lunedì 16 dicembre 2024

Dal deserto: essere funamboli come segno di accettevole esistenza

Monachesimo 2.0

https://monachesimoduepuntozero.com/2024/11/03/funamboli-dice-il-monaco-cxxi/


Dice Giovanni Cassiano (riferendo le parole di abba Teona):

Giustamente allora direi che i santi – coloro che, trattenendo stabilmente il ricordo di Dio procedono con incedere sospeso come su linee stese in alto – si possono a ragione paragonare agli equilibristi, volgarmente detti funamboli. Questi, affidando tutta la loro salvezza e la loro stessa vita all’angusto passaggio su quella corda, non dubitano di imbattersi nella più atroce delle morti se repentinamente una minima incertezza deviasse il loro passo o li distogliesse dalla direzione giusta. Se non assicurano al proprio passo quel sottilissimo sentiero con estrema prudenza mentre, in modo ammirevole, compiono le loro evoluzioni aeree, la terra, che è come il sostegno di tutte le cose naturali e il solidissimo fondamento per tutti, diventa per costoro una rovina immediata e certa, non perché la sua natura sia cambiata, ma perché questi cadono su di essa per il peso del proprio corpo.


♦ Giovanni Cassiano, Conversazione 23 (terza conversazione con abba Teona: L’essere senza peccato), 9, 1-2, in Conversazioni con i padri, a cura di R. Alciati, Edizioni Paoline 2019, p. 1319.


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lunedì 28 ottobre 2024

Dal deserto: lectio brevis di vita senza convegni e congressi







Un giorno, abba Antonio fece visita ad abba Amun sul monte di Nitria E, dopo che si furono incontrati abba Amun gli dice: «Poiché per le tue preghiere i fratelli sono cresciuti di numero e alcuni di loro vogliono costruire delle celle lontano per immergersi nell’unione con Dio, che distanza vuoi che ci sia di qui alle celle che verranno costruite? Abbà Antonio rispose disse: «Mangiamo qualcosa all’ora nona e poi usciamo a fare un giro nel deserto per vedere il posto»Dopo che ebbero camminato nel deserto fino al tramonto abba Antonio gli dice: «Preghiamo e piantiamo qui una croce: qui costruiscano quelli che lo vogliono…in modo che quelli di laggiù [Nitria], quando vogliono incontrarsi con questi, possano consumare la loro leggera refezione all’ora nona  e arrivare qui al tramonto; e quelli che partono di qui, facendo allo stesso modo, potranno incontrarsi con gli altri senza averne distrazione». 


https://monachesimoduepuntozero.com/2024/10/27/usciamo-a-fare-un-giro-nel-deserto-per-vedere-il-posto/

sabato 3 agosto 2024

Dal deserto :“Sono Mauro Frasi, parroco e responsabile di una Casa Famiglia Caritas (In Toscana)


Sono Mauro Frasi, parroco e responsabile di una Casa Famiglia Caritas dove ospitiamo uomini e donne italiani e del resto del mondo, spesso malati e nuovi poveri con disagi multipli, nella piena gratuità. Fra loro anche persone che non avendo famiglia sono accolti per gli arresti domiciliari, questo mi dà la libertà e anche la responsabilità sofferta di scrivervi sottovoce ma con fermezza. Sono venuto io stesso insieme a un altro volontario al carcere di Pisa a prendere il signor Libero Aiutami (nome di fantasia) per portarlo in parrocchia agli arresti domiciliari. È uscito con un sacco nero, modello spazzatura, e cartella clinica perché paziente molto malato. Ho protestato, che non è degno di una persona uscire con un sacco nero dal carcere e non lo sarebbe uscire da nessun altro palazzo delle istituzioni a servizio dei cittadini”.

Don Mauro Frasi è una figura emblematica in Toscana e per il sacerdozio contemporaneo. Magari trasandato e liso nel vestire. Colletto ecclesiastico perennemente slacciato, spettinato e barba incolta raccontano di notti insonni e giornate senza sosta. Non ha tempo per aver cura di se, ma un grande cuore per gli altri, nella sua chiesa nessuno è lasciato fuori, soprattutto gli ultimi, gli invisibili. Un prete che ha dedicato la sua vita al servizio dei poveri e dei migranti, dimostrando che l’amore per il prossimo può davvero fare la differenza.

La sua vita è una corsa continua, la sua parrocchia un grande generoso campo di accoglienza. Sbrigativo nelle sue funzioni liturgiche. Quante volte durante le sue celebrazioni viene interrotto e costretto ad abbreviare da un’urgenza improvvisa. Le sue omelie sono parole sono semplici e dirette, cariche di passione e verità. Non cerca di impressionare con eloquenza, ma di toccare i cuori e di chiamare all’azione. Non si cura delle apparenze, non gli interessa il giudizio dei benpensanti, che sovente lo criticano, qualcuno si lamenta pure con il vescovo.

