E disse a questi: «Alzati e va'; la tua fede ti ha guarito».
lunedì 12 gennaio 2015
Ilario di Poitiers De Trinitate, III,20; VII,12. PL 10,87-88. 209.
De Trinitate, III,20; VII,12. PL 10,87-88. 209.
Porgo ascolto al Signore e credo alle cose che sono state scritte.
Perciò so che, subito dopo la risurrezione, Cristo spesso si offrì in
corpo alla vista di molti ancora increduli. E precisamente si fece
vedere a Tommaso, che non voleva credere se non avesse potuto toccare
con mano le sue ferite, così come disse: Se non vedo nelle sue mani
il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto
la mia mano nel suo costato, non crederò. Il Signore si adatta
alla nostra debole mente e, per chiarire i dubbi di chi non riesce a
credere, opera un miracolo caratteristico della sua invisibile potenza.
Tu che indaghi minuziosamente le realtà celesti, chiunque tu possa
essere, spiegami il modo con cui avviene questo fatto. I discepoli erano
in un ambiente chiuso e tutti quanti insieme tenevano una riunione in
un luogo appartato. Ed ecco il Signore, per rendere ferma la fede di
Tommaso, accetta la sfida, si presenta e offre la possibilità di palpare
il suo corpo, di toccare con mano la sua ferita. Naturalmente, poiché
doveva essere riconosciuto per le sue ferite, egli dovette mostrarsi con
il corpo che aveva ricevuto le ferite.
All'incredulo io domando attraverso quali parti dell'abitazione che
era chiusa, Cristo, dotato di corpo com'era, poté penetrare. Con molta
precisione l'Evangelista annota infatti: Venne Gesù a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro.
Forse che, penetrando nella struttura delle pareti e nella compattezza
delle parti in legno, attraversò la loro natura impenetrabile? Infatti,
eccolo lì in mezzo a loro con un corpo reale, non sotto apparenze
simulate o false.
Segui,
dunque, con gli occhi della tua mente la via battuta da lui nel
penetrare, accompagnalo con la vista dell'intelletto mentre entra
nell'abitazione chiusa.
Tutte le aperture sono intatte e sbarrate, ma ecco compare in mezzo
colui al quale tutto è accessibile in virtù della sua potenza. Tu vai
cavillando sui fatti invisibili, io a te domando la spiegazione di fatti
visibili. Non viene meno in alcun modo la compattezza e il materiale
ligneo e pietroso non lascia passare cosa alcuna attraverso gli elementi
che lo compongono, per una specie di infiltrazione impercettibile. Il
corpo del Signore non perde la sua natura fisica per poi riprenderla dal
nulla: eppure di dove viene colui che si ferma in mezzo? A queste
domande si arrendono pensiero e parola, e il fatto nella sua verità
supera l'umana capacità di intendere.
Tommaso esclama: Mio Signore e mio Dio! Dunque, colui che egli confessa come Dio è il suo Dio. Senza dubbio Tommaso non ignorava le parole del Signore: Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo.Come
la fede di un Apostolo, professando Cristo come Dio, poté dimenticare
il massimo precetto che ordina di vivere nella confessione dell'unità
divina? Ma la potenza della risurrezione fece intendere all'Apostolo il
mistero della fede nella sua pienezza. Già sovente egli aveva udito le
parole di Gesù: Io e il Padre siamo una cosa sola. Tutto quello che il Padre possiede è mio. Io sono nel Padre e il Padre è in me. Ormai, senza pericolo per la fede, Tommaso può attribuire a Cristo il nome che designa la natura divina.
La sua fede schietta non esclude di credere nell'unico Dio Padre
proclamando la divinità del Figlio di Dio. Infatti, egli crede che il
Figlio di Dio non possiede una natura diversa da quella del Padre.
E la fede nell'unica natura non correva il rischio di trasformarsi
in empia confessione di un secondo Dio, perché la perfetta nascita di
Dio non aveva portato una seconda natura divina. Pertanto, fu con piena
conoscenza della verità contenuta nel mistero evangelico che Tommaso
confessò il suo Signore e il suo Dio. Qui non si tratta di un titolo
d'onore, ma del riconoscimento della sua natura. Egli credette che
Cristo era Dio nella piena realtà della sua sostanza e della sua
potenza.
Il Signore confermò che l'affermazione di Tommaso non era un semplice riconoscimento di onore, ma atto di fede, dicendo: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!
Infatti, Tommaso credette perché vide. Ma tu mi puoi domandare: Che
cosa ha creduto? Che cosa poté credere se non ciò che ha dichiarato: Mio Signore e mio Dio?
Nessuna natura, se non quella divina, avrebbe potuto risorgere per
propria virtù dalla morte alla vita; e la sicurezza di una fede ormai
certa fa professare a Tommaso questa verità, cioè che è Dio.
Non possiamo pensare che il nome Dio
non indichi una natura reale. Infatti quel nome non è forse stato
pronunziato in base a una fede nella natura divina fondata su prove?
Sicuramente quel Figlio, devoto al Padre suo, che faceva non la sua
volontà, ma quella di colui che lo aveva mandato e cercava non la
propria gloria, ma quella di colui dal quale era venuto, avrebbe
ricusato nei propri confronti l'onore implicito in un nome del genere,
per non distruggere l'unità divina che aveva proclamato.