Don Mauro non retrocede, la sua missione è quella di vivere il Vangelo nella sua forma più pura e concreta, quella che mette al centro l’amore per il prossimo. Per lui, ogni incontro è un’opportunità per seminare speranza, ogni persona in difficoltà è un volto del suo Cristo da accogliere. Sempre pronto a rincorrere un’emergenza fosse in ospedale, per uno sfratto, a un centro di accoglienza, magari dai carabinieri a garantire per qualcuno. La sua parrocchia Il Giglio a Montevarchi sembra sempre in perenne trasloco, fuori dalla porta, nel sagrato, sotto i portici mobili, materassi, vecchie biciclette, frigoriferi. Ha creato una rete di solidarietà che coinvolge gran parte della comunità, mobilitando volontari e risorse per rispondere ai bisogni più urgenti. Molti anche i non cattolici.

La sua casa parrocchiale è spesso affollata, ma anche quando è esausto, trova sempre la forza di accogliere chi sospinge la sua porta sempre aperta. Qualcuno che ha bisogno di un tetto per la notte, un pasto caldo o solo una parola di conforto, Don Mauro c’è. Con i migranti lavora instancabilmente per trovare loro un lavoro dignitoso, una casa, collabora con associazioni, cooperative e imprese locali, cercando di abbattere i pregiudizi e costruire ponti di inclusione. 

“Non posso tacere. Vi prego di considerare che il livello della dignità umana vuole di più di un sacco nero! Anche per le vostre persone, per il vostro lavoro, sarebbe un segno di lucciola nelle serate d’estate che fa un poco di luce e non si arrende alla notte. Cancellate il rito disumano del sacco nero… e poi, per carità, la grande riforma del sistema carcerario”.

https://ristretti.org/diritti-dei-detenuti-il-prete-degli-ultimi-trattiamoli-con-dignita-anche-quando-escono

https://retidellacaritasite.wordpress.com/2020/01/10/territori-don-mauro-frasi-racconta-in-un-video-la-parrocchia-del-giglio/

giovedì 9 maggio 2024

Dietrich Bonhoeffer - Don Giuseppe Dossetti L’ immagine di Cristo in terra è l’ immagine dell’ uomo crocifisso, appeso a quella forca .







In pieno regime nazista, nel 1937, il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, che sarebbe morto nel 1945 nel lager di Flossenburg, scriveva: «L’ immagine di Cristo in terra è l’ immagine dell’ uomo crocifisso. L’ immagine di Dio è l’immagine di Gesù Cristo sulla croce. [...] È la nuova creazione dell’immagine di Dio per opera del Cristo crocifisso» *. Questa riflessione di- viene centrale nell’opera di molti teologi, anzi diremmo nella condizione della teologia “dopo Auschwitz”. Proprio riprendendo, rimeditando e ricapitolando la linea calda di questo pensiero teologico e spirituale, Giuseppe Dossetti ha affermato:

«L’umiliazione fino alla morte di croce risponde all’essenza di Dio nella contraddizione dell’abbandono. Affermando che Gesù crocifisso è l’immagine del Dio invisibile diciamo che questo è Dio e così Dio è. [...] Quindi si può capire in che sen- so non sia un’evasione poetica ma possa essere teologicamente vera una delle pagine più drammatiche de La notte di Wiesel. A proposito del ragazzino servitore di un Oberkapo olandese scoperto autore di un sabotaggio alla centrale elettrica del campo di Buna: l’Oberkapo fu torturato per settimane inutilmente e poi trasferito ad Auschwitz. Il ragazzino anche lui fu torturato, ma non parlò: poi fu condannato ad essere impiccato insieme a due adulti. A sera, all’ora dell’appello, tutti i prigionieri dovettero assistere all’esecuzione e sfilare guardando bene i tre impiccati. ‘Dov’è il Buon Dio? Dov’è?, domandò qualcuno dietro di me’. Mentre gli altri due erano già morti, il ragazzino aveva ancora un esile filo di vita. ‘Dietro di me udii il solito uomo domandare: Dov’è dunque Dio? E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca...» *


tratto da. Il Novecento, un secolo cristiano autore FULVIO DE GIORGI


https://oscarromero.org/wp-content/uploads/2022/01/M2002-09_5_De_Giorgi.pdf


*  D. BONHOEFFER, Sequela, tr. it. Brescia, Queriniana, 19754, p. 281.

** G. DOSSETTI, "Non restare in silenzio, mio Dio", ora in ID., La parola e il silenzio, Bolo- gna, Il Mulino, 1997, pp. 72-73



mercoledì 3 aprile 2024

Quando nel V secolo le incursioni berbere molti monaci ad abbandonare il deserto di Scete.





Andai un giorno dall’abate Poemen e gli dissi: «Sono andato ad abitare dappertutto, ma non ho trovato riposo: dove vuoi che abiti?».L’anziano gli aveva risposto  : «Non c’è più deserto, ormai. Va’ dunque in un luogo popoloso, nel mezzo della folla, restaci e conduci te stesso come un uomo che non esiste».


Sta in

Nubi e deserti dello spirito. Su alcuni caratteri topografici della Xeniteia.   autore  Federico Della Sala

https://www.academia.edu/49049501/Nubi_e_deserti_dello_spirito_Su_alcuni_caratteri_topografici_della_Xeniteia

domenica 31 marzo 2024

Dal deserto. Amma Sincletica..." r-esistenza in città"





Amma Sincletica disse: come è impossibile essere allo stesso tempo una pianta e un seme, così è per noi impossibile essere circondati dagli onori del mondo e allo stesso tempo produrre un frutto celeste.