Ma in realtà, egli conferma il mistero espresso dalla fede
dell'Apostolo e accetta come suo il nome che indica la natura del Padre;
così egli insegnò che erano beati coloro che, pur non avendo visto
quando risorgeva dai morti, afferrando il senso della risurrezione
avevano creduto che egli era Dio.
meditazione (eremitica e monastica) sul nostro padre tra i Santi Ilario di Poitiers
Oggi vorrei parlare di un grande Padre della Chiesa di Occidente,
sant’Ilario di Poitiers, una delle grandi figure di Vescovi del IV
secolo. Nel confronto con gli ariani, che consideravano il Figlio di Dio
Gesù una creatura, sia pure eccellente, ma solo creatura, Ilario ha
consacrato tutta la sua vita alla difesa della fede nella divinità di
Gesù Cristo, Figlio di Dio e Dio come il Padre, che lo ha generato fin
dall’eternità.
Non disponiamo di dati sicuri sulla maggior parte della vita di Ilario. Le fonti antiche dicono che nacque a Poitiers, probabilmente verso l’anno 310. Di famiglia agiata, ricevette una solida formazione letteraria, ben riconoscibile nei suoi scritti. Non sembra che sia cresciuto in un ambiente cristiano. Egli stesso ci parla di un cammino di ricerca della verità, che lo condusse man mano al riconoscimento del Dio creatore e del Dio incarnato, morto per darci la vita eterna. Battezzato verso il 345, fu eletto Vescovo della sua città natale intorno al 353-354. Negli anni successivi Ilario scrisse la sua prima opera, il Commento al Vangelo di Matteo. Si tratta del più antico commento in lingua latina che ci sia pervenuto di questo Vangelo. Nel 356 Ilario assiste come Vescovo al sinodo di Béziers, nel sud della Francia, il «sinodo dei falsi apostoli», come egli stesso lo chiama, dal momento che l’assemblea fu dominata dai Vescovi filoariani, che negavano la divinità di Gesù Cristo. Questi «falsi apostoli» chiesero all’imperatore Costanzo la condanna all’esilio del Vescovo di Poitiers. Così Ilario fu costretto a lasciare la Gallia durante l’estate del 356.
Esiliato in Frigia, nell’attuale Turchia, Ilario si trovò a contatto con un contesto religioso totalmente dominato dall’arianesimo. Anche lì la sua sollecitudine di Pastore lo spinse a lavorare strenuamente per il ristabilimento dell’unità della Chiesa, sulla base della retta fede formulata dal Concilio di Nicea. A questo scopo egli avviò la stesura della sua opera dogmatica più importante e conosciuta: La Trinità. In essa Ilario espone il suo personale cammino verso la conoscenza di Dio e si preoccupa di mostrare che la Scrittura attesta chiaramente la divinità del Figlio e la sua uguaglianza con il Padre, non soltanto nel Nuovo Testamento, ma anche in molte pagine dell’Antico, in cui già appare il mistero di Cristo. Di fronte agli ariani egli insiste sulla verità dei nomi di Padre e di Figlio e sviluppa tutta la sua teologia trinitaria partendo dalla formula del Battesimo donataci dal Signore stesso: «Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».
Il Padre e il Figlio sono della stessa natura. E se alcuni passi del Nuovo Testamento potrebbero far pensare che il Figlio sia inferiore al Padre, Ilario offre regole precise per evitare interpretazioni fuorvianti: alcuni testi della Scrittura parlano di Gesù come Dio, altri invece mettono in risalto la sua umanità. Alcuni si riferiscono a Lui nella sua preesistenza presso il Padre; altri prendono in considerazione lo stato di abbassamento (kénosis), la sua discesa fino alla morte; altri, infine, lo contemplano nella gloria della risurrezione. Negli anni del suo esilio Ilario scrisse anche il Libro dei Sinodi, nel quale riproduce e commenta per i suoi confratelli Vescovi della Gallia le confessioni di fede e altri documenti dei sinodi riuniti in Oriente intorno alla metà del IV secolo. Sempre fermo nell’opposizione agli ariani radicali, sant’Ilario mostra uno spirito conciliante nei confronti di coloro che accettavano di confessare che il Figlio era somigliante al Padre nell’essenza, naturalmente cercando di condurli verso la piena fede, secondo la quale non vi è soltanto una somiglianza, ma una vera uguaglianza del Padre e del Figlio nella divinità. Anche questo mi sembra caratteristico: lo spirito di conciliazione che cerca di comprendere quelli che ancora non sono arrivati e li aiuta, con grande intelligenza teologica, a giungere alla piena fede nella divinità vera del Signore Gesù Cristo.
Nel 360 o nel 361 Ilario poté finalmente tornare dall’esilio in patria e subito riprese l’attività pastorale nella sua Chiesa, ma l’influsso del suo magistero si estese di fatto ben oltre i confini di essa. Un sinodo celebrato a Parigi nel 360 o nel 361 riprende il linguaggio del Concilio di Nicea. Alcuni autori antichi pensano che questa svolta antiariana dell’episcopato della Gallia sia stata in larga parte dovuta alla fortezza e alla mansuetudine del Vescovo di Poitiers. Questo era appunto il suo dono: coniugare fortezza nella fede e mansuetudine nel rapporto interpersonale. Negli ultimi anni di vita egli compose ancora i Trattati sui Salmi, un commento a cinquantotto Salmi, interpretati secondo il principio evidenziato nell’introduzione dell’opera: «Non c’è dubbio che tutte le cose che si dicono nei Salmi si devono intendere secondo l’annunzio evangelico, in modo che, qualunque sia la voce con cui lo spirito profetico ha parlato, tutto sia comunque riferito alla conoscenza della venuta del Signore nostro Gesù Cristo, alla sua incarnazione, passione e regno, e alla gloria e potenza della nostra risurrezione» (Istruzione sui Salmi 5). Egli vede in tutti i Salmi questa trasparenza del mistero di Cristo e del suo Corpo, che è la Chiesa. In diverse occasioni Ilario si incontrò con san Martino: proprio vicino a Poitiers il futuro Vescovo di Tours fondò un monastero, che esiste ancor oggi. Ilario morì nel 367. La sua memoria liturgica si celebra il 13 gennaio. Nel 1851 il beato Pio IX lo proclamò Dottore della Chiesa Cattolica
Per riassumere l’essenziale della sua dottrina, vorrei dire che Ilario trova il punto di partenza della sua riflessione teologica nella fede battesimale. Nel De Trinitate Ilario scrive: Gesù «ha comandato di battezzare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (cfr Mt 28,19), cioè nella confessione dell’Autore, dell’Unigenito e del Dono. Uno solo è l’Autore di tutte le cose, perché uno solo è Dio Padre, dal quale tutto procede. E uno solo il Signore nostro Gesù Cristo, mediante il quale tutto fu fatto (1 Cor 8,6), e uno solo è lo Spirito (Ef 4,4), dono in tutti ... In nulla potrà essere trovata mancante una pienezza così grande, in cui convergono nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo l’immensità nell’Eterno, la rivelazione nell’Immagine, la gioia nel Dono» (2,1). Dio Padre, essendo tutto amore, è capace di comunicare in pienezza la sua divinità al Figlio. Trovo particolarmente bella la seguente formula di sant’Ilario: «Dio non sa essere altro se non amore, non sa essere altro se non Padre. E chi ama non è invidioso, e chi è Padre lo è nella sua totalità. Questo nome non ammette compromessi, quasi che Dio sia padre in certi aspetti, e in altri non lo sia» (ibid., 9,61).
Per questo il Figlio è pienamente Dio senza alcuna mancanza o diminuzione: «Colui che viene dal perfetto è perfetto, perché chi ha tutto, gli ha dato tutto» (ibid., 2,8). Soltanto in Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, trova salvezza l’umanità. Assumendo la natura umana, Egli ha unito a sé ogni uomo, «si è fatto la carne di tutti noi» (Trattato sui Salmi 54,9); «ha assunto in sé la natura di ogni carne e, divenuto per mezzo di essa la vite vera, ha in sé la radice di ogni tralcio» (ibid., 51,16). Proprio per questo il cammino verso Cristo è aperto a tutti – perché egli ha attirato tutti nel suo essere uomo –, anche se è richiesta sempre la conversione personale: «Mediante la relazione con la sua carne, l’accesso a Cristo è aperto a tutti, a patto che si spoglino dell’uomo vecchio (cfr Ef 4,22) e lo inchiodino alla sua croce (cfr Col 2,14); a patto che abbandonino le opere di prima e si convertano, per essere sepolti con Lui nel suo Battesimo, in vista della vita (cfr Col 1,12; Rm 6,4)» (ibid., 91,9).
La fedeltà a Dio è un dono della sua grazia. Perciò sant’Ilario chiede, alla fine del suo trattato sulla Trinità, di potersi mantenere sempre fedele alla fede del Battesimo. E’ una caratteristica di questo libro: la riflessione si trasforma in preghiera e la preghiera ritorna riflessione. Tutto il libro è un dialogo con Dio.
Vorrei concludere l’odierna catechesi con una di queste preghiere, che diviene così anche preghiera nostra: «Fa’, o Signore – recita Ilario in modo ispirato – che io mi mantenga sempre fedele a ciò che ho professato nel Simbolo della mia rigenerazione, quando sono stato battezzato nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Che io adori te, nostro Padre, e insieme con te il tuo Figlio; che io meriti il tuo Spirito Santo, il quale procede da te mediante il tuo Unigenito... Amen» (La Trinità 12,57).
Non disponiamo di dati sicuri sulla maggior parte della vita di Ilario. Le fonti antiche dicono che nacque a Poitiers, probabilmente verso l’anno 310. Di famiglia agiata, ricevette una solida formazione letteraria, ben riconoscibile nei suoi scritti. Non sembra che sia cresciuto in un ambiente cristiano. Egli stesso ci parla di un cammino di ricerca della verità, che lo condusse man mano al riconoscimento del Dio creatore e del Dio incarnato, morto per darci la vita eterna. Battezzato verso il 345, fu eletto Vescovo della sua città natale intorno al 353-354. Negli anni successivi Ilario scrisse la sua prima opera, il Commento al Vangelo di Matteo. Si tratta del più antico commento in lingua latina che ci sia pervenuto di questo Vangelo. Nel 356 Ilario assiste come Vescovo al sinodo di Béziers, nel sud della Francia, il «sinodo dei falsi apostoli», come egli stesso lo chiama, dal momento che l’assemblea fu dominata dai Vescovi filoariani, che negavano la divinità di Gesù Cristo. Questi «falsi apostoli» chiesero all’imperatore Costanzo la condanna all’esilio del Vescovo di Poitiers. Così Ilario fu costretto a lasciare la Gallia durante l’estate del 356.
Esiliato in Frigia, nell’attuale Turchia, Ilario si trovò a contatto con un contesto religioso totalmente dominato dall’arianesimo. Anche lì la sua sollecitudine di Pastore lo spinse a lavorare strenuamente per il ristabilimento dell’unità della Chiesa, sulla base della retta fede formulata dal Concilio di Nicea. A questo scopo egli avviò la stesura della sua opera dogmatica più importante e conosciuta: La Trinità. In essa Ilario espone il suo personale cammino verso la conoscenza di Dio e si preoccupa di mostrare che la Scrittura attesta chiaramente la divinità del Figlio e la sua uguaglianza con il Padre, non soltanto nel Nuovo Testamento, ma anche in molte pagine dell’Antico, in cui già appare il mistero di Cristo. Di fronte agli ariani egli insiste sulla verità dei nomi di Padre e di Figlio e sviluppa tutta la sua teologia trinitaria partendo dalla formula del Battesimo donataci dal Signore stesso: «Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».
Il Padre e il Figlio sono della stessa natura. E se alcuni passi del Nuovo Testamento potrebbero far pensare che il Figlio sia inferiore al Padre, Ilario offre regole precise per evitare interpretazioni fuorvianti: alcuni testi della Scrittura parlano di Gesù come Dio, altri invece mettono in risalto la sua umanità. Alcuni si riferiscono a Lui nella sua preesistenza presso il Padre; altri prendono in considerazione lo stato di abbassamento (kénosis), la sua discesa fino alla morte; altri, infine, lo contemplano nella gloria della risurrezione. Negli anni del suo esilio Ilario scrisse anche il Libro dei Sinodi, nel quale riproduce e commenta per i suoi confratelli Vescovi della Gallia le confessioni di fede e altri documenti dei sinodi riuniti in Oriente intorno alla metà del IV secolo. Sempre fermo nell’opposizione agli ariani radicali, sant’Ilario mostra uno spirito conciliante nei confronti di coloro che accettavano di confessare che il Figlio era somigliante al Padre nell’essenza, naturalmente cercando di condurli verso la piena fede, secondo la quale non vi è soltanto una somiglianza, ma una vera uguaglianza del Padre e del Figlio nella divinità. Anche questo mi sembra caratteristico: lo spirito di conciliazione che cerca di comprendere quelli che ancora non sono arrivati e li aiuta, con grande intelligenza teologica, a giungere alla piena fede nella divinità vera del Signore Gesù Cristo.
Nel 360 o nel 361 Ilario poté finalmente tornare dall’esilio in patria e subito riprese l’attività pastorale nella sua Chiesa, ma l’influsso del suo magistero si estese di fatto ben oltre i confini di essa. Un sinodo celebrato a Parigi nel 360 o nel 361 riprende il linguaggio del Concilio di Nicea. Alcuni autori antichi pensano che questa svolta antiariana dell’episcopato della Gallia sia stata in larga parte dovuta alla fortezza e alla mansuetudine del Vescovo di Poitiers. Questo era appunto il suo dono: coniugare fortezza nella fede e mansuetudine nel rapporto interpersonale. Negli ultimi anni di vita egli compose ancora i Trattati sui Salmi, un commento a cinquantotto Salmi, interpretati secondo il principio evidenziato nell’introduzione dell’opera: «Non c’è dubbio che tutte le cose che si dicono nei Salmi si devono intendere secondo l’annunzio evangelico, in modo che, qualunque sia la voce con cui lo spirito profetico ha parlato, tutto sia comunque riferito alla conoscenza della venuta del Signore nostro Gesù Cristo, alla sua incarnazione, passione e regno, e alla gloria e potenza della nostra risurrezione» (Istruzione sui Salmi 5). Egli vede in tutti i Salmi questa trasparenza del mistero di Cristo e del suo Corpo, che è la Chiesa. In diverse occasioni Ilario si incontrò con san Martino: proprio vicino a Poitiers il futuro Vescovo di Tours fondò un monastero, che esiste ancor oggi. Ilario morì nel 367. La sua memoria liturgica si celebra il 13 gennaio. Nel 1851 il beato Pio IX lo proclamò Dottore della Chiesa Cattolica
Per riassumere l’essenziale della sua dottrina, vorrei dire che Ilario trova il punto di partenza della sua riflessione teologica nella fede battesimale. Nel De Trinitate Ilario scrive: Gesù «ha comandato di battezzare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (cfr Mt 28,19), cioè nella confessione dell’Autore, dell’Unigenito e del Dono. Uno solo è l’Autore di tutte le cose, perché uno solo è Dio Padre, dal quale tutto procede. E uno solo il Signore nostro Gesù Cristo, mediante il quale tutto fu fatto (1 Cor 8,6), e uno solo è lo Spirito (Ef 4,4), dono in tutti ... In nulla potrà essere trovata mancante una pienezza così grande, in cui convergono nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo l’immensità nell’Eterno, la rivelazione nell’Immagine, la gioia nel Dono» (2,1). Dio Padre, essendo tutto amore, è capace di comunicare in pienezza la sua divinità al Figlio. Trovo particolarmente bella la seguente formula di sant’Ilario: «Dio non sa essere altro se non amore, non sa essere altro se non Padre. E chi ama non è invidioso, e chi è Padre lo è nella sua totalità. Questo nome non ammette compromessi, quasi che Dio sia padre in certi aspetti, e in altri non lo sia» (ibid., 9,61).
Per questo il Figlio è pienamente Dio senza alcuna mancanza o diminuzione: «Colui che viene dal perfetto è perfetto, perché chi ha tutto, gli ha dato tutto» (ibid., 2,8). Soltanto in Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, trova salvezza l’umanità. Assumendo la natura umana, Egli ha unito a sé ogni uomo, «si è fatto la carne di tutti noi» (Trattato sui Salmi 54,9); «ha assunto in sé la natura di ogni carne e, divenuto per mezzo di essa la vite vera, ha in sé la radice di ogni tralcio» (ibid., 51,16). Proprio per questo il cammino verso Cristo è aperto a tutti – perché egli ha attirato tutti nel suo essere uomo –, anche se è richiesta sempre la conversione personale: «Mediante la relazione con la sua carne, l’accesso a Cristo è aperto a tutti, a patto che si spoglino dell’uomo vecchio (cfr Ef 4,22) e lo inchiodino alla sua croce (cfr Col 2,14); a patto che abbandonino le opere di prima e si convertano, per essere sepolti con Lui nel suo Battesimo, in vista della vita (cfr Col 1,12; Rm 6,4)» (ibid., 91,9).
La fedeltà a Dio è un dono della sua grazia. Perciò sant’Ilario chiede, alla fine del suo trattato sulla Trinità, di potersi mantenere sempre fedele alla fede del Battesimo. E’ una caratteristica di questo libro: la riflessione si trasforma in preghiera e la preghiera ritorna riflessione. Tutto il libro è un dialogo con Dio.
Vorrei concludere l’odierna catechesi con una di queste preghiere, che diviene così anche preghiera nostra: «Fa’, o Signore – recita Ilario in modo ispirato – che io mi mantenga sempre fedele a ciò che ho professato nel Simbolo della mia rigenerazione, quando sono stato battezzato nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Che io adori te, nostro Padre, e insieme con te il tuo Figlio; che io meriti il tuo Spirito Santo, il quale procede da te mediante il tuo Unigenito... Amen» (La Trinità 12,57).
venerdì 9 gennaio 2015
ORDINARIO DELLA SANTA MESSA secondo l'Ordo Missae in vigore nella chiesa cattolica prima della attuale riforma liturgica [Missale Romanum promulgato con Decreto della Congregazione dei Sacri Riti del 23 giugno 1962, giusto il Motu Proprio Rubricarum instructum del Sommo Pontefice Giovanni XXIII del 23 luglio 1960] (PREPARAZIONE )-invocazioni finali del prete dopo la salmodia
ORDINARIO DELLA SANTA MESSA secondo l'Ordo Missae in vigore nella chiesa cattolica prima della attuale riforma liturgica [Missale Romanum promulgato con Decreto della Congregazione dei Sacri Riti del 23 giugno 1962, giusto il Motu Proprio Rubricarum instructum del Sommo Pontefice Giovanni XXIII del 23 luglio 1960] (PREPARAZIONE )-invocazioni finali del prete dopo la salmodia
Preghiamo.
Porgi orecchio, o clementissimo Dio, alle nostre preghiere, e con la grazia dello Spirito Santo illumina il nostro cuore, affinché possiamo servire degnamente ai tuoi misteri e amarti di eterna carità.
O Dio, cui ogni cuore è manifesto, ogni volontà palese e nessun segreto nascosto, purifica, mediante l’infusione dello Spirito Santo, i sentimenti del nostro cuore, affinché possiamo perfettamente amarti e degnamente lodarti.
Purifica, o Signore, col fuoco dello Spirito Santo le nostre viscere e il nostro cuore, affinché ti serviamo con corpo casto e siamo a Te graditi per la purezza del cuore.
Le nostre menti, te ne preghiamo, o Signore, illumini il Paraclito che procede da te: e le conduca, siccome promise il tuo Figlio, ad intendere ogni verità.
Signore, te ne preghiamo, ci assista la virtú dello Spirito Santo: purifichi dolcemente i nostri cuori, e li difenda da tutte le avversità.
O Dio, che hai ammaestrato i tuoi fedeli colla luce dello Spirito Santo, concedi a noi, per virtú del medesimo Spirito, di sentire rettamente, e di godere sempre della sua consolazione.
Signore, te ne preghiamo, visita e purifica le nostre coscienze, affinché, venendo nostro Signore Gesú Cristo tuo Figlio, trovi in noi un’apparecchiata dimora: Egli che è Dio e vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen
Porgi orecchio, o clementissimo Dio, alle nostre preghiere, e con la grazia dello Spirito Santo illumina il nostro cuore, affinché possiamo servire degnamente ai tuoi misteri e amarti di eterna carità.
O Dio, cui ogni cuore è manifesto, ogni volontà palese e nessun segreto nascosto, purifica, mediante l’infusione dello Spirito Santo, i sentimenti del nostro cuore, affinché possiamo perfettamente amarti e degnamente lodarti.
Purifica, o Signore, col fuoco dello Spirito Santo le nostre viscere e il nostro cuore, affinché ti serviamo con corpo casto e siamo a Te graditi per la purezza del cuore.
Le nostre menti, te ne preghiamo, o Signore, illumini il Paraclito che procede da te: e le conduca, siccome promise il tuo Figlio, ad intendere ogni verità.
Signore, te ne preghiamo, ci assista la virtú dello Spirito Santo: purifichi dolcemente i nostri cuori, e li difenda da tutte le avversità.
O Dio, che hai ammaestrato i tuoi fedeli colla luce dello Spirito Santo, concedi a noi, per virtú del medesimo Spirito, di sentire rettamente, e di godere sempre della sua consolazione.
Signore, te ne preghiamo, visita e purifica le nostre coscienze, affinché, venendo nostro Signore Gesú Cristo tuo Figlio, trovi in noi un’apparecchiata dimora: Egli che è Dio e vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen
giovedì 8 gennaio 2015
preghiera di intercessione nella tradizione copta
preghiera di intercessione nella tradizione copta
IL DIACONO:
Pregate per i nostri padri e fratelli afflitti da
qualsivoglia infermità, in questo od in un altro
luogo: che Cristo nostro Dio accordi a noi,
assieme a loro, la salute e la guarigione, e ci
perdoni i nostri peccati.
IL POPOLO:
kyrie eleison .
IL SACERDOTE:
Tu che li hai visitati in pietà e misericordie,sanali. Allontana da loro e da noi ogni malattia ed ogni
malessere. Scaccia via lo spirito del male.Risolleva e consola coloro
che da lungo tempo sono tormentati dalle malattie. Libera tutti coloro che
sono afflitti dagli spiriti immondi. Quelli che sono in carcere, nelle
miniere, in esilio, in prigionia e sono costretti in amara schiavitù, o Signore, liberali, ed abbi pietà di loro, poiché tu sei colui che scioglie gli incatenati e risolleva icaduti.
Tu sei la speranza per coloro che non hanno più speranza, ed il
soccorso per coloro che non hanno più soccorso. Tu sei la consolazione per coloro che hanno il cuore oppresso, ed il porto
per coloro che sono nella tempesta. A tutte le anime
afflitte ed incatenate concedi, o Signore,misericordia; concedi a loro
il riposo, il ristoro, la grazia, il soccorso, la salvezza e la
remissione dei loro peccati e delle loro iniquità.
Quanto
a noi, o Signore, cura le malattie delle nostre anime e sana quelle dei
nostri corpi; tu che sei medico vero delle nostre anime e dei nostri
corpi, custode di ogni carne; visitaci con la tua salvezza.
IL SACERDOTE
Per la grazia, le misericordie e l'amore per gli
uomini del tuo Figlio unigenito, nostro Signore,
Dio e Salvatore Gesù Cristo, colui per il quale ti
spettano gloria, onore, potenza ed adorazione, in
unità con lui e con lo Spirito Santo vivificante e
consustanziale con te, ora e sempre, e nei
secoli dei secoli
mercoledì 7 gennaio 2015
La Parousia del Signore
Le Christ de l'Apocalypse
crypte de la cathédrale Saint-Etienne, Auxerre, 11ème s.
crypte de la cathédrale Saint-Etienne, Auxerre, 11ème s.
Lettere festali di Atanasio di Alessandria
(n. 295 ca., + 373) (Lett. 1, 9: PG 26, 1365)
(n. 295 ca., + 373) (Lett. 1, 9: PG 26, 1365)
Noi invece siamo fuori il tempo dell’ombra. Infatti ora non immoliamo
un agnello materiale, ma quello vero, che fu immolato, il Signore
nostro Gesù Cristo, il quale fu condotto come pecora alla macelleria, che
rimase muto come agnello davanti al macellaio (cfr Is 53, 7), purificandoci
con il suo sangue prezioso, che parla molto più di quello di Abele (cfr
Eb 12, 24). Calzando i nostri piedi con la preparazione del vangelo, prendendo
con le nostre mani il vincastro e il bastone del Signore, rianimato
dai quali quel santo diceva: Il tuo vincastro e il tuo bastone mi hanno consolato
(Sal 23, 4). E sommariamente diceva il beato Paolo: Pronti a tutto, non
ci angustiamo per nulla; il Signore è vicino (Fil 4, 6). Infine lo stesso nostro
Salvatore dice: Nell’ora che non pensiamo, il Signore verrà (Mt 24, 44).
lunedì 5 gennaio 2015
Alla Grande Benedizione delle Acque del 6 gennaio PREGHIERA DI SOFRONIO PATRIARCA DI GERUSALEMME
Trinità
sovrasostanziale, buonissima, divinissima, onnipotente, onniveggente,
invisibile, incomprensibile, creatrice delle sostanze spirituali e delle
nature razionali, innata bontà, luce inaccessibile che illumini ogni
uomo che viene nel mondo, illumina anche me, indegno tuo servo;
illuminami gli occhi della mente [fotizòn mou tis dianoìas ta òmmata]
affinché possa anch’io inneggiare l’incommensurabile tua opera e
potenza. Ti sia bene accetta la mia supplica per
il popolo qui presente, e fa’ che le mie colpe non impediscano che
scenda qui il tuo santo Spirito, ma concedimi di invocarti
senza condanna e dire anche ora, tutto buono: ii glorifichiamo, Signore
amico degli uomini, onnipotente, eterno Re. Glorifichiamo te, autore e
creatore di ogni cosa. Ti glorifichiamo, Figlio di Dio unigenito, senza
padre da parte della Madre e senza madre da parte del Padre. Nella festa
precedente infatti ti abbiamo visto bambino, in questa invece ti
vediamo perfetto, essendoti da perfetto manifestato Dio nostro
perfetto.
Oggi
infatti
è giunto il tempo della festa, e il coro dei santi si riunisce a noi e
gli angeli fanno festa insieme agli uomini. Oggi la grazia del
santo Spirito, in forma di colomba, è discesa sopra le acque. Oggi è
spuntato il sole che mai tramonta, e il mondo risplende alla luce del
Signore. Oggi la luna con i suoi lucenti raggi brilla assieme al mondo.
Oggi le luminose stelle con la chiarezza della loro luce rendono bello
l’universo. Oggi le nuvole dall’alto dei cieli fanno piovere all’umanità
la rugiada della giustizia. Oggi l’Increato per sua volontà è toccato
dalle mani della sua creatura. Oggi il profeta e precursore si avvicina
al Signore, ma si arresta tremante, vedendo la condiscendenza di Dio
verso di noi. Oggi le rive del Giordano sono tramutate in farmaco per la
presenza del Signore. Oggi tutto il creato è irrigato da mistiche
correnti. Oggi le colpe degli
uomini sono cancellate con le acque del Giordano. Oggi si apre agli
uomini il Paradiso e il Sole della giustizia ci inonda di splendore.
Oggi,
con la venuta del Signore, è trasformata in dolcezza per il popolo
l’acqua che era amara sotto la guida di Mosè. Oggi siamo liberati dal
vecchio lutto, e siamo salvati come nuovo Israele. Oggi siamo riscattati
dalla tenebra e samo resi sfavillanti dalla luce della divina
conoscenza. Oggi la caligine del mondo è messa in fuga dalla
manifestazione del nostro Dio. Oggi risplende tutta la creazione. Oggi
l’errore è dissipato e la venuta del Signore ci prepara la via della
salvezza. Oggi le creature celesti fanno festa con le terrene e le
terrene ragionano con le celesti. Oggi esulta la sacra e sublime
assemblea degli ortodossi. Oggi il Signore si accosta al battesimo per
sollevare in alto l’umanità. Oggi Colui che non si è piegato si
inchina al proprio servo per liberarci dalla schiavitù. Oggi abbiamo
acquistato il regno dei cieli, e il regno del Signore non avrà fine.
Oggi la terra e il mare prendono parte alla gioia del mondo e il mondo è
ripieno di allegrezza.
Ti
videro le acque, o Dio, ti videro le acque ed ebbero paura. Il Giordano
si volse indietro, vedendo il fuoco della Divinità che
discendeva corporalmente ed entrava in esso. Il Giordano si volse
indietro vedendo il santo Spirito disceso in forma di colomba che ti
aleggiava attorno. Il Giordano si volse indietro vedendo l’invisibile
fatto visibile, il creatore incarnato, il padrone in forma di servo. Il
Giordano si volse indietro e i monti trepidarono guardando Dio nella
carne; e le nubi emisero una voce, ammirando colui che veniva, luce da
luce, Dio vero da Dio vero. Contempliamo oggi la solennità del Signore
nel Giordano: Egli infatti vi sommerge la morte della trasgressione, il
pungolo dell’errore, il collegamento con l’inferno, e dà al mondo il
battesimo di salvezza. Per cui anch’io, peccatore e indegno servo,
narrando le grandezze dei tuoi prodigi, preso da
timore, con compunzione a te esclamo: "Grande sei tu, Signore, e
mirabili sono le tue opere, e nessuna parola è sufficiente a cantare le
tue meraviglie"
testo completo della Grande Benedizione delle acque
LA GRANDE SANTIFICAZIONE DELLE ACQUE NELLA SANTA TEOFANIA DEL NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO
http://www.ortodossia.it/w/media/com_form2content/documents/c17/a1131/f255/8%20GRANDE%20SANTIFICAZIONE%20DELLE%20ACQUE.pdf
6 Gennaio Le Sante Teofanie del Signore -Dalle Lettere di Leone Magno (papa 440-461)
6 Gennaio Le Sante Teofanie del Signore -Dalle Lettere di Leone Magno (papa 440-461)
Dalle Lettere di Leone Magno (papa 440-461)
(Lett. 16, 6: PL 54, 701)
(Lett. 16, 6: PL 54, 701)
Il mistero di Cristo che accede al battesimo di Giovanni. La grazia di quel
battesimo, la sua ragione, non riguardò quello stesso potere per cui rinascono
a opera dello Spirito Santo coloro dei quali si dice: I quali non da sangue,
né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati (Gv 1, 13).
Il Signore infatti, che non aveva bisogno del perdono di alcun peccato, né
cercava il rimedio della rinascita, volle essere battezzato (cfr Lc 3, 21-22)
così come volle anche essere circonciso, e che fosse offerta per sé la vittima
della purificazione: affinché egli, che era stato fatto da una donna,
come dice l’apostolo, fosse fatto anche sotto la legge (cfr Gal 4, 4), che non
era venuto ad abolire, ma a completare (cfr Mt 5, 17). Ma fondò in sé il
sacramento del suo battesimo, poiché, avendo il primato in tutto (Col 1, 18),
insegnò che egli ne era il principio. E fu allora che sancì la potenza della
rigenerazione, quando dal suo fianco, uscirono il sangue della redenzione
e l’acqua del battesimo (cfr Gv 19, 34). L’antico testamento fu testimonianza
di quello nuovo; sacrifici diversi prefigurarono una sola vittima,
e l’uccisione di molti agnelli terminò col sacrificio di colui del quale si
dice: Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo (Gv 1, 12).
Giovanni battezzava nell’acqua per il pentimento, Cristo, invece, avrebbe
battezzato nello Spirito Santo e nel fuoco (Lc 3, 16), egli che con un
doppio potere restituiva la vita e distruggeva i peccati.
Salteri ed Evangeliari della Chiesa Una ed Indivisa in Occidente -prima parte
Salteri ed Evangeliari della Chiesa Una ed Indivisa in Occidente -prima parte
Salteri ed Evangeliari della Chiesa Una ed Indivisa in Occidente -prima parte
Psautier St Alban- Hildesheim 1100
Miniature médiévale représentant la naissance du Christ. [Noël nativité Christ miniature enluminure ange Saint Joseph Sainte Marie boeuf âne photo]
La prière du Seigneur. Psautier de Saint-Alban. Angleterre (1° moitié du 12° siècle)
Psautier de Würzburg, anno 1255. Psalterium Codex 1903, volio 8r
19 PSAUTIER GORLESTON CRUCIFIXION.jpg - Mat_27,35_Psautier Gorleston_Crucifixion Spiritualite2000.com Responsable du dossier : Yves Bériault, o.p L'enluminure à l'époque gothique PSAUTIER GORLESTON (1325) Crucifixion
Cloître de l'abbaye de Senanque
Le Sacramentaire de Charles le Chauve (IXème siècle
la messe
romaine place bien sûr la prière liturgique qui va suivre sous le haut
patronage de ce pontife qui a travaillé au perfectionnement et à la
fixation de la liturgie romaine.
Psalterius [psautier latin dit de saint Louis et de Blanche de Castille]
Psautier de Saint-Alban, fin des années 1100
Mais dans l'Antiquité, le chrisme domine l'étoile à 7 branches , c'est le signe divin qui compte plus que l'étoile . Le chrisme au-dessus a pour centre cette étoile
Psalterius [psautier latin dit de saint Louis et de Blanche de Castille]
Psautier de Saint-Alban, fin des années 1100
Mais dans l'Antiquité, le chrisme domine l'étoile à 7 branches , c'est le signe divin qui compte plus que l'étoile . Le chrisme au-dessus a pour centre cette étoile
domenica 4 gennaio 2015
il canto del Kerubikòn nelle nostre Sante e Divine Liturgie
Alla Divina Liturgia di San Giovanni Crisostomo e in quella di San Basilio
Noi che dei cherubini misticamente ora siamo icone e alla vivifica trinità l'inno trisagio cantiamo, deponiamo ogni affanno della vita... per accogliere il Re dell'universo, invisibilmente scortato dalle schiere degli angeli. Alleluia, alleluia, alleluia.(per tre volte )
Alla Divina Liturgia del Sabato mattina di Pasqua riportato integralmente dalla DIVINA LITURGIA
DEL NOSTRO PADRE TRA I SANTI GIACOMO
FRATELLO DI DIO
PRIMO VESCOVO DI GERUSALEMME
Taccia ogni carne mortale e stìa con timore e tremore, senza pensare ad alcunché di terreno: perché il Re dei re e il Signore dei signori si avanza per essere sacrificato e dato per cibo ai fedeli; e le schiere degli Angeli vanno davanti a Lui con i Principati e le Potenze… l Cherubini dei molti occhi e i Serafini dalle sei ali, che coprono il loro volto e cantano forte l'inno. Alleluia, alleluia, alleluia.
Alla Liturgia vespertina di per sè quaresimale dei Doni Presantificati che la nostra santa tradizione assegna a Gregorio il Dialogo papa di Roma Antica
Oggi le schiere degli angeli celebrano invisibilmente con noi
Ecco si avanza il Re della Gloria.L’agnello perfetto viene scortato
Stiamo con fede ed amore per diventar partecipi della vita eterna Alléluia, alléluia, alléluia.
Alla Liturgia Siro Antiochena Subito dopo la proclamazione del Vangelo ed ovviamente prima del Canto del Credo con due testi in uso
1. O Dio, con le tue
manifestazioni, hai rallegrato i celesti e i terreni, e resi degni di
glorificarti e di lodarti, diciamo: Santo, Santo, Santo sei tu, o Signore, i
cieli sono pieni di te, e la terra piena della tua gloria. O celesti, cantate
al Santo; i terreni siano benedetti nella loro dimora. Il Padre grida dai cieli
"Costui è il mio Figlio diletto".
2. Commemoriamo i profeti,
gli apostoli, che hanno predicato la tua buona novella tra i popoli,
commemoriamo i fedeli e i giusti, che sono stati celebri, e che sono stati
coronati; commemoriamo i martiri e i confessori, che hanno perseverato tra le
torture e i seggi; commemoriamo la Madre di Dio, i santi e i fedeli defunti.
Alla Divina Liturgia del Rituale Romano
del nostro padre tra i santi
Gregorio Magno Papa di Roma, Patriarca
d'Occidente
(nella traduzione del fratello Marco Mannino Giorgi)
Lasciate
ogni carne mortale e mantenete il silenzio, e con timore e tremore avvicinatevi;
Non meditate su pensieri terreni, perché con la benedizione della mano Cristo,
nostro Dio, scende sulla terra, come abbiamo richiesto e gli portiamo omaggio;
Egli stesso viene avanti e si offre, in ricordo del Suo Sacrificio; Vita,
morte e risurrezione, qui davanti ai nostri occhi, mentre entriamo ora nel
mistero senza tempo, deposto ogni pensiero mortale. Re dei Re, ma nato da
Maria, come saggio sulla terra camminò, Signore dei signori in veste umana, nel
Corpo e nel Sangue Egli darà a tutti i fedeli sé stesso come nutrimento
celeste.
Dalle
schiere dell'esercito del Cielo Egli diffonde la loro avanguardia sul cammino
degli uomini, come Luce ora scendono, dai regni dell’alba senza tramonto, che
le potenze dell'inferno possano svanire, come attraverso la luce l’oscurità si
dipana.
Ai suoi
piedi si trovano i serafini dalle sei ali, i cherubini con occhio insonne, e
nascondono i loro volti alla Presenza Divina, e con voce incessante cantano, *" Alleluia! Alleluia! Alleluia! Signore
Altissimo! "
Alla Divina Liturgia detta in Rito Gallicano che la tradizione assegna a San Germano di Parigi(traduzione della sorella Olimpia Guccione)
Che tutta l'umanità stia in silenzio e resti in timore e nel tremore. Che essa allontani ogni pensiero terreno, poiché il Re dei re e Signore dei signori avanza, per essere immolato e donarSi in nutrimento per i fedeli.I cori angelici Lo precedono con tutti i principati, le potestà, i cherubini dagli innumerabili occhi e i serafini dalle sei ali, con le quali si coprono il volto, e cantano:Alleluia, alleluia, alleluia!
Alla Divina Liturgia nella Nobile Chiesa Apostolica Armena
Dieu, tu as comblé ta sainte Eglise par les ordres angéliques. Des milliers de milliers d'archanges se tiennent devant toi et des myriades de myriades d'anges te servent, Seigneur. Et tu t'es complu à recevoir la louange des hommes en un chant mystique : Saint ! Saint ! Saint ! Seigneur des Puissances.
nella Divina Liturgia des Gaules in variante rispetto al Rito Gallicano usuale
Ecco il velo dell'Arca dell'Alleanza si aprì: e
dal cielo discese la nuova Gerusalemme, dove sul trono di Dio e dell'Agnello, al quale i suoi ministri offrono doni, dicendo: Santo, Santo, Santo il Signore Dio onnipotente, che era, che è e che sarà.
Ed ecco, siede l'Agnello nel mezzo, sul trono della
Sua Maestà: ed una voce davanti a Lui, risuona proclamando: hai vi
nto il leone della tribù di Giuda, rampollo di Davide. Ecco, i quattro viventi non hanno riposo, cantando a colui che siede sul Trono: Santo , Santo, Santo, il Signore Dio Onnipotente, che era, che è e che verrà
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